Le ultimissime sulla strada francigena

ENOGASTRONOMIA E VIA FRANCIGENA



Quando l'amico Marco Bruckner, venuto a salutare Renato Stopani
e me a Firenze, ci illustrò che uno dei cinque progetti del
G.E.I.E. "I cammini d'Europa", presentato e approvato a
Bruxelles, riguardava il tema "Enogastronomia e Via Francigena"
ebbi un brivido gelido nella schiena.

Questo perché un paio di anni fa in Garfagnana, mia terra natia,
mi fu chiesto di studiare temi e contenuti per una conferenza,
seguita da cena, dedicata al cibo nel medioevo. Naturalmente
sarebbero state prese alla lettera le indicazioni o la traccia
che avessi dato ai cuochi per allestire la cena stessa.

La cena in questione s'ha ancora da fare. E non perché abbia
preso sotto gamba il piano di lavoro: tutt'altro. Proprio perché
ho voluto prendere sul serio la questione, continuo a cercare
adattamenti (cioè compromessi) che non mettano troppo in crisi
la mia credibilità scientifica e, in contraccambio, non facciano
vomitare i futuri commensali. Perché il cibo, ai tempi della via
Francigena, avrebbe fatto vomitare il 99,9% di chi mi sta
leggendo.

Lo zero virgola zero uno che resta deve essere almeno nelle
condizioni di una persona a me cara che ha perso l'olfatto in un
incidente stradale e sente soltanto il dolce, il salato, l'amaro
e l'agro. Mangiare "francigeno" sarebbe oggi un azzardo, come
andare in Australia e sfilare dal bastoncino il bacarozzo
strinato sul fuoco che ti offre l'aborigeno.

Ricordiamoci che non esistevano frigoriferi, non esisteva acqua
corrente e la cultura igienica era estremamente sommaria. Se a
mio zio Annibale due decenni fa moriva una vitella era una
tragedia, mentre nel medioevo era una festa, perché gli animali
morti per cause naturali non venivano certamente seppelliti.
Figùrati l'aviaria. I cibi di scorta venivano continuamente
rallegrati da continue frequentazioni di ratti, topini di
campagna, blatte e muffe allucinogene. Queste ultime non erano
un problema, perché mettevano in quasi immediato contatto con
l'Aldilà, e se la cosa era fortunatamente reversibile, ci poteva
scappare anche una Visio (Visio Baronti, Visio Thurkilli...) con
gran lustro e ammirazione per il visionario del momento e per il
monaco che ne trascriveva l'esperienza.

L'unica cosa certa che sono riuscito finora a proporre (a me
stesso, il critico più esigente) per quella famigerata cena l'ho
chiamata "brodo primordiale". Si prende del lardo con tutto il
sale di conservazione, si trita e si butta sul fondo di un
pentolone di rame (quello per fare il formaggio che viene
sorretto da un'asta di legno mobile, di regola sul lato destro
del focolare). Si tritano, lavate alla meglio, tutte le verdure
di stagione disponibili nell'orto, tutti i legumi che si ritiene
doveroso aggiungere, tutte le granaglie sfuggite ai topi. Acqua
in abbondanza e si lascia cuocere fin dal primo mattino, girando
ogni tanto, quando i marmocchi consentono alla massaia di
ricordarsene. Poi vi si attinge. All'ora di pranzo una pentola
media da portare agli uomini nei campi. Durante la giornata
qualche cucchiaiata, se passano viandanti e pellegrini, e
infine, a cena, quel che resta verrà spolverato e ripulito,
perché nulla deve avanzare e la pentola serve per il giorno
dopo.

Tutto il resto è silenzio. O quasi. Diciamo che per fare un
pasto completo "dei pellegrini della via Francigena" ci vogliono
più di due anni di ricerche e molti compromessi da giustificare.
Perché ciò che si giustifica non può essere imputato a
ignoranza. Questo è il trucco.

Quindi attenzione a quello che ci proponi, o Bruckner, perché -
per farmi stare zitto - dovrai invitare me e Stopani all'Enoteca
Pinchiorri, vini inclusi, francigeni e non.


CI STIAMO AVVICINANDO, ALMENO VIRTUALMENTE

In compenso, l'auspicio che scrivevo sulla rivista "Turistica"
nel lontano 1996 che si arrivasse a una selezione dei vini della
via Francigena (proponevo allora di partire dai bianchi) si sta
attuando. Almeno virtualmente. Una piccola brochure, distribuita
nei supermercati e curata da AGEA, l'Agenzia per le erogazioni
in agricoltura, su progetto editoriale di Enoteca Italiana di
Siena, nel quadro della campagna di promozione finanziata dalla
Comunità Europea e denominata "Vino è", parla di vini e di
percorsi enoturistici e correttamente li abbina alla tradizione
delle strade storiche (via Postumia, via Francigena, Via Salaria
e Traiana). Tutto bene, basta non leggere quelle quattro o
cinque righe dedicate alla via Francigena... che secondo
l'anonimo (per fortuna sua) estensore "nasce come percorso del
pellegrinaggio medievale nelle tappe del cammino di Santiago
verso Roma". (Sic!).

La prossima volta prendete il poeta Nanni Balestrini e
commissionategli uno dei suoi collages di parole in libertà, che
verrà fuori qualcosa di ben più memorabile. (F.V.)

Referenze: "Vini e territori : percorsi enoturistici / [UNA Vini
ed Enoteca Italiana per AGEA e Comunità Europea]. - [S.L.] :
Editrice I Mori, 2005. - 24 p. : ill. colori di Marcenaro; 20
cm.

Distribuzione gratuita nei supermercati - Info: ww.vinoe.it


I SAPORI DELLA VIA FRANCIGENA?

MEGLIO DIRE DI ZIA TERESA


Non si devono esser posti problemi di correttezza storica gli
autori di Camaiore, Andrea Roncoli e Luca Santini, quando hanno
deciso di contattare i vari Assessorati alla Cultura dei Comuni
lungo la via Francigena per ottenerne almeno una ricetta tipica
del rispettivo territorio. Né si sono posti altrettanti problemi
i relativi interlocutori. Brutto segno, perché le cose fatte
approssimativamente lasciano un segno: negativo. E' di tutta
evidenza che se vogliamo - nessuno ci obbliga - accostare
enogastronomia e via Francigena dobbiamo fare riferimento a
piatti della tradizione anteriori alla scoperta dell'America,
perchè SE IL RICHIAMO ALLA VIA FRANCIGENA HA UN SENSO - ripeto,
nessuno ci obbliga - questo senso è relativo all'alto medioevo e
quindi alle condizioni sociali, politiche, distributive,
climatiche e anche culinarie di quel periodo.

In quel periodo
non potevano essere usati né il pomodoro, né le patate, né il
granoturco, né il peperoncino, né il cacao e nemmeno una vasta
serie di prodotti che sono stati introdotti in Europa con la
scoperta dell'America. Lo zucchero era un bene d'importazione
dall'Oriente con funzioni medicinali. Costosissimo. Se è
faticoso fare ricerche, c'è una bella carta in piego in un
fascicolo di National Geographic, edizione USA, che in
biblioteche di medie dimensioni si può trovare (The Grand
Exchange : map. - In : National Geographic vol. 181 n. 2
Fabruary 1992) che riporta tutte le più importanti componenti
vegetali e animali del "grande scambio". Peccato, perché la
parte introduttiva è stata approfondita e sentita dai due
curatori. Sono le ricette proposte che fanno pena. Non certo
gastronomicamente, ma dal punto di vista storico non hanno
nulla, ma proprio nulla a che fare con la via Francigena. Ci si
chiede se quelli dell Valle d'Aosta potrebbero rinunciare al
peperoncino nei tomini alle erbe di Peranche, o alla polenta
concia, o quelli del Piemonte sempre al peperoncino nel
Sancarlin, e passiamo sopra al riso e allo zucchero che
farebbero arricciare il naso a un vero esperto di cucina
medievale. Anche quelli del Pavese propongono polenta e
pangialdina e quelli di Lodi torta a base di granturco. Da
Piacenza in giù si parte col pomodoro e con le patate. Perfino
Pontremoli propone l'Erbadela con la farina gialla. Castelnuovo
Magra propone le zipole ripiene col pomodoro. Così pure Carrara.
La stessa Camaiore nella pasta tordellata mette il pomodoro.
Mentre Massarosa se la cava con un ricetta davvero
medievaleggiante. San Gimignano sbatte ben due ricette a base di
patate. Anche Siena propone zuppa di fagioli con la conserva.
Buonconvento mette pomodoro nella zuppa di ceci. Mentre
Montalcino è "in linea" col suo Pan co' santi. Castiglione d'Orcia
offre ben due ricette al pomodoro. E Radicofani per non essere
inferiore a nessuno ben tre. Acquapendente supera l'esame.
Montefiascone addirittura mette cioccolato fondente nella
ricetta dei tozzetti e pomodoro più peperoncino nell'agnello a
bujone. Viterbo sembra cavarsela anche se mi lascia qualche
dubbio. Roma chiude in gloria coi bucatini all'amatriciana di un
rosso intenso pomodoresco e con un pizzicore di peperoncino
rosso forte.

Sarebbe bastato fare un po' di pulizia in fase di assemblaggio e
sarebbe stato un libro prezioso. Sono ricette di oggi? Allora
non chiamiamo in causa la via Francigena. Meglio la zia Teresa
che faceva la camionista. Anche in questo campo c'è ancora
molto, davvero molto da fare. (T.V.)

Referenze: "I sapori della via Francigena seguendo l'itinerario
di Sigerico: itinerario gastronomico da Aosta a Roma" / a cura
di Andrea Roncoli e Luca Santini. - Camaiore : Comune di
Camaiore, 2004. - 111 p. ; 24 cm.
Fabrizio
Vanni


Centro Studi Romei di Firenze c/o Basilica di San Miniato al
Monte <Firenze>
http://utenti.lycos.it/Centro_Studi_Romei




GdS 10 XI 05 
www.gazzettadisondrio.it

Fabrizio Vanni
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