RITORNO AL PASSATO - L’ Agroecologia insegna

(di Nello Colombo) L’Agroecologia abita in Valtellina. Da alcuni anni assistiamo ad una rivoluzione agricola che si riappropria di aree depresse o abbandonate per farne nuove colture o per recuperarne altre da antichi semi autoctoni. Controcorrente, c’è un ritorno alla terra, avviato - fatto straordinario – dalle nuove generazioni che credono in questa filosofia di vita con grande energia e spirito d’iniziativa. E l’agricoltura biologica si diffonde a macchia d’olio, con prodotti salubri, nel rispetto dell’uomo e dell’ambiente in cui vive. Pur rinunciando alla chimica molesta dei pesticidi e additivi concimanti azotati, si affidando ai fertilizzanti naturali di un tempo –  “E’ dal letame che nascono fiori” cantava De Andrè – seguendo i ritmi della natura, con una buona resa che premia, a partire dal piccolo mercato contadino sotto casa. Anche l’agricoltura biodinamica ha preso piede dilagando in alcune aeree con ottimi risultati. Un’inversione di tendenza che si scontra apertamente con le logiche di mercato improntate indissolubilmente al profitto. A discapito di tutto e di tutti. E’ la visione dell’agronomo della “Fondazione Fojanini”, Fausto Gusmeroli, che indica in questo nuovo modello di agricoltura, che affonda le radici nella tradizione, le risorse necessarie per guardare con più serenità al futuro. La sua accorta disamina presentata all’Unitre di Sondrio parte da lontano, dagli albori della nascita dell’agricoltura nel Neolitico, che crea una vera e propria rivoluzione con l’”homo agrestis” che rimpiazza il “nomas venator”. Bisognerà poi attendere a lungo per la nuova Rivoluzione Industriale che spodesterà di fatto l’attività rurale in cui permaneva comunque il senso del “limite” che ora saltava del tutto nella logica della più sfrenata accelerazione dello sfruttamento del suolo grazie ai nuovi combustibili fossili e alle nuove avanguardie tecnologiche, con un impatto sempre più devastante sull’intero pianeta. E allora ecco pronta su piatto d’argento l’“Agricoltura Industriale” coi suoi capisaldi manipolativi dell’ecosistema basati sulla meccanizzazione più feroce dei nuovi mezzi, sulla trasgressione di una chimica assoldata dai potentati multinazionali tramite concimi sempre più invasivi, fertilizzanti azotati terribilmente corrosivi, fino a giungere alla manipolazione genetica con gli OGM che sgomitano per i loro insani profitti. La massimizzazione delle rese va di pari passo con una standardizzazione dei vari prodotti agricoli a qualunque latitudine, e una “specializzazione ostinata” di alcune colture che dissangua terre benefiche che a lungo andare inaridiscono. Senza tener conto dell’avanzare irrefrenabile delle colate di cemento che si spingono sempre più all’interno del mondo boschivo. E poi c’è l’altro aspetto disastroso degli scarti e degli inquinanti legati ad un consumismo smodato dei Paesi ricchi, che inevitabilmente avvelenano la biosfera, distruggono la biodiversità, impestando l’aria con i micidiali gas serra che portano ormai un irreversibile cambiamento climatico i cui effetti sotto sotto gli occhi di tutti (iceberg giganteschi che si staccano dalle calotte artiche, ghiacciai che si ritirano inesorabilmente, frane rovinose e inondazioni catastrofiche che seminano morte e distruzione) e la deflagrazione di malattie cronico-degenerative e cancerogene. A questo punto non resta che “la Rivoluzione agroecologica” volta non tanto alla resa, quanto alla salubrità degli alimenti, al rispetto dell’ambiente, alla cura del benessere dei consumatori, dell’intera comunità, e alla salvaguardia dell’identità dei luoghi che conservano la memoria di semi autoctoni. E sono in tanti a schierarsi su questo fronte, dagli assertori assoluti del “bio” o dell’agricoltura biodinamica steineriana che rimanda ad antichi riti della tradizione, con una punta di esoterismo, dal corno-letame, ai flussi e ritmi circadiani o agli influssi della luna, per arrivare a quella “naturale-sinergica” venuta dall’oriente, e alla “permacultura” che gestisce al meglio paesaggi antropizzati che possano soddisfare i bisogni della popolazione. L’importante è uscire dalla logica perversa della produzione ad ogni costo. Occorre porre un freno alla follia degli sprechi alimentari che nei Paesi “civili” ammontano a circa un terzo dell’intera produzione, e tornare al più presto alle origini, alla cura di Madre Terra, all’agroecologia.  Forse questo rimetterebbe le cose a posto, e riuscirebbe comunque a sfamare l’intera umanità perché la fame nel mondo è generata solo da uno squilibrio nell’accesso alle risorse del pianeta retto da ingiustizia, mala gestione e corruzione. Basta fare un po’ di conti. Accanto agli oltre 800 milioni di obesi, con tutti i problemi connessi, ci sono al mondo circa 860 milioni di denutriti. Epulone ingrassa lasciando solo le briciole al misero sotto la stessa tavola imbandita. “Inequità” imperante tra servi e signori.  Da che mondo è mondo. Ma, continuando di questo passo, non ci sarà nemmeno più spazio per questo mondo.
Nello Colombo

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