Ecosistema Urbano 2005 di Legambiente Raccolta differenziata dei rifiuti: solo 11 città italiane, fra cui Sondrio, in regola

Raccolta differenziata dei
rifiuti: solo 11 citta'in regola


Lo afferma Legambiente. Piu' virtuosi i centri del Nord (ANSAweb)-ROMA,
25 APR - La percentuale di raccolta differenziata sul totale dei
rifiuti urbani e' in crescita, ma ''solo 11 citta' hanno
raggiunto gli obiettivi di legge''. Lo rileva Legambiente.
L'obiettivo del 35% previsto per il 2003, e' stato raggiunto da
sole 11 citta': Verbania, Lecco, Reggio Emilia, Brescia,
Bergamo, Treviso, Sondrio, Padova, Cuneo, Lucca, Pisa. Tutti
centri del Nord. La prima citta' del sud in classifica e'
Teramo, col 24,8%. Le ultime 28 posizioni (sotto 10%) sono tutte
per il sud e per il centro. In generale al Sud la situazione si
muove ancora molto lentamente: sono ancora 16 le citta' con un
tasso di raccolta inferiore al 5% (erano 18 nel 2002 e 23 nel
2001) e comunque i risultati sono molto al di sotto delle
previsioni fatte oltre che fortemente in ritardo rispetto alle
azioni e ai soldi investiti per l'avvio di un sistema integrato
di gestione dei rifiuti. A livello nazionale, infine, i comuni
con percentuali di raccolta superiori al 25% sono ancora meno
della meta' (40), mentre sono 60 quelli che hanno superato il
15%. (ANSAweb).

Produzione di procapite di rifiuti urbani [kg/abitante/anno
di RU al lordo delle raccolte differenziate;fonte:censimento
Ecosistema Urbano 2005]


Nonostante la produzione complessiva di rifiuti urbani –indice
del carico ambientale generato dai consumi –continui a crescere
(+1.1%),il numero di città in cui si verifica un aumento della
produzione di rifiuti è in calo (47%contro il 66%del 2002).Aumenti
decisi, superiori al 5%,sono registrati in 11 comuni.Isernia è
la sola a dichiarare un valore pro capite inferiore a 400 kg/ab,mentre
circa la metà delle città si colloca tra i 500 ed i 600 kg/ab.La
percentuale di comuni che riesce a contenere i rifiuti prodotti
al di sotto dei 500 kg/ab è la stessa dello scorso anno (22%).Ma
scende dal 36%al 32%la quota che si colloca al di sopra del dato
medio procapite (600 kg/ab).Tra i 12 valori che superano i 700
kg/ab (caratteristici,in genere,di aree ad alta affluenza
turistica o dove è presente una 27 forte commistione con rifiuti
assimilabili di origine industriale)vi sono 4 comuni toscani e 5
dell ’Emilia Romagna.

Raccolte differenziate

[%sul totale di RU prodotti;fonte:censimento Ecosistema Urbano
2005]

La percentuale di raccolta differenziata sul totale dei rifiuti
urbani registra una buona crescita e si attesta,in media,al
18,3%,due punti e mezzo percentuali in più rispetto allo scorso
anno.Il trend generale si conferma in aumento anche se la
raccolta differenziata stenta ancora a decollare nei comuni del
Sud.Ad esclusione di Teramo,che ha raggiunto il 25%,la prima
città del Sud classificata è Benevento,61° con poco meno del 15%.Nel
1999 il 37% dei comuni era riuscito a raggiungere il limite del
15% previsto dal D.lgs 22/1997,mentre nel 2001 la percentuale di
comuni che rispettava il nuovo limite del 25% (previsto dallo
stesso decreto) era calata al 20%.L ’obiettivo del 35% previsto
per il 2003,è stato raggiunto da sole 11 città:Verbania; Lecco;
Reggio Emilia; Brescia; Bergamo; Treviso; Sondrio; Padova;
Cuneo; Lucca; Pisa. I comuni con percentuali di raccolta
superiori al 25% sono ancora meno della metà (40),mentre sono 60
quelli che hanno superato il 15%.Al Sud la situazione si muove
ancora molto lentamente:sono ancora 16 le città con un tasso di
raccolta inferiore al 5%(erano 18 nel 2002 e 23 nel 2001).Occorre
ricordare che,in alcuni casi,i dati risultano sottostimati in
quanto,per esigenze di comparabilità,la quota di raccolta
differenziata è calcolata in base a 10 voci principali (vetro,
carta, plastica, multimateriale, legno, verde, organico,
alluminio e materiali ferrosi, tessili,ingombranti) al netto di
tutte quelle altre voci che non sempre sono garanzia di un
effettivo recupero o riciclo.Le città che risentono maggiormente
della sottrazione di queste quote (differenze superiori al 5%)
sono:Alessandria, Ancona, Como, Cosenza, Grosseto, La Spezia,
Modena, Piacenza e Terni.


http://www.miw.it/Ecosistemaurbano4.htm

Ecosistema Urbano 2005
di Legambiente

Undicesimo rapporto sulla qualità ambientale dei comuni
capoluogo di provincia



Lecco, oscar della qualità ambientale

Maglia verde senza aver vinto nemmeno una tappa. La scalata di
Lecco al vertice di Ecosistema Urbano è di quelle che lasciano
di stucco i concorrenti. Certo è seconda dietro Verbania per la
raccolta differenziata, alle spalle di Siena, Pavia e Rieti per
la qualità del trasporto pubblico, tra le prime dieci per
quantità di rifiuti prodotti e per numero di automobili in
circolazione, in 33a e 44a posizione per l’estensione delle zone
a traffico limitato e per la lunghezza delle piste ciclabili.
Poi tanti piazzamenti di metà classifica – come quelli per i
consumi d’acqua potabile – e anche un paio di scivoloni sul
verde urbano o sulla grandezza delle isole pedonali. Tra i
parametri presi in esame a dire il vero un primato parziale la
cittadina lacustre lo conquista. E’ quello della qualità della
rete di monitoraggio, in grado di fiutare l’aria urbana in
maniera ottimale e dare un verdetto preciso, completo e
attendibile sugli inquinanti presenti in atmosfera. Ma è un
campo che vede altri 55 comuni vantare un analogo risultato.

I testacoda di Ecosistema Urbano 2005

Eppure non sorprende affatto il primato di Lecco in Ecosistema
Urbano 2005 di Legambiente e il Sole 24 Ore, l’annuale ricerca
sulla qualità ambientale dei centri urbani capoluogo di
provincia realizzata con la collaborazione scientifica
dell’Istituto di Ricerche Ambiente Italia. Non è inaspettato
perché le performance del capoluogo lombardo sono da un triennio
in costante ascesa: era 25 a nel rapporto del 2002, 12 a in
quello del 2003, 4 a lo scorso anno. Non è casuale perché nei
tre settori assai importanti nella valutazione dell’operato di
una amministrazione locale in campo ambientale – gestione dei
rifiuti urbani, depurazione delle acque reflue e trasporto
pubblico – c’è a Lecco una buona tradizione. Non è fuorviante
perché per un’Italia delle città che in campo ambientale magari
non è al top della sostenibilità ma cerca comunque di darsi una
mossa, c’è un’altra Italia che sta ferma o talvolta fa passi
indietro. La prima la troviamo soprattutto al nord e nelle città
di piccole e medie dimensioni. A Lecco appunto ma anche negli
altri centri premiati dai primi dieci posti della classifica di
Ecosistema Urbano 2005: Trento e Mantova, Ferrara e Pavia,
Cremona, Livorno e Bolzano, Cuneo e Pisa. Ben accennata è anche
in quelle altre dieci città che vanno dall’11° al 20° posto,
meritevoli perciò di una menzione positiva: Varese, Trieste,
Bergamo, Biella, Parma, Siena, Udine, La Spezia, Arezzo, Savona.

La crisi del Sud, l’insostenibilità di Milano e Napoli

L’altra faccia della medaglia è l’Italia delle grandi aree
metropolitane, di Torino e Napoli, di Milano e Palermo, delle
città medio-piccole del meridione, delle costruzioni illegali,
dei servizi mediocri, delle emergenze - quella dei rifiuti su
tutte - degli allarmi smog, della carenza idrica. E’ l’Italia di
Reggio Calabria o Agrigento, ad esempio, ultime quest’anno e con
un rendimento ambientale che nel corso del tempo è sempre stato
pessimo. Il centro urbano siciliano non ha dati sulla qualità
dell’aria, non ha isole pedonali, non ha un efficiente sistema
di depurazione delle acque sporche, non ha un trasporto pubblico
decente, non ha spazi verdi apprezzabili. In “compenso” ha
tantissime case abusive (14 ogni 10mila abitanti quelle
costruite nel solo 2003) che si spingono fin dentro l’area
archeologica della Valle dei Templi, a ridosso dei monumenti
greci dichiarati dall’Unesco patrimonio dell’umanità. E che dire
di Reggio Calabria, che butta senza nessun filtro nei torrenti,
nei fossi e nel mare l’85% dei suoi scarichi fognari, che può
“vantare” un millimetro di pista ciclabile per abitante, che
consuma più elettricità della media nazionale o che ha una
concentrazione di nitrati nell’acqua potabile di quattro volte
superiore al tetto suggerito dall’Oms per la tutela della salute
umana. L’insostenibilità urbana abita poi in tanti altri centri
dalle dimensioni metropolitane o di medie e piccole dimensioni:
Nuoro, Frosinone, Catania, Trapani, Ragusa, Vibo Valentia,
Messina, Imperia, Sassari, Palermo.


Eccola la testa e la coda di Ecosistema Urbano 2005,
l’undicesimo rapporto di Legambiente sulla qualità ambientale
dei comuni capoluogo di provincia. La ricerca è realizzata con
la consueta partecipazione scientifica di Ambiente Italia e da
quest’anno si avvale della preziosa collaborazione editoriale de
Il Sole 24 Ore.


Il rapporto raccoglie ogni anno, sia con questionari e
interviste dirette ai 103 comuni capoluogo di provincia sia
sulla base di altre fonti statistiche, informazioni su 125
parametri ambientali per un corpus totale di oltre 125mila dati.
Questa raccolta viene sintetizzata in 26 diversi indicatori di
qualità ambientale riferibili a tre macro-classi: indicatori di
pressione che misurano il carico generato sull’ambiente dalle
attività umane (consumi di acqua potabile, di carburante, di
elettricità, produzione di rifiuti solidi urbani, tasso di
motorizzazione), indicatori di stato che misurano la qualità
dell’ambiente fisico (smog, inquinamento idrico), indicatori di
risposta che rendono una misura della qualità delle politiche
messe in campo dall’amministrazione pubblica o dalla città più
in generale (abusivismo edilizio, perdite della rete idrica,
depurazione, raccolta differenziata, trasporto pubblico, isole
pedonali e zone a traffico limitato, piste ciclabili, aree
verdi, gestione ambientale nelle imprese e nella pubblica
amministrazione, monitoraggi e rilevamenti della qualità
ambientale).


Come in altri casi di indagini che costruiscono un ranking,
Ecosistema Urbano utilizza poi un indice basato su una scala
delle prestazioni per i vari indicatori sommando successivamente
i risultati di questi. Il sistema di valutazione infatti
attribuisce un voto in percentuale rispetto ad alcuni obiettivi
di sostenibilità. Obiettivi concreti e praticabili, a portata di
mano: si richiede ad esempio un 35 per cento minimo di raccolta
differenziata, una città con i valori di inquinamento
atmosferico più bassi della soglia di rischio per la salute
umana come a Viterbo, un territorio senza abusivismo edilizio
come ad Aosta (quello del cemento illegale è, nell’Unione
Europea, peculiarità esclusiva dell’Italia e della Grecia), un
trasporto pubblico esteso e utilizzato come a Trento o Siena
(possibile che esistano situazioni come quelle di Ragusa,
Vercelli o Frosinone dove gli abitanti salgono in media sui bus
meno di una volta al mese?). Dall’analisi integrata di queste
diverse performance si ricava la classifica generale.


Gli indicatori di Ecosistema Urbano consentono dunque, se non ci
si sofferma solo sulla posizione in classifica, di capire come
sta cambiando la gestione ambientale in Italia, dove sono i
fattori di carico sull’ambiente, quali sono i punti di crisi
della qualità ecologica delle città. La tipologia di indicatori
utilizzati serve soprattutto a valutare la sostenibilità di una
città, il carico che genera e la qualità delle risposte che
vengono date. La qualità ambientale delle città è in parte
altro, essendo determinata anche da una molteplicità di fattori
- come la struttura urbanistica, l’integrazione tra verde e
costruito o la qualità stessa del costruito - irriducibili ad
indicatore numerico. Ecosistema Urbano misura la febbre
ambientale delle città e l’efficacia delle politiche: è insomma
un ottimo termometro della sostenibilità.

Lo stallo ambientale delle città italiane

Questo termometro segnala con nettezza che l’Italia delle città
è in stallo. Il trend positivo che si percepiva diffusamente
qualche anno fa si è interrotto. Intanto c’è il condono edilizio
che ha favorito una ripresa dell’illegalità nel settore delle
costruzioni, corresponsabile di una crescita insostenibile,
disordinata, impattante sul territorio degli abitati. Se nel
2001 erano tanti gli esempi di abbattimenti di ecomostri grandi
e piccoli diffusi sul territorio, oggi questa ondata di legalità
si è arrestata e il mattone illegale ha ripreso invece vigore al
punto che nel solo 2003 sono state costruiti più di 40mila nuovi
edifici in violazione di qualsiasi norma urbanistica,
paesaggistica, ambientale.


Ma prendiamo, cambiando argomento, i proclami delle città
campane (da dieci anni esatti la Regione è commissariata per
l’emergenza rifiuti) che sventolavano un futuro fatto di una
corretta e conveniente gestione della spazzatura: Salerno
ricicla oggi l’8,3 per cento della spazzatura, Napoli ancora
meno (l’8 per cento, appena il due per cento in più rispetto al
2001), Caserta fa parte del gruppo di coda italiano con il 3,7
per cento. Centri urbani virtuosi a parte però (l’obiettivo del
35 per cento del decreto Ronchi è stato raggiunto e superato da
meno di una dozzina di capoluoghi) è la penisola nel suo insieme
che non progredisce: la differenziata è cresciuta dal 4 al 18
per cento in un decennio (è la metà di quell’obiettivo del 35
per cento fissato dalla legge) ma l’incremento non ha nemmeno
ridotto la quantità d'immondizia che finisce in discarica o
nell'inceneritore. Il riciclaggio è infatti cresciuto a un ritmo
dell’1,4 per cento annuo, la quantità di immondizia prodotta ha
viaggiato al 2 per cento.


Pesa in questo contesto il ritardo di alcuni grandi centri
urbani: Napoli e Roma da sole gettano in discarica un milione e
900 mila tonnellate di rifiuti, più della spazzatura raccolta in
maniera separata dall’insieme delle città capoluogo (un milione
e 800mila tonnellate) vanificando così a livello globale gli
sforzi che pure diverse amministrazioni fanno a livello locale.
Un ragionamento analogo si può fare per la depurazione degli
scarichi civili. Milano nel 2003 filtrava solo il 27 per cento
dei reflui. Quel buco del 73 per cento pesa tantissimo a livello
nazionale: è come se le cinque città in testa a Ecosistema
Urbano 2005 (che invece gli impianti li hanno e da anni)
convogliassero sic e simpliciter le proprie fogne nel Po o
nell’Adriatico.


Altro fronte caldo, e statico, è quello dello smog. Dal primo
gennaio prossimo entreranno in vigore in tutta Europa limiti
ancora più severi per le singole sostanze che ammorbano l’aria.
Prendiamo però il caso delle polveri sottili, inquinante
prodotto principalmente dal traffico: si registrano valori
valori fuori norma nel 70 per cento circa (48 su 71) delle città
che tengono sotto controllo questa sostanza: ci sono le medie
altissime delle solite note (Genova, Torino, Firenze, Roma,
Napoli, Milano) ma anche allarmi che non ti aspetti a Siena o
Lucca, a Modena e a Perugia. Nessuno dei provvedimenti messi in
campo dalle amministrazioni locali, né tanto meno dal governo,
sembra peraltro essere in grado di creare una inversione di
tendenza: targhe alterne o blocchi estemporanei della
circolazione – laddove ci sono – possono essere considerati
tamponi nella lotta allo smog, non certo misure strutturali
valide e durevoli. Mentre lo stato centrale oltre a un
immobilismo cronico sul tema propone un aggravamente della
congestione urbana investendo praticamente solo in
infrastrutture autostradali e sull’alta velocità ferroviaria
lasciando le briciole alle reti di trasporto collettivo
cittadino e metropolitano.


La carenza idrica poi: doveva essere una delle prime grandi
opere pubbliche del Paese considerata la cronica penuria d’acqua
al Sud e la vetustà della rete di distribuzione. Il risultato?
Ci si affida alle piogge e tante città, prendi Catania, perdono
da falle e buchi nelle tubature la metà dell’acqua a
disposizione.


Nei campi più svariati si possono cogliere altri segnali di un
deficit di strategie ambientali teso all’efficienza, alla
qualità, alla sostenibilità, al minor impatto sul territorio. Un
altro esempio? L’illuminazione pubblica, uno dei settori
d'intervento più a portata di mano delle amministrazioni locali
per incidere sui consumi energetici. Bene, nel '93 per
illuminare strade e piazze si consumavano 4.584 mln kWh. Oggi i
lampioni dei comuni sperperano un miliardo abbondante di kWh in
più. Eppure nessuna pensa di abbattere i costi della bolletta
con lampade a basso consumo energetico e a basso impatto
luminoso.


C’è infine l’aggravante finanziaria. I Comuni sono ormai
costretti a tirare la cinghia, vista la pesante riduzione dei
trasferimenti statali. Tagli che, sommati all’assenza di
efficaci e sistematiche politiche nazionali per la lotta al
traffico, ai consumi insostenibili, e all’inquinamento, sono
destinati a indebolire ancor di più l’opera comunque avviata in
questi anni o a frenare la partenza di strategie per la
sostenibilità in quei centri ancora fermi al palo.


Quel ramo del lago di Como…

Le precedenti considerazioni trovano una conferma nel primo
posto di Lecco. Non solo conquista “solo” meno dei due terzi dei
punti a disposizione (fatto 100 l’ipotetico punteggio massimo il
capoluogo lombardo si attesta a 62) ma non è al top in nessuno
dei parametri che la ricerca analizza. E’ spinta avanti dalla
continuità dimostrata in alcuni settori importanti, da consumi
inferiori alla media nazionale, da un tasso di motorizzazione
che – pur elevato – non ha niente a che vedere con quello delle
città più trafficate. Nel dettaglio raccoglie in maniera
separata e avvia al riciclaggio il 48,3 per cento dei rifiuti
urbani, seconda assoluta in questa graduatoria dietro Verbania
(51 per cento) e soprattuto con alle spalle già da anni
l’obiettivo minimo del 35 per cento. La gestione dei rifiuti (la
differenziata è partita nel 1990) sembra proprio il fiore
all’occhiello di Lecco, dal momento che la spazzatura prodotta
dalla cittadina è di un buon 20 per cento inferiore alla media
nazionale e distante anni luce da altri capoluoghi lombardi come
Brescia o Mantova (una testimonianza del fatto che la ricchezza
di una regione non necessariamente si traduce in spreco di
risorse). Anche se il depuratore comincia ad avere qualche anno
di troppo sul groppone Lecco è tra le migliori per il
trattamento dei reflui, a un soffio dal 100 per cento di
scarichi ben filtrati. Cento per cento raggiunto invece nel
sistema di monitoraggio dell’inquinamento atmosferico, ossia la
rete di centraline di rilevamento della qualità dell’aria
urbana, che però fiuta valori abbastanza elevati di biossido di
azoto (la media annua colloca Lecco al 39° posto in questo
indicatore). E’ comunque sotto il limite di legge per le
famigerate Pm10, le polveri sottili derivanti dai processi di
combustione (traffico, riscaldamento), è quarta tra le città
piccole per la frequenza d’uso del trasporto pubblico (gli
abitanti salgono mediamente sui bus 90 volte l’anno). Ha un
basso tasso di motorizzazione privata (è nona con 56 vetture
ogni 100 abitanti) e conseguentemente consumi di carburante più
contenuti rispetto agli altri centri del nord, generalmente i
più spreconi. Attivato già da alcuni anni lo strumento
dell’Agenda 21 locale, quell’insieme di politiche e strategie
per ridurre l’impatto ambientale e sociale in ambito urbano.
Nei? Poche isole pedonali, poco verde urbano, una zona a
traffico limitato non particolarmente estesa e al cui interno
circola comunque un numero troppo elevato di autovetture.


Lecco conquista insomma un primato meritato, ma accanto alle sue
virtù conta e parecchio sui vizi degli avversari: margini di
miglioramento ce ne sono e ampi. E diventano naturalmente sempre
più abbondanti man mano che si scende verso Reggio Calabria,
Agrigento o Nuoro, le posizioni più basse della classifica, dove
la sostenibilità appare davvero come una idea lontana.


Lecco guida una agguerrita compagine Lombarda che vede altri due
comuni tra i primi cinque (Mantova è terza, Pavia è quinta) e
altri tre nelle prime venti posizioni (Cremona, la reginetta del
precedente Ecosistema Urbano è oggi 6 a , Varese è 11 a ,
Bergamo 13 a). En plein per i due capoluoghi del Trentino Alto
Adige. A Trento va il posto d’onore, a Bolzano l’ottava piazza.
La Toscana ne ha quattro tra le prime 20: Livorno e Pisa sono
rispettivamente 7a e 10 a, Siena e Arezzo 16 a e 19 a. L’Emilia
Romagna realizza una doppietta con Ferrara 4 a e Parma 15 a così
come il Piemonte (Cuneo al 9 a posto e Biella al 14 a), la
Liguria (La Spezia al 18 a e Savona al 20 a) e il Friuli Venezia
Giulia (Trieste 12a e Udine 17 a). Solo sei regioni piazzano
capoluoghi ai primi 20 posti e sono le stesse sei regioni
(eccezion fatta per la Liguria) che non compaiono affatto tra i
20 fanalini di coda.


Appare ben evidente perciò che le vette del rapporto sulla
qualità dell’ambiente urbano sono dominio esclusivo del nord.
Matera è il primo capoluogo meridionale: siamo però già alla
posizione n° 29. Speculare, e dunque opposta, la situazione in
fondo alla graduatoria saldamente in mano alla Sicilia (7
capoluoghi sui 15 gradini più bassi), alla Calabria e alla
Sardegna (entrambe con 3 città tra le peggiori). Tra le grandi
città Bologna è la prima al 23° posto e Palermo l’ultima (92 a),
tra le metropoli vince Roma (55 a posizione generale), che
allunga il passo rispetto a Milano e Napoli (relegate all’81° e
all’84° posto).


Posizioni di classifica a parte va sottolineato che si è
radicalizzato quel divario che separa le città del nord da
quelle del sud sotto il profilo della capacità di gestione
ambientale. Se anni fa nelle città settentrionali più ricche
erano peggiori l’inquinamento atmosferico e acustico, più alti i
consumi e la produzione di rifiuti, maggiore il tasso di
motorizzazione privata e più soffocante il traffico, che non in
quelle del sud, i dati recenti ci parlano invece di un
livellamento incipiente. Se consideriamo il Pm10, importante
indicatore della qualità dell’aria, Taranto, Siracusa, Padova e
Verona hanno valori sovrapponibili al pari di Milano e Napoli.
Milanesi, torinesi e palermitani producono quasi la stessa
quantità di pattume. O meglio: i bidoni più pieni sono proprio
quelli del capoluogo siciliano. Lo stesso vale per i consumi
elettrici domestici che spesso fanno il paio con quelli del
nord. Ormai analogo il tasso di motorizzazione, prossimo al 63
per cento sia al nord che al sud. E poi c’è la piaga
dell’abusivismo edilizio, fenomeno largamente in mano alla
criminalità organizzata, dove il rapporto è nettamente
invertito: Campania, Sicilia, Puglia e Calabria da sole (le
quattro regioni a tradizionale presenza mafiosa) assommano più
della metà di tutta la produzione abusiva del Paese.


All’azzerarsi delle distanze fra gli stili di vita e il carico
ambientale non corrisponde però un adeguato innalzamento della
capacità di reazione: sotto il profilo della gestione ambientale
fra nord e sud c’è ancora un abisso. Dei 12 capoluoghi che non
effettuano un monitoraggio della qualità dell’aria o non sono in
grado di delineare un quadro attendibile 12 si trovano al sud. E
se cerchiamo fra le città (56) che effettuano un monitoraggio
completo ne troviamo solo 10 del meridione. Il 60 per cento
delle città che depurano meno della metà dell’acqua di fogna è
al sud, nella graduatoria della raccolta differenziata la
totalità delle città che già si è adeguata ai limiti di legge è
settentrionale: la prima città del sud che incontriamo è Teramo,
al 43° posto, col suo 24,8 per cento. Buona performance, certo,
ma Verbania col 51 per cento la doppia. Le ultime 28 posizioni
poi, quelle sotto il 10%, sono tutte, per il sud e per il
centro. Per non dire del trasporto pubblico: tra le metropoli la
peggiore è Napoli, tra le grandi città Bari, tra le medie
Latina, tra le piccole Ragusa.


E' una lacerazione, questa tra le diverse Italie, che segue in
definitiva il solco geografico del dislivello della ricchezza ma
che non trova più spiegazioni solo nella diversità di reddito:
dieci anni fa le città del Nord avevano sempre migliori
performance nei parametri di gestione (raccolta differenziata ad
esempio), contestualmente però in quell'area geografica si
registrava una maggiore pressione sull'ambiente: più auto, più
rifiuti, più energia consumata. E le differenze non sembrano
nemmeno essere riconducibili alla diversità degli schieramenti
che guidano le amministrazioni locali: Lecco e Trento, prima e
seconda, sono una governata dal centro-destra l'altra dal
centro-sinistra. Come Napoli e Milano, due metropoli appaiate in
zona retrocessione.


La situazione di Milano e Napoli è vicina molto più di quanto ci
si possa aspettare. Da una parte la città della madonnina, pur
con una buona raccolta differenziata, sconta ancora la mancanza
di una depurazione completa (fatto incredibile) e chiude al
traffico una porzione pressoché irrisoria del territorio
comunale. Entrambe, Milano e Napoli, appaiono impotenti nella
gestione della mobilità, navigano alla cieca e questo a dispetto
del fatto che Albertini è il primo sindaco ad aver ottenuto i
poteri speciali in questo settore essendo stato nominato
commissario governativo al traffico. Quest’anno poi si aggiunge
una inaspettata nota negativa: Milano infatti, cala molto nel
trasporto pubblico: pur restando su standard positivi perde
passeggeri. Per giunta l’aria è tutt’altro che buona ed i
consumi (carburanti, produzione rifiuti, consumi elettrici,
consumi idrici) sono estremamente alti. Quanto a Napoli perde 15
posizioni in un anno, è pressata da una illegalità diffusa nel
settore delle costruzioni, resta fissa al 6 per cento di
raccolta differenziata, ha valori di inquinamento atmosferico
simili a quelli di Milano e una depurazione insufficiente (60
per cento circa) ma doppia rispetto al capoluogo lombardo.


Torniamo al gruppo di testa. Trento fa un balzo dal 15° posto
dell’anno passato al secondo attuale e si distingue nel
trasporto pubblico (è prima tra le città medie con 153
viaggi/abitante/anno sui bus urbani) e nelle basse
concentrazioni di biossido di azoto, Pm10, benzene. Mantova era
5° un anno fa è terza oggi, con una rete acquedottistica che ha
perdite davvero ridotte all’osso (solo il 7%) e una
soddisfacente superficie interessata da zone a traffico
limitato. Ferrara è una delle città ciclabili per eccellenza ed
è tra le amministrazioni che più di tutte incentivano l’acquisto
e l’utilizzo di prodotti ad alta efficienza energetica. Pavia ha
un’acqua potabile pressoché priva di nitrati, Cremona è ai
vertici nell’uso di mezzi di trasporto pubblico poco inquinanti,
Livorno si affida al risparmio idrico, Bolzano punta sulla
seconda piazza nel parametro delle zone parzialmente chiuse al
traffico, Cuneo su perdite di rete risicate, Pisa sul record del
verde urbano totale all’interno del territorio comunale.


Giù giù si arriva a Reggio Calabria ultima (era terzultima nel
precedente rapporto) caratterizzata da un florido abusivismo
edilizio (11 case fuorilegge realizzate nel 2003 ogni 10mila
abitanti), dall’assenza di zone a traffico limitato, da un
monitoraggio dell’aria insufficiente (i dati non sono
praticamente attendibili), da una depurazione che filtra un
litro e mezzo di acqua sporca ogni 10 scaricati nelle fogne.
Agrigento, penultima, non ha nemmeno uno straccio di
informazione sulla qualità dell’aria e su quella dell’acqua, non
ha isole pedonali permanenti o zone a traffico limitato, ha
appena un metro quadrato di verde per abitante (la media
italiana è di 9,7). Il suo record, negativo però, è quello
dell’abusivismo edilizio: 14 edifici illegali nel 2003 ogni
10mila abitanti. Nuoro è al 101° posto, con una raccolta
differenziata poco più che sperimentale (2 per cento), un
trasporto pubblico inefficiente, un abusivismo edilizio, anche
qui, molto sviluppato.


CLASSIFICA FINALE
ECOSISTEMA URBANO 2005 (dati 2003, elab. 2004) -- Differenza
edizioni 2004-2005 --



Pos Città % Pt 2004 diff Pos Città % Pt 2004 diff Pos Città % Pt
2004 diff

1 Lecco 62,0% 4° +3 36 Pistoia 50,4% 49° +13 71 Firenze 45,7%
61° -10

2 Trento 61,6% 15° +13 37 Bari 50,3% 62° +25 72 Torino 45,4% 48°
-24

3 Mantova 60,8% 5° +2 38 Como 50,2% 47° +9 73 Asti 45,4% 79° +6

4 Ferrara 59,7% 8° +4 39 Ancona 50,2% 34° -5 74 Lecce 45,3% 56°
-18

5 Pavia 59,0% 13° +8 40 Genova 49,9% 41° +1 75 Padova 45,1% 74°
-1

6 Cremona 58,7% 1° -5 41 Lucca 49,8% 24° -17 76 Cagliari 44,9%
86° +10

7 Livorno 58,4% 31° +24 42 Belluno 49,6% 9° -33 77 Rieti 44,7%
40° -37

8 Bolzano 58,0% 25° +17 43 Modena 49,5% 30° -13 78 Crotone 43,8%
46° -32

9 Cuneo 57,8% 7° -2 44 Cosenza 49,5% 58° +14 79 Latina 43,5% 77°
-2

10 Pisa 57,6% 10° = 45 Aosta 49,5% 66° +21 80 Salerno 43,3% 88°
+8

11 Varese 57,2% 22° +11 46 Potenza 49,2% 32° -14 81 Milano 43,1%
84° +3

12 Trieste 57,0% 19° +7 47 Grosseto 49,1% 33° -14 82 Avellino
42,6% 80° -2

13 Bergamo 57,0% 6° -7 48 Caserta 48,7% 76° +28 83 Taranto 42,2%
85° +2

14 Biella 56,7% 11° -3 49 Pesaro 48,3% 42° -7 84 Napoli 42,2%
67° -17

15 Parma 56,5% 20° +5 50 Rimini 48,2% 60° +10 85 Isernia 41,4%
87° +2

16 Siena 56,3% 55° +39 51 Gorizia 48,0% 64° +13 86 Pescara 40,4%
83° -3

17 Udine 56,3% 21° +4 52 Vicenza 48,0% 38° -14 87 Siracusa 39,2%
94° +7

18 La Spezia 56,2% 26° +8 53 Macerata 47,9% 52° -1 88 Benevento
39,1% 92° +4

19 Arezzo 56,1% 14° -5 54 Brindisi 47,6% 50° -4 89 Enna 38,2%
102° +13

20 Savona 56,1% 27° +7 55 Roma 47,6% 68° +13 90 Catanzaro 37,6%
91° +1

21 Verbania 56,0% 3° -18 56 Foggia 47,6% 54° -2 91 Oristano
37,0% 90° -1

22 Sondrio 55,2% 2° -20 57 Teramo 47,5% 78° +21 92 Palermo 36,7%
89° -3

23 Bologna 55,2% 35° +12 58 Verona 47,1% 36° -22 93 Sassari
36,5% 75° -18

24 Brescia 54,7% 57° +33 59 Novara 47,1% 29° -30 94 Imperia
36,4% 82° -12

25 Ascoli Piceno 53,1% 53° +28 60 Lodi 47,0% 17° -43 95 Messina
35,0% 100° +5

26 Treviso 53,0% 80° +54 61 Chieti 47,0% 72° +11 96 Vibo
Valentia 34,6% 93° -3

27 Terni 53,0% 37° +10 62 Piacenza 46,8% 44° -18 97 Ragusa 34,3%
98° +1

28 Massa 52,5% 18° -10 63 Pordenone 46,7% 72° +9 98 Trapani
34,3% 95° -3

29 Matera 52,5% 16° -13 64 L'Aquila 46,7% 70° +6 99 Catania
33,8% 99° =

30 Prato 52,1% 12° -18 65 Rovigo 46,6% 28° -37 100 Frosinone
32,8% 96° -4

31 Caltanissetta 51,5% 39° +8 66 Alessandria 46,5% 69° +3 101
Nuoro 32,8% 97° -4

32 Reggio Emilia 50,9% 43° +11 67 Venezia 46,3% 23° -44 102
Agrigento 32,1% 103° +1

33 Ravenna 50,6% 45° +12 68 Vercelli 46,0% 65° -3 103 Reggio C.
31,3% 101° -2

34 Campobasso 50,4% 63° +29 69 Viterbo 45,9% 59° -10

35 Perugia 50,4% 71° +36 70 Forlì 45,7% 51° -19

Fonte: Legambiente, Ecosistema Urbano 2005 (Comuni, dati 2003)

Elaborazione: Istituto di Ricerche Ambiente Italia


*= In mancanza di valori aggiornati al 2003 i punteggi dei
comuni di Matera, Avellino, Oristano, Nuoro (evidenziati in
rosso) fanno prevalentemente riferimento ai dati 2002.

La città mosaico l’unica sostenibile

A ben guardare, i dati dei singoli indicatori di Ecosistema
Urbano 2005 evidenziano una clamorosa sorpresa. Una città che
sulla carta può soddisfare le esigenze di basso impatto
ambientale, consumi razionali, gestione efficiente dei servizi e
delle risorse c'è. O meglio ci sarebbe, potrebbe esserci, non
c'è ancora. Anche perché non si tratta di una vera e propria
città - non è insomma Lecco - ma di un ipotetico centro urbano
che è somma delle migliori performance dei singoli comuni in
determinati campi, unione di più tessere sparse lungo la
penisola. Questo Comune puzzle, questo mosaico di buoni
risultati ha ad esempio valori di raccolta differenziati
paragonabili a quelli di Verbania (51%), ha un elevato tasso di
uso del trasporto pubblico come Trieste o Roma (oltre 300 viaggi
pro-capite ogni anno), ha 33 metri quadrati di verde urbano per
abitante come Massa, ha isole pedonali estese come quelle di
Verbania (2 metri quadrati per abitante) o zone a traffico
limitato paragonabili a quelle di Siena (30 metri quadrati a
testa), si muove in bicicletta come Ferrara e come Pordenone non
trasforma l'elevato reddito pro-capite in spreco mantenendo i
consumi di carburante sotto la media nazionale, ha un sistema di
monitoraggio dell'inquinamento atmosferico efficiente come
quello di Bergamo, una depurazione delle acque paragonabile a
quella di Torino, zero case abusive come Aosta. E ancora
bassissime concentrazioni di inquinamento atmosferico e
acustico, una mobilità spedita e sicura, una buona qualità delle
acque potabili. Come detto, e come si può vedere dai numeri
appena descritti, tutto questo in Italia non fa più parte di un
libro dei sogni. Già esiste. Sparpagliato qua e là.

Le metropoli e le grandi città

Roma da un anno all’altro guadagna 11 posizioni e si piazza al
55° posto abbandonando le altre due aree metropolitane di Milano
e Napoli, le altre due città che superano in Italia il milione
di abitanti. Migliora la depurazione capitolina, migliora il
trasporto pubblico, cresce la superficie delle zone a traffico
limitato. Di fortemente negativo la capitale ha, come si diceva,
una gestione della spazzatura pessima: il 10 per cento di
raccolta differenziata a fronte di una produzione annua
pro-capite di 654 chilogrammi di rifiuti, mezzo quintale in più
della media nazionale. Pessima la qualità dell’aria, come a
Milano e Napoli, frutto anche qui di un deciso stallo nelle
politiche della mobilità (ci sono 76 automobili per 100 abitanti
e pochi interventi per ridurre la congestione quotidiana), ma
avviata al 100 per 100 la depurazione delle acque. Di Milano e
Napoli si è già detto, tra le grandi città spicca invece in
positivo il 23° posto di Bologna e in negativo il 92° posto di
Palermo.


Generalmente è proprio nel campo della mobilità che si
registrano nelle grandi città i deficit maggiori, la quotidiana
congestione delle arterie viarie, valori di inquinamento
atmosferico preoccupanti per la salute. Tutte sono ormai dotate
di una rete fissa di monitoraggio in grado di rilevare gli
inquinanti più comuni nocivi per la salute (biossido di azoto,
polveri sottili, benzene, anidride solforosa e monossido di
carbonio) e prodotti in massima parte dal traffico veicolare e
in minor misura dagli impianti di riscaldamento. L’analisi
comparata dei dati ufficiali mostra un trend davvero allarmante.
Lo sforamento, spesso significativo, dei valori limite previsti
a livello comunitario è ormai diventato una costante che si
presenta puntuale ogni anno. In ben 8 città su12 sono presenti
una o più aree critiche – i cosiddetti hot spot – in cui tutti e
tre gli inquinanti più problematici (biossido di azoto, Pm10 e
ozono) – superano in modo netto i valori limite per la
protezione della salute umana previsti dalla Ue. Venezia e Bari
sono le uniche due città a rientrare nel limite di 54
microgrammi per metro cubo previsto per l’NO2 relativamente al
2003, mentre a Genova, Roma, Firenze, Palermo e Bologna gli hot
spot superano di oltre il doppio il valore obiettivo di 40
microgrammi per metro cubo che entrerà in vigore nel 2010. Solo
Catania riesce a rimanere al di sotto del limite di 43,2
microgrammi per metro cubo previsto per il Pm10. Nel corso del
2003 le concentrazioni di polveri sottili sono state
particolarmente alte a Torino, Genova, Verona e Firenze dove in
alcune aree critiche è stato superato di oltre il 50 per cento
il valore obiettivo di 40 microgrammi per metro cubo previsto
per il 2005.


Anche non concentrandosi solo sulle zone peggiori ma analizzando
la media di tutte le centraline poste in area urbana la
situazione è tutt’altro che incoraggiante. Soltanto Bari è a
posto per entrambi i parametri di NO2 e Pm10. Quest’anno
Ecosistema Urbano ha raccolto anche i primi dati sull’ozono
classificandoli in relazione ai valori obiettivo stabiliti dalla
direttiva europea sulla materia del 2002. Il valore da
raggiungere entro il 2010 prevede che la massima media mobile
giornaliera sulle 8 ore delle concentrazioni di ozono possa
superare i 120 microgrammi/mc 25 volte al massimo in un anno. I
superamenti sono spesso tripli o quadrupli rispetto a questo
limite di legge e a Bari, Bologna, Palermo, Torino e Venezia si
va anche oltre i 125 sforamenti.


La situazione è nettamente migliore per il benzene, sostanza
altamente cancerogena contenuta nella benzina. Il valore limite
di 10 microgrammi/metro cubo è superato a Firenze mentre Torino
e Napoli sforano l’obiettivo di 10 milligrammi per metro cubo
del monossido di carbonio. Insomma nel corso del 2003 nessuna
grande città è risultata in regola con tutti gli inquinanti
considerati.

2003 NO2 PM10 OZONO

media media urbana max media media urbana max media max

Bari 35 36 44 39 39 54 79 133

Bologna 56 62 83 42 50 55 81 143

Catania 69 69 77 23 24 32 - -

Firenze 52 62 91 43 46 64 42 76

Genova 56 66 95 50 55 70 45 90

Milano 62 64 78 46 46 46 42 48

Napoli 60 60 72 43 43 50 6 13

Palermo 57 63 84 38 40 46 72 143

Roma 63 74 93 42 46 52 43 90

Torino 68 68 74 56 56 70 125 125

Venezia 40 43 43 51 51 54 108 129

Verona 46 56 70 61 61 65 87 91

In rosso i valori che superano i limiti legislativi

monit.aria NO2 PM10 Benzene SO2 CO

indice monitoraggio aria media annua ug/mc valore max media
annua ug/mc valore max media annua ug/mc valore max sup.125 ug/mc
24h valore max sup. 10 mg/mc 8h valore max

2002 2003 2002 2003 2002 2003 2002 2003 2002 2003 2002 2003

Bari 100% 100% 57 44 66 54 11 10 0 0 0 0

Bologna 100% 100% 94 83 50 55 7 5 0 0 0 0

Catania 100% 100% 87 77 41 32 9 5 0 0 0 0

Firenze 100% 100% 86 91 52 64 13 13 0 0 10 0

Genova 100% 100% 89 95 66 70 5 3 7 1 0 0

Milano 100% 91% 70 78 66 46 6 5 0 0 0 0

Napoli 100% 85% 88 72 36 50 7 7 0 0 0 9

Palermo 100% 100% 73 84 49 46 10 8 0 0 1 0

Roma 100% 97% 86 93 53 52 11 8 0 0 7 0

Torino 100% 96% 79 74 77 70 7 5 0 0 4 1

Venezia 100% 100% 44 43 47 54 4 3 2 0 0 0

Verona 100% 100% 53 70 57 65 7 6 0 0 0 0


D’altronde Roma, Torino, Milano, Napoli hanno una densità di
motorizzazione incredibile, con un record nella capitale di 76
auto ogni 100 abitanti. Considerando anche i non patentati c’è
quasi un auto a testa. Chi sta facendo qualcosa, nel campo della
mobilità, lo fa mettendo in campo toppe troppo sfilacciate per
poter coprire la voragine. C’è chi punta sulle targhe alterne
episodiche – come Roma o Bologna – chi sugli stop estemporanei
della circolazione – come Milano – chi sul blocco delle non
catalizzate o dei vecchi diesel. Di infrastrutturale c’è davvero
poco. A livello nazionale si ripropone una politica di opere
pubbliche tutta fatta di asfalto, a livello locale il trasporto
pubblico è una cenerentola, i bus sono considerati al pari delle
automobili: viaggiano quasi sempre sulle stesse strade (e non in
corsie riservate) e dunque hanno tempi di percorrenza spaventosi
e inesistenti sono la puntualità e l’efficienza. Certo a
differenza dei piccoli centri – e per ovvie ragioni – le grandi
città hanno percentuali di uso del trasporto pubblico più
significative rispetto alla media nazionale (i romani prendono
mediamente l’autobus, il tram o la metropolitana 500 volte in un
anno, la media nazionale è di 187 viaggi nell’arco dei dodici
mesi). Ma è una goccia nel mare. Per essere disingorgate le
città avrebbero in realtà bisogno di un ampio ventaglio di
interventi, da applicare in maniera organica e coordinata. Le
diverse leve da muovere sono quelle che disincentivano – anche
economicamente – il trasporto privato, che fanno diventare una
delle più grandi opere pubbliche del Paese la razionalizzazione,
l’ammodernamento e la crescita delle reti di trasporto
collettivo, che propongono un uso dello spazio (non condonando
ad esempio) e dei tempi delle città più razionale e ordinato. A
Londra dal febbraio 2003 è ad esempio in vigore il road pricing:
un pedaggio di circa 8 euro per poter transitare in una vasta
area della city. Il provvedimento ha permesso
all’amministrazione di incassare in un anno 200 milioni di euro
e ha determinato una diminuzione del traffico stimabile in un 20
per cento abbondante. Conseguenza diretta, i mezzi pubblici di
superficie oggi sono più veloci (mediamente del 30 per cento in
più) e i ricavi di questa tariffa saranno reinvestiti nel
trasporto pubblico che potrà così migliorare ulteriormente. E’
in sostanza il principio del chi usa paga, che potrebbe essere
esteso non solo al semplice uso delle strade e dei parcheggi
comunali ma a tutta quella lunga serie di esternalità (smog,
rumore, corrosione del monumenti, ore perse, aumento
dell’incidenza di alcune patologie, incidenti stradali) che sono
legate a filo doppio con il traffico. Peraltro il settore dei
trasporti è responsabile della crescita delle emissioni
climalteranti, ormai stabilizzate o decrescenti negli altri
settori produttivi.


Altri interventi possibili sono quelli che puntano su corsie
preferenziali e corridoi protetti per gli autobus (in tutte le
grandi città la velocità media dei mezzi pubblici non va oltre i
17 chilometri orari), che sviluppino soluzioni infrastrutturali
innovative (le metropolitane leggere), che prevedano un esteso
ricorso al traffic calming – restrizioni alla viabilità nelle
aree centrali o in zone di particolare interesse monumentale - e
una diversa tariffazione della sosta. Oggi i parcheggi gestiti
dai comuni, quando sono a pagamento, hanno quasi ovunque costi
analoghi. In realtà dovrebbe essere molto più caro lasciare
l’auto dove c’è tanta richiesta (e cioè nelle aree maggiormente
ingorgate) e più economico o meglio gratuito dove invece oggi ce
n’è poca (i parcheggi di scambio con i mezzi pubblici esterni al
centro). Così come dovrebbe essere rovesciato l’attuale criterio
di tariffazione oraria: generalmente adesso più aumenta il tempo
di sosta più diminuisce il costo di ogni ora. Sarebbe più logico
fare il contrario per penalizzare la sosta di lunga durata
(quella sistematica, legata all’ufficio o alla scuola) e
consentire invece gli spostamenti occasionali e le soste brevi
che assicurano una circolazione dei posti a disposizione.


Altro grande intervento è quello sulla gestione del territorio.
L’assenza di una corretta pianificazione ha fatto crescere in
maniera disordinata e confusa le città. I vari condoni edilizi
hanno determinato un aumento del caos, facendo nascere
insediamenti anche dove era previsto che la città non si
espandesse affatto. E c’è poi la “congenita” crescita degli
abitati.


Milano ha perso in mezzo secolo il 37% del territorio agricolo e
l'ha barattato con mattoni, asfalto e cemento. Palermo dal 1950
a oggi ha visto triplicare i confini del centro abitato. E
analogo, da nord a sud, è stato lo sviluppo di tanti altri
centri urbani. Non fa niente che da almeno un decennio la
crescita demografica sia bassa o nulla: l'imperativo in Italia
resta quello di costruire, espandersi, occupare gli spazi
liberi. E proprio l'eccessivo allargamento delle aree
urbanizzate e la conseguente impermeabilizzazione dei terreni è
- insieme al traffico - uno dei fattori di pressioni più critici
e ancora in crescita per l'ecosistema del nostro Paese.


Il consumo di suolo e la frammentazione dei residui spazi
naturali costituiscono l'impatto irreversibile che l'evoluzione
post-industriale non ha contribuito a minimizzare. Negli ultimi
50 anni, infatti, nella gran parte delle aree urbane italiane ed
europee si sono registrati imponenti fenomeni di sprawling, di
diffusione dell'urbanizzato. Una tendenza che non si sta
arrestando nemmeno in questa lunga fase di stasi demografica. Il
nuovo urbanizzato, in Italia, si è sviluppato soprattutto a
danno dei terreni agricoli. Tra Padova e Venezia la superficie
urbanizzata è poco meno che triplicata, con un fitto reticolo
infrastrutturale che fa sembrare, come accade tra Prato e
Firenze o in altre zone del Paese, le città unite tra loro.
Rilevante e con effetti altrettanto irreversibili sul paesaggio,
sul tessuto ambientale, sulla fragilità del territorio e sul
dissesto idrogeologico è anche il cemento che invade con seconde
case e residence turistici le aree montane e costiere di pregio.


In Europa la rapidità dell'artificializzazione del territorio è
stata evidenziata da una indagine comparativa dell'Agenzia per
l'Ambiente dell'Ue: ebbene dal 1950 a oggi sono stati rilevati
tassi di crescita delle aree urbane che variano tra il 37% di
Vienna e il 211% di Palermo. A Copenaghen la crescita dei
mattoni sfiora il 60%, a Dublino supera ampiamente il 90%, a
Bilbao è del 124%. Ma l'Italia presenta una caratteristica
peculiare rispetto alle altre nazioni europee: non vi sono casi
negli altri Paesi industrializzati in cui l'abusivismo abbia
inciso nel corso degli ultimi 20 anni su circa il 20% della
produzione edilizia.
Legambiente


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