SENZA ACQUA SI MUORE

("The Future of Science", Food and Water for Life , Venezia, 24 - 27 settembre 2008)

Si parla da molti anni dell'acqua, di quanto serva per vivere, per produrre , per progredire. Ma si può dire anche che si fa orecchi da mercante e sapere che vi sono tanti popoli che ne soffrono la mancanza, non ci fa chiudere prima il rubinetto. Nei paesi occidentali l'acqua scroscia da tutte le parti. E si perde.

L'allarme suona: diamoci una regolata. Presto, prestissimo, altrimenti sarà buio per tutti.

Secondo fonti della FAO, l'Organismo delle Nazioni Unite per l'Alimentazione e l'Agricoltura, si stima che la terra contenga circa 1400 milioni di Km3 d'acqua, di cui solo 35 milioni di km3 (2,5 %) sono d'acqua dolce. La gran quantità d'acqua dolce contenuta nelle calotte glaciali, nei ghiacciai e nelle profondità della terra, non è fruibile. L'acqua dolce utilizzabile deriva essenzialmente dalle precipitazioni sul suolo generate dal ciclo idrologico. L'acqua si ricicla continuamente grazie all'evaporazione provocata dall'energia solare. In questo modo, il ciclo dell'acqua consuma in un giorno più energia di quelli utilizzata dal genere umano nel corso di tutta la storia.

Dal "Rapporto Italia 2008", presentato dall'Eurispes, emerge come l'Italia sia il primo paese consumatore di acqua nell'Unione Europea e tra i primi al mondo (dopo Giappone, Canada, Usa e Australia). In media, ogni abitante consuma il doppio delle quantità di acqua rispetto all'inizio del 1900, e globalmente il suo consumo mondiale è circa decuplicato nell'arco di un secolo. Questo accade mentre il 65% della popolazione mondiale si trova sotto il livello minimo indispensabile di acqua potabile, e in particolare il 30% circa della popolazione mondiale (almeno 1,4 miliardi di persone) é in condizioni di grave insufficienza o di livelli minimi di sussistenza. La Commissione mondiale per l'acqua indica in 40 litri al giorno a persona la quantità minima per soddisfare i bisogni essenziali, esattamente la quantità che un cittadino italiano usa per fare la doccia. In Italia, così come negli altri paesi mediterranei dell'Europa, l'uso non civile dell'acqua impiega il 49% di questo bene per il settore agricolo; seguono il settore industriale con il 21% e quello energetico con l'11%. L'uso civile giustifica il prelievo del restante 19% della disponibilità totale. I consumi per usi domestici sono molto diseguali: nel mondo si passa da una disponibilità media di 425 litri al giorno di un abitante degli Stati Uniti a 10 litri al giorno di un abitante del Madagascar, dai 237 in Italia ai 150 in Francia, dai 260 per un israeliano ai 70 per un palestinese (cfr.:http://www.dica33.it/argomenti/salute_ambiente/acqua/numeri_acqua.asp)

Secondo i dati presentati al 1° Forum Alternativo Mondiale sull'Acqua tenutosi a Firenze il 21 e 22 marzo 2003, dall'AMREF (African Medical and Research Foundation), quotidianamente per un bagno in vasca si consuma fra i 120 e i 160 litri, per una doccia di tre minuti 30 litri, per un carico di lavatrice dagli 80 ai 120 litri, per lavare i piatti a mano 20 litri, per bere e cucinare 6 litri, per lavare denti - senza lasciare aperto il rubinetto! - 2 litri, per lavare le mani 1 litro e mezzo di acqua e tra i 10 e i 16 litri di acqua quando si tira lo sciacquone.

L'Organizzazione Mondiale della Sanità, in occasione della Giornata Mondiale dell'acqua celebrata il 22 marzo, ha diffuso dei dati allarmanti: nel 2008 più di un miliardo di persone non dispone di acqua potabile sicura. E oltre il 20% degli abitanti in 30 Paesi del mondo dovrà fronteggiare problemi di carenza idrica: una percentuale che entro il 2025 diventerà del 30% in 50 Paesi. Risulta inoltre che il 40% della popolazione mondiale, circa 2,6 miliardi di persone, non ha ancora accesso a servizi igienici di qualità e sono esposti a gravi rischi sanitari, specie in Africa e Asia.

Il punto è che sulla risorsa idrica ci saranno sempre maggiori pressioni in futuro, specie da India e Cina, se adotteranno una dieta simile a quella occidentale. Si calcola che per ogni kg di carne di manzo si utilizzano 15mila litri di acqua, dieci volte di più rispetto ad 1 kg di grano (cfr.: http://www.comunicati-stampa.net/com/cs-28930/Organizzazione_Mondiale_Sa...)

L'acqua, dunque, mette a rischio anche la sicurezza alimentare : ''considerando che ci vogliono tra 1000 e 2000 litri d'acqua per produrre un chilo di pane - ha sottolineato Jacques Diouf (politico e diplomatico senegalese, di etnia Wolof, Segretario Generale della FAO) , da 13 a 15mila litri per produrre la stessa quantità di manzo, oltre a 2-5 litri d'acqua al giorno da beré', e che si prevede che nel 2030 la popolazione mondiale raggiungerà gli 8,1 miliardi di persone, ''per stare al passo con l'accresciuta domanda di cibo nei prossimi 30 anni si dovrà destinare all'agricoltura un 14% in più d'acquà'. Acqua e cibo sono diritti fondamentali universalmente riconosciuti e garantirli a tutti é responsabilità di tutti accettare la sfida della crisi a livello globale ed affrontarla in ogni suo aspetto e dimensione ''.

E le stime dicono che entro il 2030 la richiesta di acqua per la produzione di cibo raddoppierà. "Le riserve d'acqua stanno diminuendo - afferma Koichiro Matsuura, Direttore Generale dell'Unesco - mentre la domanda cresce drammaticamente, a un ritmo insostenibile. Tra vent'anni, ogni persona disporrà, in media, di un terzo d'acqua in meno." Nonostante l'evidenza della crisi, gli impegni politici per invertire questa tendenza sono scarsi. Negli ultimi venticinque anni, numerose conferenze internazionali hanno messo a fuoco i vari problemi da affrontare e sono stati individuati diversi obiettivi per migliorare la gestione dell'acqua. Nella peggiore delle ipotesi, a metà di questo secolo saranno 7 miliardi di persone in 60 Paesi a soffrire di scarsità d'acqua. Nella migliore delle ipotesi, invece, saranno 2 miliardi in 48 Paesi. Questo dipenderà da fattori come la crescita della popolazione e l'adozione di politiche adeguate (Rapporto Onu sullo stato delle risorse idriche a livello mondiale, cfr.: http://www.dica33.it/argomenti/salute_ambiente/acqua/numeri_acqua.asp).

La necessità di intraprendere tali politiche diventa ancora più evidente se si guarda alle conseguenze che la scarsità o la cattiva qualità dell'acqua produce. Un'acqua di cattiva qualità gioca, infatti, un ruolo chiave nelle cattive condizioni di vita e nei grandi problemi di salute del mondo. Le malattie diarroiche e la malaria hanno ucciso circa 3,1 milioni di persone nel mondo nel 2002. Il 90% di queste vittime erano bambini di meno cinque anni. Si stima che circa 1,6 milioni di vite umane potrebbero essere salvate ogni anno se si migliorassero le condizioni di accesso all'acqua potabile, i servizi di depurazione e l'igiene (2° Rapporto Mondiale delle Nazioni Unite sulla valorizzazione delle risorse idriche, cfr.: http://www.unesco.it/acqua/2006/relazione_sul_rapporto_2006.doc)

Dunque, una delle sfide centrali dei prossimi anni sarà la gestione sostenibile, efficiente ed equa di limitate risorse idriche. Secondo un Rapporto FAO del 2002 si possono creare politiche, istituzioni e leggi per aumentare la produttività dell'acqua a molti livelli differenti. Al livello del consumo individuale, politiche che incoraggino la popolazione a nutrirsi di cibi che richiedono un minore apporto idrico, ad esempio, grano piuttosto che riso, pollame piuttosto che manzo, potrebbe incrementare marcatamente l'efficienza nell'utilizzo dell'acqua. Sempre secondo il già citato rapporto Fao sino al 90 per cento dell'acqua prelevata per uso civile/domestico ritorna ai fiumi ed agli acquiferi in forma di refluo. Le industrie in genere consumano solo circa il 5 per cento dell'acqua che prelevano. L'acqua di scarico derivante da sistemi fognari per usi urbani/domestici e quella proveniente dalle industrie dovrebbe essere trattata prima del rilascio nei fiumi e possibilmente riutilizzata ma spesso è fortemente inquinata.

Uso dell'acqua nell'industria

Infine, l'industria è la terza principale utente dell'acqua, sia per produrre energia elettrica, sia per utilizzarla nel ciclo produttivo. La maggior parte dei processi produttivi industriali necessita di acqua industriale pulita come acqua per i processi di lavorazione, per la pulizia, come refrigerante o come alimento base. In particolare l'industria di trasformazione di cibo e bevande richiede un'enorme quantità di acqua. Uno dei problemi principali è la quantità di acqua reflua prodotta continuamente negli impianti alimentari. L'acqua è usata come ingrediente, agente di sgrassatura, per ebollizione e raffreddamento, per trasporto e condizionamento di materie prime.

L'esempio dell'industria alimentare

Per produrre un kg di pane sono necessari 2 chili di piante di grano. Per produrre queste piante è necessario almeno 1 m3 di acqua. Nella pratica si consuma però un po' più di acqua rispetto a questo valore teorico. I contadini americani hanno bisogno per produrre un kg di pane di circa 4 m3 di acqua. Ai tropici per 1 kg di chicchi di riso si utilizzano 5 m3 di acqua.

Gli animali trasformano in carne solo circa il 10% del cibo. Da 1 kg di grano si producono circa 175 g di carne. Ciò significa che per produrre 1 kg di carne sono necessari almeno 5.7 m3 di acqua.

Per soddisfare i bisogni di base degli esseri umani come l'igiene, bere, abitare e mangiare (2500 kcal al giorno) nonché per le attività commerciali e industriali un vegetariano consuma annualmente circa 600 m3 di acqua. Se il suo nutrimento contiene il 20% di carne il consumo di acqua raddoppia arrivando a 1'200 m3.(da www.acquapotabile.ch)

Durante il Convegno hanno suscitato notevole interesse le relazioni di alcuni studiosi che riportiamo in sintesi.

Il lavoro di Susan Murcott( esperta di fama mondiale nel Settore di Ingegneria civile ed Ambientale al Massachusetts Institute of Technology) è finalizzato allo sviluppo di tecnologie innovative e a basso costo per il trattamento dell'acqua e delle acque reflue nei Paesi in via di sviluppo. La scienziata è diventata leader nel campo del trattamento e della conservazione dell'acqua potabile per uso domestico. Ideatrice dell'iniziativa "Clean Water for 1 Billion People (H2O-1B)", è impegnata da anni, con gli studenti del Civil and Environmental Engineering Department del MIT, in progetti che interessano Paesi in via di sviluppo come Ghana, Nepal, Bangladesh, Cambogia e Cina: scopo di tali progetti è creare tecnologie sostenibili, a basso costo e socialmente accettabili dalle popolazioni locali. Per anni, tali progetti hanno prodotto sostanziali progressi in quei territori e ridotto significativamente il numero di persone malate. Questo ha indotto la studiosa e il suo team a proseguire con tali progetti e a intraprendere tali interventi anche in altre aree.

Invece, lo scopo delle ricerche del team del dott. Elfatih Eltahir (professore in ingegneria civile ed ambientale al MIT), che ha parlato di "Climate, water, and public health in Africa", è accrescere le conoscenze nel campo dei processi idrologici e dei meccanismi che governano il ruolo della biosfera. La conoscenza di tali processi è cruciale per la soluzione di molti problemi ambientali in alcune regioni del mondo, come la valutazione dell'impatto di processi come desertificazione e deforestazione sulla sostenibilità delle risorse d'acqua, e parimenti la valutazione degli effetti a livello regionale dovuti a cambiamenti dello scenario globale sulle risorse di acqua, l'agricoltura e gli ecosistemi.

Il Caso Nestlè

Claus Conzelmann, Vice Presidente per la Sicurezza, Salute e Ambiente del Gruppo Nestlè, ha presentato il suo intervento dal titolo "Valore da creare per l'uso sostenibile dell'acqua nell'industria". Ha specificato che per quanto riguarda il gruppo Nestlè, il "Nestlè Water Report Management", pubblicato nel 2007, documenta le azioni intraprese dal colosso svizzero per diminuire l'utilizzo di acqua nel ciclo produttivo dei loro prodotti e le operazioni messe in atto per migliorare l'accesso all'acqua al di fuori della sfera d'azione diretta del gruppo.

Complessivamente dal 1997 al 2006 Nestlè ha quasi raddoppiato il volume della produzione di cibo. Nello stesso periodo l'aumento dell'efficienza produttiva ha significato una diminuzione del consumo d'acqua del 29%.

Nestlè ha tradotto il suo impegno in una serie di azioni concrete esemplificate nel Nestlé Environmental Management System (NEMS): il programma definisce una serie di condizioni interne a tutta la filiera produttiva. Tra queste, quella atte a minimizzare l'uso di acqua e massimizzare il riciclo di essa usando le più moderne tecnologie.

All'interno di tale politica primo obiettivo è stato ridurre lo spreco di acqua, sia riducendo tale dispendio nel corso del ciclo produttivo sia compiendo una serie di sforzi per purificare l'acqua.

Intervista a: Chiara Tonelli, professore di genetica all'Università di Milano e dal 2005 Segretario Generale del "Future of Science Conference"

Prof. Che cos'è LA BLUE REVOLUTION DELLA SCIENZA?

Per risolvere l'allarme di cibo e acqua nel mondo la scienza lancia la Blue Revolution: la rivoluzione della qualità. Dopo la Green Revolution del '900, che ha aumentato la produzione di cibo, ora la sfida è migliorarne la qualità, vale a dire mantenere o aumentare i livelli di produzione, ma in modo sostenibile dal punto di vista ambientale, sociale ed economico. Primo punto: risparmiare l'acqua, bene irrinunciabile per la vita ma non inesauribile.

Noi viviamo in un pianeta di sale. Il volume totale d'acqua sulla terra è di 1.4 miliardi di Km cubi, una quantità enorme ma solo il 2,5% del totale è acqua dolce il resto è acqua salata. Occorre inoltre considerare che la maggior parte dell'acqua dolce non è disponibile perché è sotto forma di ghiaccio e di neve permanente o è situato sottoterra in modo non raggiungibile, la più grossa riserva d'acqua si trova a grande profondità sotto il deserto del Sahara.

Sulla base di tutti i calcoli si stima che solo lo 0,01% dell'acqua di tutto il pianeta sia disponibile per gli ecosistemi e per gli uomini.

In molti Paesi le falde sotterranee di acqua dolce si stanno esaurendo: in Africa 10 anni fa l'acqua dolce sotterranea si trovava a 50 metri di profondità, oggi a 120.

Tra vent'anni, ogni persona disporrà, in media, di un terzo d'acqua in meno. Nella peggiore delle ipotesi, a metà di questo secolo saranno 7 miliardi di persone in 60 Paesi a soffrire di scarsità d'acqua. Nella migliore delle ipotesi, invece, saranno 2 miliardi in 48 Paesi. Questo dipenderà da fattori come la crescita della popolazione e l'adozione di politiche adeguate.

Il 10% dell'acqua utilizzata ogni giorno è usata direttamente dalla popolazione, il 20% dall'industria e il 70% dall'agricoltura. La responsabilità di un uso sostenibile dell'acqua - vale a dire far fronte alla sua scarsità senza rinunciare ai nostri stili di vita - è quindi da ripartire in queste tre aree nella stessa proporzione.

Allora, cosa può fare la società civile? -

Non è necessario rinunciare agli standard di benessere cui è abituato il mondo occidentale, ma bisogna evitare gli sprechi, utilizzando razionalmente gli strumenti oggi a disposizione di tutti e gli accorgimenti consigliati.

Il primo risparmio lo si effettua migliorando la rete idrica. La perdita fisiologica di una rete idrica è stimata intorno al 7-15%. In molte città dei Paesi in via di sviluppo tubazioni che perdono e diramazioni illegali causano perdite di acqua comprese tra il 20% e il 50%. Anche le città nei Paesi industrializzati devono lottare con una carente manutenzione delle reti idriche. In Gran Bretagna circa il 25% dell'acqua potabile finisce nel terreno a causa di una rete di distribuzione antiquata e in cattivo stato. In Italia le reti idriche perdono almeno il 40% dell'acqua trasportata, con punte superiori al 55%.

La quantità minima d'acqua per soddisfare i bisogni principali (fabbisogno idrico di base, per poter fare il bucato, fare la doccia, preparare cibi e altre attività) è di 40 litri al giorno a persona, che è esattamente la quantità di acqua che un cittadino italiano usa per fare la doccia. 28 Paesi nel mondo hanno un consumo per persona al di sotto di questo limite. Complessivamente circa 1 miliardo di persone vive al di sotto della soglia del fabbisogno di base.

Cosa può fare l'industria?

Il mondo industriale ha in primo luogo il dovere morale di sviluppare la ricerca per l'uso sostenibile dell'acqua. Fino ad oggi gli investimenti sono stati effettuati in due direzioni: il risparmio di acqua all'interno dei cicli produttivi e la depurazione dell'acqua reflua. Nel primo campo la sensibilità è abbastanza diffusa e i risultati apprezzabili. Per esempio, se 10 anni fa per ottenere industrialmente un litro di latte ci volevano 5 litri di acqua, oggi ce ne vogliono 3. Nel secondo campo molto ancora resta da fare: ridare all'ambiente acqua depurata è fondamentale perché, se dopo i processi produttivi rientra in circolo acqua contaminata, non solo si crea inquinamento e danni alla salute dell'uomo ma diventa impossibile, anzi rischioso, qualsiasi riutilizzo. La situazione di inquinamento del Mar Adriatico, causato dai liquami degli allevamenti e dagli scarichi industriali, è un esempio evidente.

Cosa può fare l'agricoltura?

Sul mondo della produzione agricola pesa il grosso della responsabilità dell'emergenza acqua nel mondo. E anche dell'emergenza cibo, perché senz'acqua non c'è produzione e dunque non c'è cibo. L'alternativa alla fame e alla sete è dunque orientarsi verso piante che abbiamo minor bisogno di acqua per nascere, crescere e produrre commestibili. Il compito è ancora più difficile perché il riscaldamento globale ha avuto due effetti devastanti sul mondo vegetale: ha reso molte piante inadatte perché incapaci di crescere a più alte temperature, e ha aumentato la percentuale di terreni salini inadatti anch'essi alla coltivazione. Il fenomeno si crea perché, quando si irriga il suolo a temperature più elevate, l'acqua d'irrigazione evapora e lascia sul suolo il sale. Il 20% dei suoli agricoli irrigui, su un totale di 250 milioni di ettari a livello planetario, è interessato dal processo di salinizzazione, il primo passo verso la desertificazione, che significa la fine della produzione agricola. Certamente esistono sistemi di irrigazione che ovviano a questo problema, come quello goccia a goccia praticato, ad esempio, in Israele.

Tuttavia la tecnologia non è applicabile ovunque, per cui la soluzione sta inevitabilmente nella scienza e in particolare nella sua capacità di adattare geneticamente le piante all'evoluzione del pianeta: piante che resistono alla siccità, che nascono in terreni salini e che producono cibo con meno acqua. Questo è il cuore della Blue Revolution.

Il secolo scorso ha portato attraverso la Green Revolution uno straordinario miglioramento della produzione di cereali in termini quantitativi, arrivando a rese un tempo insperate superiori al tasso di aumento della popolazione. Ora la situazione è cambiata in modo per molti inaspettato. Il problema da affrontare è duplice: aumentare la produzione ma in modo sostenibile. La Blue Revolution dovrà quindi impegnarsi sul miglioramento genetico delle piante coltivate, selezionando piante che resistano ai nuovi stress ambientali: gli agenti patogeni (che causano malattie) e alla mancanza di acqua. Ogni anno circa il 30% della produzione agricola si perde per questi due motivi, e in Africa si arriva a picchi dell'80%. Evitare queste perdite significa aumentare la produzione senza aumentare le superfici da coltivare e ridurre i costi di produzione. Oggi contro le malattie si utilizzano i pesticidi che hanno il vantaggio di salvare la pianta ma sono molto costosi e molto inquinanti. I laboratori di tutto il mondo sono impegnati nell'obiettivo di rendere le piante più resistenti alle malattie - mettendo nel loro DNA geni di altre piante che hanno più difese naturali, come quelle selvatiche - e in quello di ottenere piante che siano più efficienti nell'utilizzo di fertilizzanti, così da ridurne il fabbisogno. Altro obiettivo è quello di combinare i geni per ottenere piante "water-saving", a più basso utilizzo di acqua. Un sistema è quello di modificare gli stomi, che sono dei pori presenti sulla superficie delle foglie attraverso i quali la pianta assorbe CO2, ed espelle ossigeno ma anche il 90% dell'acqua che assorbe attraverso le radici. Al Dipartimento di Scienze Biomolecolari e Biotecnologie dell'Università Statale di Milano, modificando un gene che rende gli stomi un po' più piccoli abbiamo realizzato una pianta che fa evaporare solo il 60% di acqua assorbita e, trattenendone di più, necessita di circa il 30% in meno di acqua per crescere e produrre. Abbiamo ottenuto questo risultato in Arabidopsis, la pianta modello di riferimento, e stiamo trasferendo questi risultati in piante da coltivare; presto vedremo anche pomodori water-saving.

Evviva!

Maria de Falco Marotta & Enrico Marotta

Maria de Falco Marotta & Enrico Marotta
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