Italia nel mirino UE per gestione acqua e qualità aria

Non siamo i soli ma mal comune non é mezzo gaudio!

Il fatto
Mancato rispetto delle normative comunitarie sulla riduzione dell'inquinamento atmosferico e la gestione delle risorse idriche.

Su questi elementi la Commissione europea ha deciso di colpire alcuni Paesi, tra i quali l’Italia.

È stata infatti inviata la lettera di messa in mora, - primo passo della procedura d'infrazione - per non aver predisposto un piano per la riduzione degli agenti inquinanti più pericolosi presenti nelle aree urbane. L'Italia è destinataria anche di un'altra lettera di costituzione in mora, per non aver osservato il termine del dicembre 2000 previsto l'installazione di adeguati impianti di trattamento idrico sulle acque reflue delle città con più di 15mila abitanti e di un “parere motivato” (che potrebbe mutare in un deferimento alla Corte Europea di Giustizia) per non avere attuato nella sua legislazione interna le norme della direttiva quadro sulla gestione delle risorse idriche. Nel mirino della Commissione europea, sono finiti altri 12 paesi membri, insieme al nostro. Il parere motivato inviato oggi invita nove di questi ''a prendere urgentemente tutte le misure necessarie'' per conformarsi alla direttiva quadro sulla qualità delle risorse idriche, attraverso la gestione integrata e transfrontaliera delle acque. Una legislazione che doveva essere recepita negli ordinamenti nazionali entro il dicembre del 2003 e che tutela, in modo particolare, i fiumi, i laghi, le acque costiere e quelle sotterranee. Tuttavia, Belgio, Germania, Italia, Finlandia, Lussemburgo, Olanda, Gran Bretagna, Portogallo e Svezia non hanno ancora terminato l'iter legislativo necessario, violando così il diritto comunitario. Insieme a Francia, Grecia, Irlanda, Portogallo, Gran Bretagna e Spagna, l’Italia è particolarmente carente nel trattamento delle acque reflue nelle città con oltre 15mila abitanti. Il limite ultimo posto dalla direttiva Ue per realizzare il cosiddetto trattamento secondario (contro i batteri, i virus e i nutrienti presenti nelle acque urbane) in questo caso, era il 31 dicembre del 2000.

Il commento di Mauro d’Ascenzi, presidente Federgasacqua

IL BAMBINO E L’ACQUA SPORCA.

Ci siamo. Il momento della resa dei conti arriva sempre ed ancora una volta, nel caso dell’acqua, è legato alle questioni tariffarie ed alle scelte di politica industriale che il nostro Paese deve effettuare in materia di risorse idriche. Non rappresenta certo una novità per gli operatori del settore, la notizia che l’Italia sia molto indietro nel trattamento delle acque reflue. Ci sono pochi depuratori, l’acqua potenzialmente “riutilizzabile” è scarsa e paradossalmente proprio il settore che dovrebbe utilizzarla (ovviamente quello agricolo, non essendo destinabile all’uso umano) è esentato dal pagamento. In parte la colpa di questo ritardo è dovuto alla normativa. L’Italia ci ha messo otto anni per recepire le indicazioni contenute nella direttiva 91/271/CEE e lo ha fatto nel 1999 con il D.Lvo n° 152. C’è stato poco tempo per rispettare le scadenze prefissate dalla UE e questo ha comportato (e comporterà ancora a lungo) una corsa all’adeguamento. Molto è stato fatto e non è il caso di gettare il bambino insieme all’acqua sporca. I veri problemi da affrontare sono il quadro normativo ed il metodo tariffario. Se non ci sono certezze giuridiche per le modalità di affidamento. Se il metodo tariffario - inadeguato – non consente di remunerare gli investimenti effettuati. Se gran parte delle gare che vengono bandite vanno deserte a causa della poca chiarezza degli aspetti economici. Come si possono realizzare Piani di Ambito che abbiano al loro interno anche le infrastrutture per la depurazione e la gestione di queste? Il ciclo integrale dell’acqua, che comprenda anche l’utilizzo e lo smaltimento delle acque reflue, non è improvvisabile. Necessita di previsioni, di calcoli, di corrette misurazioni e dell’individuazione di gestori in grado di garantirne il funzionamento. Una soluzione potrebbe essere nell’inserimento del ciclo idrico nelle politiche delle “Grandi Opere” e l’emanazione di un metodo tariffario che tenga conto di tutti questi punti deboli. Con questi due aspetti forse si avrà finalmente una risposta alla domanda: “va bene costruire impianti, ma chi li paga?”
Quindici - Federgasacqua 



GdS 30 VII 04 
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