Nuovo Codice dei Beni Culturali e Paesaggistici
Sviluppo della
cultura e tutela del paesaggio e del patrimonio storico e
artistico
Presentazione da
parte del Governo del
Nuovo Codice dei beni culturali e paesaggistici.
Il Consiglio dei Ministri infatti il 16 gennaio scorso ha varato il nuovo
codice per i Beni Culturali e Paesaggistici, sulla base della
delega prevista dall'art.10 della legge n. 137 del 6 luglio
2002.
Di fronte alla crescente complessità nello sviluppo del
territorio italiano e al cambiamento del quadro istituzionale
con la modifica del Titolo V della Costituzione è stato
necessario aggiornare le norme riguardanti la tutela del
patrimonio culturale e paesaggistico nazionale, risalenti al
1939.
Con una decisa semplificazione legislativa, il codice fornisce
uno strumento unico per difendere e promuovere il tesoro degli
italiani, coinvolgendo gli Enti Locali e definendo in maniera
irrevocabile i limiti dell'alienazione del demanio pubblico, che
escluderà i beni di particolare pregio artistico, storico,
archeologico e architettonico.
Il cardine attorno al quale ruota il Codice è l'art.9 della
Costituzione, in forza del quale la Repubblica promuove lo
sviluppo della cultura e tutela il paesaggio e il patrimonio
storico e artistico della Nazione.
All'interno del "patrimonio culturale nazionale", si inscrivono
due tipologie di beni culturali: i beni culturali in senso
stretto, coincidenti con le cose d'interesse storico, artistico,
archeologico etc., di cui alla legge 1089 del 1939, e quell'altra
specie di bene culturale, in senso più ampio, che è costituita
dai paesaggi italiani (già retti dalla legge 1497 del 1939 e
dalla legge "Galasso" del 1985), frutto della millenaria
antropizzazione e stratificazione storica del nostro territorio,
un unicum nell'esperienza europea e mondiale tale da meritare
tutto il rilievo e la protezione dovuti.
Cosa cambia con il nuovo codice
Il cardine attorno al quale ruota il Codice è l'art.9 della
Costituzione, in forza del quale la Repubblica promuove lo
sviluppo della cultura e tutela il paesaggio e il patrimonio
storico e artistico della Nazione. All'interno del "patrimonio
culturale nazionale", si inscrivono due tipologie di beni
culturali: i beni culturali in senso stretto, coincidenti con le
cose d'interesse storico, artistico, archeologico etc., di cui
alla legge 1089 del 1939, e quell'altra specie di bene
culturale, in senso più ampio, che è costituita dai paesaggi
italiani (già retti dalla legge 1497 del 1939 e dalla legge "Galasso"
del 1985), frutto della millenaria antropizzazione e
stratificazione storica del nostro territorio, un unicum
nell'esperienza europea e mondiale tale da meritare tutto il
rilievo e la protezione dovuti.
- 1 La riforma del Titolo V della Costituzione ha distinto
l'attività di tutela da quella di valorizzazione, cosa che, dal
punto di vista scientifico, non appare giustificata e, dal punto
di vista amministrativo, crea non pochi problemi. Soprattutto
essa ha, in una certa misura, amputato la stessa funzione di
tutela, sottraendole quell'insieme di attività che della tutela
stessa rappresentano lo sbocco necessario: si individua, si
protegge e si conserva il bene culturale affinchè possa essere
offerto alla conoscenza ed al godimento collettivi. Il codice,
quindi, ha avuto l'arduo compito di ricomporre la materia sulla
base dei nuovi equilibri costituzionali. E' stata ricercata una
soluzione equilibrata prevedendo, in primo luogo, ampi margini
di cooperazione delle regioni e degli enti territoriali
nell'esercizio dei compiti di tutela; dall'altro, distinguendo
concettualmente la fruizione dalla valorizzazione propriamente
detta e privilegiando, nell'esercizio di entrambe le funzioni,
il modello convenzionale: Stato, regioni ed enti locali agiscono
sulla base di programmi concordati con l'obiettivo di costituire
un sistema integrato di valorizzazione. Per quanto riguarda, in
particolare, la funzione di tutela, si è tenuto conto della
necessità di assicurare sull'intero territorio nazionale
un'azione il più possibile coerente e rispondente ad una logica
unitaria di intervento, in modo da non creare, in un settore
così delicato, frammentazioni e disparità. Pertanto, si è
ritenuto prevalente, nell'ambito dei principi-guida fissati ai
commi primo e terzo dell'art. 118 Cost., il principio della
unitarietà dell'azione amministrativa; e ad esso si è improntato
il criterio di attribuzione delle funzioni in materia di tutela
del patrimonio culturale. Si è pertanto individuato nel
Ministero il titolare "naturale" delle funzioni sopradette,
prevedendo tuttavia la possibilità che il relativo esercizio
avvenga anche attraverso il conferimento, sulla base di appositi
atti di intesa e coordinamento, di specifici settori di attività
in primis alle regioni e in via subordinata anche agli enti
locali, quando ciò risponda ad una più puntuale ed opportuna
applicazione dei principi di sussidiarietà e differenziazione.
Di pari passo sono state meglio definite le nozioni di "tutela"
e di "valorizzazione", dando loro un contenuto chiaro e rigoroso
e precisando in modo univoco il necessario rapporto di
subordinazione che lega la valorizzazione alla tutela, così da
rendere la seconda parametro e limite per l'esercizio della
prima. Si è comunque ritenuto di confermare in capo alle regioni
a statuto ordinario l'ambito oggettivo delle attribuzioni ad
esse precedentemente conferite in via di delega, concernente
quella parte dei c.d. "beni librari". In relazione a tali beni,
tuttavia, queste competenze risultano assai più estese rispetto
al precedente assetto, in quanto abbracciano l'intera gamma dei
compiti ascrivibili alle funzioni di tutela. Quanto alla
valorizzazione, si è ribadita - in omaggio al dettato
costituzionale - la potestà legislativa concorrente delle
regioni, nell'ambito dei principi fondamentali fissati dal
codice; mentre per lo svolgimento delle funzioni amministrative
si è fissato il principio dell'ordinario ricorso ad accordi o
intese, finalizzati ad assicurare il necessario coordinamento
sul territorio delle relative attività.
- 2 Relativamente ai beni culturali di proprietà privata, con il
codice si è colta l'occasione per prevedere una forma di "giustiziabilità"
interna della dichiarazione di interesse culturale. Lo strumento
del ricorso amministrativo consente all'Amministrazione di
riappropriarsi di una funzione di controllo di merito sui propri
provvedimenti. In tal modo, si è offerta ai destinatari di un
provvedimento di dichiarazione l'opportunità di far emergere
elementi nuovi o non sufficientemente valutati o per far
rilevare eventuali vizi dell'atto, soprattutto sotto il profilo
tecnico.
- 3 Il codice ha preso spunto dalla possibilità di affidare beni
archivistici in temporanea custodia all'Amministrazione, al fine
di estenderla ad ogni tipologia di bene culturale. Constatato
che lo strumento del deposito non è del tutto idoneo allo scopo,
si è ritenuto che per l'affidamento di beni culturali privati a
strutture museali statali, fosse più adatto l'istituto
civilistico del comodato. L'istituto appare di notevole appeal
per i privati proprietari, dal momento che li solleva, per un
periodo di tempo non limitatissimo, da ogni onere di custodia e
restauro del bene.
- 4 Il codice disegna poi la nuova disciplina dell'alienabilità
dei beni culturali di proprietà pubblica. Occorre precisare che
l'alienabilità era stata già ammessa dalla legge finanziaria per
il 1999. Un successivo decreto attuativo del 2000 ne aveva
definito limiti e condizioni ma il sovrapporsi di numerosi
interventi normativi successivi, spesso confusi, aveva finito
per rendere poco chiaro il relativo regime giuridico di
alienabilità. E' stato innanzitutto affermato il principio che i
beni culturali appartenenti al demanio dello Stato e degli altri
enti pubblici territoriali non possono essere alienati o formare
oggetto di diritti a favore di terzi se non nei modi previsti
dallo stesso codice, in modo da riportare unità e chiarezza
nella disciplina di settore. Sulla base di tale principio si è
quindi provveduto ad individuare un nucleo di beni culturali
demaniali sottratti in modo assoluto alla circolazione. In via
provvisoria e cautelare, è stata poi disposta l'inalienabilità
di tutte le cose immobili e mobili ultracinquantennali e di
autore non più vivente, di appartenenza pubblica, fino a quando
non sia intervenuta la prevista verifica del loro effettivo
interesse culturale. Fissato l'ambito di ciò che non può essere
alienato, il Codice provvede a disciplinare condizioni e modi
per l'alienazione degli altri beni culturali pubblici,
distinguendo tra demaniali e non demaniali. Il sistema
introdotto prevede in ogni caso l'autorizzazione del Ministero;
ma i procedimenti e le condizioni per il rilascio dell'assenso
alla vendita sono diversificati a seconda che si tratti di beni
immobili demaniali ovvero di altri beni, acquistando particolare
rilievo per i primi il profilo dell'utilizzazione. Per tali beni
è dunque stabilito che l'autorizzazione ministeriale possa
essere rilasciata solo se dalla vendita non derivi danno alla
loro conservazione e non risulti menomata la loro pubblica
fruizione; e se nel provvedimento autorizzativo siano indicate
le destinazioni d'uso compatibili con il carattere
storico-artistico degli immobili e comunque tali da non recare
danno alla loro conservazione.
- 5 Quanto alla valorizzazione dei beni culturali, la relativa
disciplina si è resa necessaria, come detto, per dare attuazione
all'art. 117 Cost.. Essa contiene, pertanto, i principi
fondamentali che presiedono, unitamente a quelli dettati nella
Parte prima, all'esercizio della potestà legislativa regionale
primaria e secondaria. Le attività e i servizi pubblici di
valorizzazione sono svolti dalle pubbliche amministrazioni, di
regola, in forma diretta. Si può però ricorrere alla
esternalizzazione delle attività e dei servizi quando ciò
risponda all'esigenza di assicurare un migliore livello della
fruizione pubblica dei beni culturali.
- 6
La Parte terza del codice raccoglie le disposizioni inerenti la
tutela e la valorizzazione dei beni paesaggistici. Un elemento
di innovazione che orienta la nuova disciplina è costituito
dalla definizione di paesaggio. Un parametro fondamentale di
riferimento, nell'elaborazione del codice, è stata la
Convenzione europea del paesaggio, aperta alla firma a Firenze
il 20 ottobre 2000. E' stato poi introdotto il principio della
cooperazione tra le amministrazioni pubbliche nel definire gli
indirizzi e i criteri che attengono alle attività fondamentali
rivolte al paesaggio ed è stata anche indicata la prospettiva
dello sviluppo sostenibile, quale elemento che, ferma restando
la priorità dell'obbligo della salvaguardia e della
reintegrazione del paesaggio, può concorrere con essi al
raggiungimento degli obiettivi di tutela del territorio. Anche
sotto questo profilo il codice innova la precedente
legislazione, dando riconoscimento normativo al concetto dello
sviluppo sostenibile e attraverso di esso alla possibilità di
assicurare la localizzazione, minimizzare gli impatti ed
assicurare la qualità progettuale delle opere e degli interventi
che sia necessario realizzare in aree di particolare valore.
- 7 La protezione e valorizzazione del paesaggio viene anzitutto
assicurata mediante un'adeguata pianificazione. Il codice
mantiene la potestà di imporre vincoli provvedimentali,
attribuita alle Regioni, sulla base delle valutazioni delle
commissioni miste regionali o, in caso di inerzia, al Ministro.
Rispetto alla pianificazione, i vincoli assumono il ruolo di
anticipare le opportune forme di tutela per singole aree o
complessi immobiliari, e comunque costituiscono il presupposto
imprescindibile di cui la disciplina territoriale dovrà tener
conto. L'attività pianificatoria viene estesa a tutto il
territorio regionale. E' questo il primo aspetto innovativo
rispetto al Testo unico, che sanciva l'obbligo di pianificare le
aree tutelate ope legis e la facoltà di pianificare le località
dichiarate di notevole interesse pubblico. Il secondo elemento
di novità è costituito dall'individuazione delle fasi
costitutive, dei contenuti e delle finalità del piano
paesaggistico. L'elaborazione dei piani territoriali paesistici
e dei piani urbanistico-territoriali aventi comunque valore di
piano paesaggistico è quindi, per la prima volta, ricondotta a
principi ed a modalità comuni per tutte le regioni e tali da
assicurare una pianificazione adeguata. Viene previsto che il
piano ripartisca il territorio regionale per ambiti omogenei: da
quelli che possiedono un pregio paesistico di notevole rilievo
fino a quelli, invece, degradati che quindi necessitano di
interventi di riqualificazione, così da individuare i differenti
livelli di integrità dei valori paesistici, la loro diversa
rilevanza e di scegliere per ogni ambito le forme più idonee di
tutela e di valorizzazione. Alle caratteristiche di ogni ambito
debbono corrispondere obiettivi di qualità paesistica da
preservare o conseguire. La prioritaria attività conservativa
dei valori e delle morfologie tipiche del territorio è stata
affiancata dall'elaborazione delle linee di uno sviluppo che sia
compatibile rispetto ai diversi livelli dei valori già
accertati. Lo sviluppo non deve comunque diminuire le valenze
del paesaggio e deve, in particolare, salvaguardare le aree
agricole che ricevono particolare attenzione nella disposizione.
Tra gli obiettivi viene anche contemplata la riqualificazione
delle aree compromesse o degradate e, di conseguenza, il
recupero dei valori perduti o la creazione di nuovi valori
paesistici. Al piano paesaggistico, in considerazione della
diversità e dell'efficacia delle previsioni, è stato attribuito
un contenuto conoscitivo, prescrittivo e propositivo. Una
notevole novità è costituita dalla previsione che tra le singole
Regioni ed il Ministero vengano stipulati accordi per
l'elaborazione d'intesa dei piani paesaggistici. La centralità
attribuita allo strumento degli accordi, ai fini
dell'adeguamento dei piani esistenti e comunque
dell'elaborazione dei nuovi, mira a superare i conflitti spesso
verificatisi fra amministrazioni regionali ed organi
ministeriali ed a rendere finalmente possibile l'attuazione di
quella leale e proficua cooperazione fra Stato e Regioni nella
tutela del paesaggio, costantemente richiamata dalla Corte
Costituzionale.
- 8 Il codice opera una modifica sostanziale della disciplina del
controllo sulle autorizzazioni paesaggistiche, oggi soggette
all'annullamento ministeriale (per soli motivi di legittimità)
previsto dall'articolo 151 del Testo unico. Tale procedimento
viene conservato in via transitoria, nelle more dell'adeguamento
dei piani paesaggistici. Le motivazioni di tale scelta sono
anzitutto legate ai limiti, nella prospettiva di un'efficace
salvaguardia del territorio, manifestati dal procedimento
vigente nei diciotto anni di applicazione. L'efficacia interdittiva di interventi che pregiudicano il paesaggio
assicurata dal sistema di controllo vigente, infatti, è
essenzialmente legata alla insufficienza della motivazione con
cui i Comuni (subdelegati in tutte le Regioni, ad eccezione del
Piemonte) valutano la compatibilità con il vincolo in sede di
rilascio delle singole autorizzazioni. Inoltre, si è considerato
come il rilascio di autorizzazione susciti nell'interessato
aspettative all'edificazione che, in caso di annullamento,
comportano pregiudizi incolpevoli e inducono comunque a
sviluppare un contenzioso, che sovente vede il Ministero
soccombere e rispetto al quale appare opportuno un intervento
deflattivo.La nuova disciplina a regime, presupponendo vincoli
corredati da criteri di gestione, appare tale da consentire una
valutazione effettiva della compatibilità paesaggistica degli
interventi, dapprima in sede di autorizzazione e poi in sede di
controllo della stessa.
Il Ministro Orbani
"Dopo oltre sessanta anni dalle leggi Bottai del 1939 sulle cose
d'arte e sulle bellezze naturali, - ha dichiarato il Ministro
Urbani - con il Codice dei beni culturali, per la prima volta, è
stata tentata una risistemazione aggiornata (e non solo
compilativa come è invece avvenuto per il Testo Unico del 1999)
del corpus normativo sui beni culturali. Il rispetto per
l'impianto fondamentale della tradizionale disciplina dei
vincoli in tema di beni culturali in senso stretto non ha
impedito l'introduzione di importanti riforme dei singoli
istituti. Sono inoltre stati introdotti nuovi modelli di
gestione e di valorizzazione capaci di coniugare al meglio le
esigenze prioritarie della tutela con una visione moderna del
bene culturale, inteso anche come risorsa. Per quanto riguarda
il paesaggio, è stata operata una vera rivoluzione copernicana
che permetterà di superare l'empasse amministrativa dovuta al
continuo conflitto con le istanze regionali e locali di
pianificazione del territorio. Si giunge così ad una
pianificazione e gestione del paesaggio in accordo con le realtà
territoriali, ma pur sempre capace di salvaguardare gli
straordinari caratteri culturali dei paesaggi italiani come
patrimonio identitario dell'intera collettività nazionale".
Red
GdS 30 I 04
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