7 30 23 22° ANNIVERSARIO DELLA FRANA DELLA VAL POLA. RIPUBBLICHIAMO IL 16° CAPITOLO (DOPO IL 15°) TRATTO DAL LIBRO "EVENTI DI FINE MILLENNIO. CAPITOLO DECIMOSESTO. LA TERRIBILE CALAMITÀ DEL 1987.. UN PAESE SEPOLTO. VENT'ANNI DOPO
LE PREOCCUPAZIONI DEL 28 LUGLIO
Torniamo al 28 luglio mattina, dopo il terrificante disastro della Val Pola.
Nelle prime ore dopo la grande frana il quadro era di grandissima preoccupazione:
1) la quota soprastante l'alveo dell'Adda a monte dell'ammasso di frana rappresentava di fatto il colmo di una diga naturale e del livello del futuro lago.
2) la portata dell'Adda, pur in quel momento relativamente modesta, faceva prevedere in poche settimane il riempimento di questo bacino naturale. In realtà occorreva mettere in conto precipitazioni meteoriche, maggiore portata e quindi riduzione dei tempi.
3) un primo calcolo dava la cubatura dell'ammasso di frana superiore alla cubatura dell'incavo nella montagna il che poteva far supporre l'esistenza di cavità pericolosissime per la spinta che masse d'acqua le riempissero
4) il rischio di un "effetto Vaiont" qualora la montagna avesse ulteriormente scaricato materiale a lago pieno
QUADRO FOSCO
Molte voci, molte congetture da parte di tanti per i quali il lago non avrebbe prodotto danni. Si citava il Lago di Poschiavo. I tecnici avevano però ben presenti ben altre situazioni. Nella maggior parte dei casi infatti le frane che hanno causato uno sbarramento e la formazione di un lago sono state erose nel giro di pochi giorni o mesi, trascinando a valle il materiale franato e provocando un'alluvione a valle. Persino il Mantaro, in Perù, con una frana decine e decine di volte superiore a quella della Val Pola, e nonostante lavori imponenti duranti sei mesi, spazzò via il tappo con danni per 200 km. I casi in cui lo sbarramento ha resistito ed il lago è rimasto si possono contare sulle dita di una mano (lago di Poschiavo in era preistorica, lago di Alleghe nel 1771, Lago di Scanno). Riportiamo quindi alcune situazioni per cercare di ricreare il quadro che a partire dalla stessa mattina del 28 luglio si poneva ai tecnici e ai responsabili della protezione Civile
Vi sono poi racconti che nelle Alpi fanno frequente riferimento a paesi sepolti, a grandi frane e quindi a relativi sbarramenti in genere non rimasti ma distrutti dalla pressione delle acque a monte. "Si narra che nel 563 una parte del monte Grammont, all'estremità orientale del Lago Lemano, abbia ceduto provocando una frana che creò uno sbarramento al fiume Rodano. qualche mese più tardi, in questa diga formatasi naturalmente si aperse una falla, il lago esondò inghiottendo villaggi su entrambe le rive, distruggendo il ponte di Ginevra e provocando la morte di molti dei suoi abitanti", ad esempio, è uno dei tanti racconti...
TRE ESEMPI DI EVENTI DISASTROSI: VALCHIOSA, BIASCA E DEBORENCE
In dettaglio vediamo alcune situazioni ripetendo che i casi in cui lo sbarramento ha resistito ed il lago è rimasto si possono contare sulle dita di una mano. Esaminiamo i tre citati in letteratura e cioè Poschiavo, Alleghe e Scanno, aggiungendo il caso particolare del Cerredolo che però ha caratteristiche diverse con quella che potremmo chiamare una colata e non una frana come comunemente la si intende. Prima presentiamo fra le tante tre situazioni alpine tipiche: Valchiosa, sopra Tirano, Biasca in Ticino e Deborence nel Vallese.
Valchiosa. La frana del 1807. 160 giorni e poi il collasso
http://www.pgstirano.it/tirano/tirano_storia.html
L'autunno del 1807 fu una stagione molto piovosa per la Valtellina; temporali ed acquazzoni violentissimi si abbatterono in modo particolare nella zona di Tirano e del monte Masuccio (la montagna che sta a nord dell'abitato). Successe allora quello che purtroppo si era temuto per molto tempo; una enorme frana scese a valle dal monte Masuccio partendo poco lontano dall'abitato di Baruffini ed andò a sbarrare il corso del fiume Adda, poco prima della sua confluenza con il torrente Valchiosa. Tutto avvenne la notte dell'8 dicembre 1807 ed il terribile boato che la frana provocò, fu udito nei paesi di Sernio, di Lovero, ma anche di Tirano. Grande naturalmente fu lo spavento della popolazione, che accorse in massa sul luogo della caduta. Fino all'alba però, i contorni dell'avvenimento rimasero poco comprensibili poi, alla luce del giorno, il disastro assunse connotazioni più precise. Erano andati distrutti quasi completamente i vigneti situati sui fianchi del monte Masuccio in comune di Sernio e furono sepolti completamente quattro torchi e cinque mulini. Ma la cosa più grave fu la morte di un'intera famiglia sepolta con la propria casa dalla frana. Alla disperazione degli abitanti di Sernio che avevano perso i loro beni, si aggiunse presto la preoccupazione degli abitanti di Lovero per i quali lo sbarramento dell'Adda rappresentava una vera e propria trappola. Infatti si capì subito che l'acqua dell'invaso che si stava formando, sarebbe stata in grado di allagare tutto il paese e seppellire ogni cosa. La frana che si era staccata 600 metri più in alto, aveva creato una barriera alta 43 metri. L'Adda impiegò 11 giorni per riempire questo bacino ed il giorno 18, superato il bordo superiore dello sbarramento, riprese a defluire nel vecchio alveo. Restava un lago lungo 2580 m, largo 830 m e con una superficie di 1522 pertiche valtellinesi. L'invaso ebbe conseguenze gravissime per tutta la zona.La chiesa di S. Agostino di Lovero era in gran parte sommersa, così pure buona parte delle case e tutti i prati. Nonostante le promesse di intervento immediato, il 14 maggio 1808, la situazione non era migliorata anzi, lo sciogliersi delle nevi, aveva aumentato la portata dell'Adda e quindi il pericolo che lo sbarramento di terra e sassi si sbriciolasse. Alle 5 del mattino di lunedì 16 maggio, la parte alta dello sbarramento cedette e le acque limacciose si riversarono dentro il vecchio letto giù verso Tirano. Per fortuna il crollo interessò solo i 12 metri sommitali e non tutta la diga, comunque, il mare di fango e di acqua che scese verso il basso, travolse tutto ciò che incontrò sul suo cammino. Spazzò via i terreni coltivati e le vigne che fiancheggiavano il corso dell'Adda e, aiutato in questo anche dalla pendenza, in quel tratto molto accentuata, fece a pezzi il ponte di Tirano, sul quale passava la strada principale della valle. Alcune case che si trovavano all'interno degli argini vennero travolte. Gli stessi argini, aperti in più punti in quegli anni, per poter meglio accedere al fiume per attingere acqua, furono in parte divelti e il fiume allagò e danneggiò molte abitazioni. Allagamenti molto vasti subirono anche le campagne intorno a Tirano perché l'impeto delle acque distrusse buona parte dell'argine che faceva compiere al fiume una decisa curva verso il torrente Poschiavino. Pur avendo mitigato la loro violenza le acque dell'Adda in piena riuscirono ad allagare i campi di molti comuni, da Bianzone giù fino a S. Pietro Berbenno. Dopo le prime opere urgenti per la chiusura delle falle prodotte negli argini (si usarono gabbioni riempiti di sassi e fascine), fu costruito in Tirano un ponte provvisorio in legno lungo 35 metri. L'opera di ricostruzione vera e propria si presentò però molto più ardua, sia per l'impossibilità di mettere d'accordo i danneggiati (oltre 2500), sia per la cronica mancanza di fondi. I segni lasciati dalla frana furono visibili per molti decenni così come i segni delle distruzioni ed i depositi di ghiaia lasciati dal lago nel piano di Lovero.
Buzza di Biasca (CH - Ticino). Frana del 1513. 597 giorni e poi il collasso
http://hls-dhs-dss.ch/textes/i/I28662.php?PHPSESSID=090916529649fdde4dc2...
"Il 30.9.1513 un enorme scoscendimento si produsse sul fianco ovest del Pizzo Magn (chiamato anche Monte Crenone), a monte di Biasca. Il materiale caduto raggiunse un'altezza di 60 m, creando un vasto sbarramento, che ostruì lo sbocco della valle di Blenio e il decorso del fiume Brenno. Durante più di un anno e mezzo le acque formarono un lago di 5 km di lunghezza con ca. 200 milioni di m3 di acqua, che sommerse completamente il villaggio di Malvaglia (fino all'altezza di metà campanile), altre località, vigne e colture presenti nella valle. Il 20.5.1515 la diga naturale cedette alla pressione e riversò le acque nella valle Riviera, sommergendo il Bellinzonese e il piano di Magadino; causò numerose vittime (600) ed enormi danni. Preda delle acque fu anche il ponte della Torretta, fatto costruire dai duchi Sforza nel 1487, con parte delle mura che lo congiungevano ai forti di Bellinzona, interrompendo per sec. le vie di comunicazione e il transito fra le due sponde del Ticino e fino alle rive del lago Maggiore. A questo evento si ricollega la vicenda delle accuse di ricorso alle arti magiche da parte degli abitanti di Malvaglia, per liberarsi del lago, promossa contro di loro da Biasca nel 1517; la sentenza assolse i bleniesi, ma la tradizione del loro ricorso alla magia perdurò a lungo".
Derborence (CH - Vallese). Frana del 1749. Collasso
http://hls-dhs-dss.ch/textes/i/I8206.php
"Sito alpestre vallesano posto in un bacino elevato del massiccio dei Diablerets, ai piedi del fianco meridionale della Tour Saint-Martin e allo sbocco delle valli di Cheville e della Derbonne. Nel corso del XVIII sec., l'area di D. fu colpita da due gigantesche frane: la prima fece 18 vittime (24.9.1714), la seconda provocò la formazione del lago di Derborence (23.6.1749). Questo smottamento, il più voluminoso prodottosi in Svizzera nei tempi storici (50 milioni di m3 in totale), è anche quello con il maggiore dislivello mai registrato, con ca. 1900 m fra la cresta dei Diablerets e la località di Besson. Ramuz si ispirò a questa catastrofe per scrivere uno dei suoi romanzi più belli, Derborence (1934).
http://64.233.183.104/search?q=cache:WcAb4A9jPfoJ:www.brusio.ch/Contenut...
TRE ESEMPI DI LAGHI RIMASTI: POSCHIAVO, SCANNO E ALLEGHE
E ora gli unici casi rimasti:
Lago di Poschiavo. Frana di 15000 anni fa. Rimasto (come Scanno e Alleghe)
http://th05acc0252.swisswebaward.ch/lagoformazione.html
http://www.popso.it/selettore.php?idCat=116&idGer=9&idRec=5505&cdOp=estr...
"La formazione del lago di Poschiavo è da attribuire a un'enorme frana caduta 15000 anni fa tra il Corno del Giumellino e il Corno di Valüglia (la frana infatti non proviene dalla parte di San Romerio, bensì dalla parte destra della valle). L'enorme massa ha acquistato durante la caduta quasi verticale un'enorme energia cinetica, ed è stata scaraventata contro il versante opposto. Se osserviamo l'ecogramma anziché incontrare una linea ricurva, cioé una riva che sale lentamente, riscontriamo addirittura un angolo.Ciò ci indica che il lago non è una buca naturale, ma deve la sua esistenza alla caduta della frana.".
"Il materiale si accumulò sbarrando la valle all'altezza di Meschino, si sollevò formando la Motta e creò una diga naturale di grande solidità. Le acque crebbero finché, trovato un varco, poterono riprendere a scendere verso l'Adda e con il tempo ricrearono un alveo erodendo parte del franamento".
Lago di Alleghe. Frana del 1771. Rimasto
http://www.infodolomiti.it/dolomiti.run?3B023B74
La sua formazione è dovuta ad una grande frana staccatasi da una propaggine del monte Forca, che sorge alla destra del Cordevole di fronte al paese di Alleghe. Di tale propaggine, denominata Piz (anticamente Spiz), non rimane attualmente che la metà inferiore, sulla quale appare evidente la la grave mutilazione che ha dato origine alla nascita del giovane lago alpino. L'11 gennaio 1771 un'enorme frana precipitò dal monte Piz seppellendo i villaggi di Marin, Riete, Fusine. La colossale diga di detriti formatasi fermò l'affluenza inferiore dell'acqua del torrente, che si innalzò finchè, sormontando le rovine medesime, potè riprendere il suo corso. Rialzandosi, quest'acqua, diede origine al lago attuale che in soli tre giorni raggiunse l'altezza di 35 metri, e la lunghezza di di mezzo miglio, inondando e sommergendo i villaggi di Sommariva, Torre, Costa, Peron e Alleghe, villaggio posto "sul col", sul punto cioè più alto salvatosi dall'immane catastrofe.
Lago di Scanno. Frana in tempi remoti. Rimasto
Il lago di Scanno in Abruzzo ebbe origine dall'ostruzione del fiume Tasso a seguito di una frana staccatasi dal Monte Genziana in tempi remoti. 922 metri di quota, 6,65 Km di perimetro con una profondità massima di 32 metri. Va osservato che siamo nell'Appennino con non grandi portate e anche caratteristiche delle rocce ben diverse.
Un caso particolare: Cerredolo
Lago di Cerredolo. Frana del 1960. Tracimazione naturale
http://associazioni.monet.modena.it/gcvpcm/index.htm?annovi10.htm
"Nel pomeriggio del 23 aprile 1960 una frana in prossimità dell'abitato di Cerredolo (Comune di Toano, Provincia di Reggio Emilia), di ben 13 milioni di metri cubi, scendendo dal versante destro del Fiume Secchia lo sbarrò completamente. Si formò un lago, il cosiddetto Lago di Cerredolo, della superficie di 110 ettari, che si mantenne per nove mesi, tempo che impiegarono le piene per incidere definitivamente lo sbarramento creato dalla frana. Durante l'intero periodo gli abitati del fondovalle furono tenuti in allarme e durante i momenti più critici fu disposta l'evacuazione.
I primi segni premonitori erano stati avvertiti il giorno precedente e la massa franosa impiegò 33 ore per giungere alla sponda opposta del fiume, coprendo una distanza di circa 1,5 km alla velocità media di 45 metri l'ora. I circa 13 milioni di metri cubi staccatisi dal versante sbarrarono il fiume, in questo tratto largo circa 200 metri, con un'altezza dell'accumulo di 25 metri. La frana avvenne per scivolamento su di una superficie parallela al versante, sia per l'instabilità dei terreni, naturalmente predisposti al franamento , che per le intense piogge dei giorni precedenti (166 mm dal 16 al 20 aprile, il doppio della media mensile nel periodo 1921-1950). Rimase in movimento fino al 27 maggio e da allora è quiescente.
Quando avvenne la tracimazione principale lo sbarramento non cedette completamente e si riversò a valle solo una parte del volume invasato, creando un'onda di piena paragonale alla massima conosciuta per il Secchia, distruttiva ma non catastrofica". Va osservato che siamo nell'Appennino con non grandi portate e anche caratteristiche delle rocce ben diverse e che vi era stato scivolamento e non crollo disastroso.
By-pass (e frana di Spriana)
Su una sorta di lavagna a fogli, nell'ufficio del Prefetto, già nella stessa mattina si vedeva uno schema, tracciato a pennarello, di by-pass. Il ragionamento era stato semplice: il lago si formerà rapidamente, occorre creargli uno sfogo, come il troppo pieno della nostra vasca da bagno,cercando di pompare più possibile acqua per evitare che il livello arrivi in cima. Se questo succede la tracimazione può determinare il collasso. Se si arriva al collasso povera Valtellina! I danni per la Valchiosa, ben più modesta della frana della Val Pola, arrivarono allora fino a Sondrio.
Non è detto che succeda così, ma occorre intervenire per evitare simili conseguenze.
D'altronde come sono le cose per la frana di Spriana?
E' inguaribile, nel senso che non si può fare nulla per impedire la sua inevitabile caduta a valle, magari fra mille o cinquemila anni. Probabilità molto bassa, salvo eventi sismici eccezionali di gravità anche superiore a quello del Friuli che ne aveva riavviato il movimento (un metro e mezzo la settimana nel 1977 i caposaldi 6 e 14!). Rischi però talmente alti per la città di Sondrio da determinare, nella combinazione dei due elementi, l'indispensabilità di intervenire. Come? Con un by-pass che, nel caso si producesse l'evento con la formazione di in lago per lo sbarramento della valle, possa far defluire l'acqua e ridurre la pressione su questa sorta di diga naturale.
La soluzione ipotizzata simile dunque a quella per Spriana.
CONSOLIDAMENTO
Non basta. Nessuno è in grado di stabilire l'affidabilità del piede dell'ammasso di frana. Anche qui c'è chi dirà che non serve. Chi ha la responsabilità della decisione non si può affidare al testa e croce o al risultato di un referendum fra la gente. Deve valutare a fondo e deve anche tenere presente quello che dicono i rappresentanti delle popolazioni che il lago ce l'hanno sopra la testa.
Si decide di consolidare e lo si fa in tempi anche abbastanza veloci. Ci saranno critiche ma il realtà le briglie, doppie, svolgeranno il loro compito. Solo le ultime in cima possono essere rimosse ma sono biglie semplici,
LE CONTROVERSIE
Ci saranno anche controversie per il pompaggio. Da un lato la Snam Progetti. Dall'altro Condotte. Paradossalmente società pubbliche entrambe, dell'ENI la prima, dell'IRI la seconda. E poi ci si metterà di mezzo anche l'AEM, sempre pubblica, del Comune di Milano.
Non entriamo però in queste controversie. Riprenderemo il tema quando si tratterà della tracimazione controllata avviata il 30 Agosto alle quattro del mattino con una correzione per incanalare l'acqua nel verso giusto. C'erano quella ruspa minuscola nella ripresa TV a campo lungo, il suo conduttore, e l'impresario, Paride Cariboni, con quel rivolo d'acqua osservato in tutta Italia, in altri Paesi in diretta ma soprattutto dai valtellinesi per 12 giorni dal 25 agosto fuori casa. Andò bene. Avevano ragione qui a Sondrio. Aveva torto il prof. Zampagliene, consulente dell'AEM, che aveva profetizzato un disastro immane.
Vedremo le prospettive successive e i dettagli del maxi-progetto di intervento della Società Condotte, dello studio del BIM, delle scelte conclusive.
INTANTO LA VIABILITÀ… (VIA CHIAVENNA, VIA GAVIA, VIA TIRANO-LIVIGNO)
Via Chiavenna
Non appena possibile avevo deciso di andare su in Alta Valle a rendermi conto. Mi avevano chiesto quando volevo andar su per combinare gli orari per un elicottero. "No, vado in auto". Sguardi strani ai quali devo dare una spiegazione "voglio rendermi conto di persona della situazione nello stesso modo dei residenti lassù o comunque di chi deve andarci". Dopo 193 km. via Chiavenna - Passo del Maloia a 1815 m. - Passo del Bernina a 2323 m. - Passo della Forcola a 2315 m. - Livigno - Passo d'Eira a 2208 m. - Passo del Foscagno a 2291 m. arrivo a Bormio. Da precisare che chi avesse avuto, o avesse anche oggi dovendo fare quel giro, l'idiosincrasia per i passi, da quello del Maloia, poteva o può passare per S. Moritz seguendo il corso dell'Inn andandosene fino a Zernez e poi arrivando a Livigno passando per il tunnel a pedaggio de Munt la Schera. 17 km in più, per un totale di 210.
Normalmente sono 62. Più che i chilometri, pure tanti, conta il tempo necessario non solo per i saliscendi ma per il traffico, compreso quello pesante e quello di gente a disagio su queste strade. Probabilmente la montagna più alta vista prima era per loro la collinetta di San Siro.
Alcuni incontri in Bormio con amministratori ma anche altri per capire situazione e stato d'animo. Molte preoccupazioni per l'isolamento e per il turismo. La stagione estiva se ne è andata. Quella invernale è un grosso punto interrogativo, ma nessuna emotività, molta razionalità e soprattutto voglia di farne. Anticipo che la prossima seduta dell'esecutivo del BIM la faremo a Bormio.
Via Gavia
Con me il figlio maggiore, Claudio. Decido per il rientro di fare il Gavia. Sono 114 km. da Bormio a Sondrio via Passo del Gavia a 2650 m. - Edolo - Passo dell'Aprica a 1176 m.
Stop al rifugio Berni (2541 m.) non solo per avvisare casa e bere un caffè ma anche per tastare il polso sentendo i gestori e la gente. In effetti l'incoscienza domina sovrana e la sperimenteremo di persona. E' ancora periodo di ferie e sono tanti che vengono anche da Brescia, dalla Bassa Padana, da Milano e oltre a vedere "lo spettacolo della frana" forse pensando che la strada del Gavia sia come l'Autosole. Non è così. La strada era stata costruita durante la Prima Guerra Mondiale per rifornire le nostre truppe al fronte. Da ricordare che al passo una stele di marmo ricorda il 20 luglio 1954 quando un camion militare, per il cedimento del ciglio stradale, volò nello strapiombo uccidendo i 18 Alpini del plotone pionieri del Battaglione Bolzano, 6° Reggimento Alpini, Brigata Tridentina che da Santa Caterina stavano andando al Tonale. Strada da montanari e automobilisti espertissimi.
Abbiamo appena iniziato la discesa ecco che, infatti, ci siamo dentro. C'è una strettoia, con strapiombo sulla destra. Passo aperto solo d'estate, strada stretta, in genere senza parapetti (in quei giorni, visto l'isolamento dell'Alta Valle, l'ANAS deciderà ad una serie di interventi migliorativi). Non si va né avanti né indietro. Quelli lato strapiombo sono per lo più terrorizzati. Quelli lato montagna non se la sentono di andare avanti quando sia a sinistra con le altre auto che a destra con la montagna se non ci sta in mezzo un foglio di carta velina poco ci manca, diciamo un paio di centimetri per parte. Soprattutto ormai domina la psicosi. Per fortuna c'è anche qualche macchina targata Sondrio: una famiglia che rientra dalle ferie, due soldati che hanno ottenuto una licenza straordinaria e qualcun altro. Danno una mano. Versante Ponte di Legno qualcuno intelligente - strano ma capita in queste occasioni che qualcuno lo si trovi! - ha bloccato il serpentone di auto in salita in zona più agevole.
Operazione anti-ingorgo al via. Con fatica, arretrando con spinte a mano alcune auto si riesce ad avere libero qualche metro dove i due cm. per parte diventano forse anche 5 o 6. Prioritario fare avanzare quelli lato strapiombo. Si tratta di una decina di auto ma non c'è nessuno che se la sente, Pazienza. Chiedo se sono d'accordo che provveda io. L'adesione è fulminea con grossi respiri di sollievo che aumentano quando sanno che possono tornare a casa loro passando da un'altra parte, via Svizzera, percorso lunghissimo ma non a rischio d'infarto. Ci andranno tutti.
Operazione dunque: prima controllo accurato del ciglio stradale per non fare la fine dei poveri alpini, e poi su sulla prima macchina, testa fuori del finestrino a sinistra. Staffetta dopo un centinaio di metri a strada più larga. Un altro dei nostri ci dà il cambio e porta l'auto al Rifugio. Seconda auto, bis. Vediamo i proprietari delle auto e familiari che si rasserenano. Probabilmente erano in ambascia per il rischio di vedere la loro auto nel burrone. Chissà se la preoccupazione maggiore era per l'auto o per chi gliela stava tirando fuori dai pasticci. Una dopo l'altra le portiamo via dalla zona a rischio mentre un altro dei nostri sopraggiunto dal passo fa la stessa cosa con le altro auto lato montagna. Fatta la mia parte, gli passo idealmente il testimone e mi avvio in discesa non senza, lampeggiando, fermare il primo delle varie colonne in salita per informatlo della situazione. Dal Rifugio intanto hanno avvisato perché quando arriviamo ai prati stanno fermando le auto. Non c'è un'ordinanza ma molto di più: il buon senso. Passano quelle targate Sondrio e qualcun'altra che probabilmente ha ragioni serie per salire di là. C'è anche un milanese che protesta con chi lo sta fermando perché non ci sono i cartelli, non si è avvisato, e chi ha disposto eccetera. Mi fermo anch'io, con la mosca al naso, e gli urlo semplicemente cosa lo aspetta lassù. Tace. Poi nello specchietto retrovisore vedo che sta facendo manovra per tornare indietro…
Questo sul Gavia.
Via Tirano-Livigno
Vista la situazione decisi di convocare l'esecurivo del BIM a Bormio, un modo di esprimere la solidarietà oltre che di manifestare il cordoglio andando ad Aquilone, in riva al lago in formazione, per depositare un messaggio floreale per le vittime, sepolte là sotto.. Il vicepresidente, i sette consiglieri e il segretario concordarono sulla scelta di andare in auto - le nostre - senza usare l'elicottero da Sondrio o quello navetta da Sondalo. Via Svizzera dunque per i 115 km. via Tirano - Passo della Forcola a 2315 m. - Livigno - Passo d'Eira a 2208 m. - Passo del Foscagno a 2291 m. Livigno e infine Bormio che, senza l'interruzione della Valle e quindi della strada, sarebbe a soli 62 km. Anche qui però più ancora che i km pesava il tempo. Lunghissimo per il traffico, i camion, mezzi speciali che portavano ruspe o altri macchinari, corriere, autotreni della Lievissima, e poi per il maltempo, inizialmente addirittura infernale.
Seduta dell'esecutivo giovedì 29 ottobre nel Municipio di Bormio, presenti i Sindaci dei Comuni dell'Alta Valle. Ovviamente impegno ad intervenire che ovviamente ci sarà, straordinario. Il ritorno, ore, per la stessa strada.
FLASH: LA CRAVATTA
Nell'attesa dell'arrivo del Ministro Gaspari nel gruppo dei Sindaci dell'Alta Valle uno di loro si volta al collega di Valdisotto, in maniche di camicia fra l'altro piuttosto malmessa, dicendogli "passi per la giacca ma potevi mettere almeno una cravatta!". Lui, Amanzio Bonetti, lo guarda in un modo così strano, quasi inespressivo, lo sguardo rivolto chissà dove. Non serve la risposta. E ci sono abbracci e affettuose scuse di tutti. Quella camicia è l'unica che gli è rimasta. Al di là di quello che porta addosso non ha più nulla. Tutto, i vestiti, i ricordi di una vita, il suo albergo è là sotto sepolto da decine di metri. Unico segno di vita il telefono.
FLASH: IL TELEFONO
Chiama la collega Giuliana Cerretti, agitata, emozionata: "Chiama l'albergo dell'Amanzio". "Cosa?!?!?". Lo ripete, in modo perentorio. Guida, pagina di Valdisotto, Albergo Camoscio. Il numero. "Tuuu, tuuu, tuuu..". Il telefono risponde. I cavi evidentemente non si sono spezzati, il segnale arriva e dalla centrale parte il suono. Impressionante. Si pensa a là sotto. Viene in mente Debussy e la sua " Cathédrale engloutie" ("Cattedrale sommersa") con il suono delle campane che viene da sotto le acque del lago. Ma quello è racconto, fiaba, sia pure in musica, questo suono è reale. Lo immaginiamo fisicamente questo telefono da cui avevamo chiamato casa durante una cena di qualche sera prima. Perduto, come tutto il resto. Resta solo la memoria delle cose, nessuna testimonianza.
FLASH: DUE PESI E DUE MISURE NON VANNO BENE
"Troviamo i responsabili" titola Centro Valle riferendosi all'ostinata ricerca da parte di taluni di chi ha provocato il disastro cui sono dedicati molti articoli e molti titoli vistosi. Se responsabili hanno da esserci pur in presenza di una quantità d'acqua impressionante, - molte volte superiore a quella che a Roma verrà considerata una straordinarietà naturale -, allo zero termico alle stelle, al trasporto solido originato a quote che la presenza dell'uomo la vedono solo quando arrivano alpinisti, responsabili devono esserci anche per altro. Per esempio in Grecia e al Sud, pur in presenza di caldo torrido, quei tali ricerchino anche i responsabili di così tante vittime.. E poi i responsabili dei terremoti, degli uragani, delle valanghe e quant'altro.
Due pesi e due misure non vanno bene. Larga condivisione (i bastian contrari ci sono sempre e, pur isolatissimi, non mancano neppure per questa presa di posizione, perdendo una splendida occasione di evitare una figuraccia).
FLASH: L'OCCASIONE PERSA DA MAGISTRATURA DEMOCRATICA
Magistratura Democratica ha perso una grandissima occasione di evitare una figuraccia.
Giovedì 23, quando è momento di funerali, il fango domina, nel Mallero i pacheristi combattono con la quantità di inerti venuta già dalla Valmalenco, decine di migliaia di persone si danno da fare per tentare di ripristinare un minimo di normalità, la corrente progressista della Magistratura fa una conferenza stampa a Milano. Attacca il Procuratore della Repubblica di Sondrio con l'accusa di avere insabbiato indagini condotte dal Pretore di Tirano Scelsi dopo la frana di Tresenda del 1983. A MD evidentemente è tutto permesso. Liberi di farlo, di prendere questa o quella posizione ma non quando la pietas avvolge le vite perdute e i cari rimasti, quando la gente lotta per sopravvivere, quando migliaia di persone hanno perso le cose più care, quelle che nessun risarcimento potrà surrogare.. Che poi siano addirittura magistrati ad attivare pesanti e delicate polemiche senza tenere conto della drammatica situazione c'è da far cadere le braccia. Anzi peggio: a leggere sui giornali di questa iniziativa di MD c'è solo da pensarla come un volatile, "quel volatile" che cerca di levarsi sopra il desolato panorama d'una Valle ferita, non piegata, che taluni cercano di ferire un'altra volta, dimenticando però di avere a che fare con i Valtellinesi, gente seria.
FLASH: CHIAVEGATTI E LA COMUNICAZIONE GIUDIZIARIA
Notizia riservatissima. Il Procuratore della Repubblica dr. Cordisco, sotto tiro sui giornali per la presa di posizione di Magistratura Democratica, ha inviato un avviso di garanzia al dr. Presbitero. Incredibile. Se non fosse stato per lui ci sarebbero stati centinaia di morti. La notizia non trapela oltre una ristrettissima cerchia. Il dr. Presbitero è annichilito. In quella ristretta cerchia Chiamiamo l'avv. Caramatti che scende subito dall'Aprica. Parliamo della cosa e va in Procura. Il procuratore, presente anche lui nella seduta conclusiva come negli altri incontri, conosce benissimo la situazione e rassicura. Atto dovuto ma tutto finisce lì. Il rischio è che la notizia esca. Titoloni. Capro espiatorio, proprio quello a cui ci sarebbe da fare un monumento.
E la notizia arriva ad un bravo e autorevole giornalista, Chiavegatti, a Sondrio per l'ANSA, autore di scoop memorabili che chiede, facendo riferimento alla riservatezza del caso, conferma al sottoscritto. Traggo nei più reconditi recessi della memoria dall'armamentario di bugie di quando si era ragazzi, se ne combinava qualcuna e bisognava scusarsi in casa, qualche spunto per fingere e cadere dal mondo delle nuvole, come se apprendessimo la notizia in quel momento. Escludo categoricamente la fondatezza di una simile notizia. Entrambi conveniamo che, se vera, la notizia rappresenterebbe un rischio gravissimo. Per l'opinione pubblica altro che comunicazione giudiziaria "atto dovuto"! Ci sarebbe il colpevole, guarda caso quello che invece, di fatto, ha salvato tante, probabilmente centinaia, di vite umane. Quello soprattutto di cui la macchina della Protezione Civile ha ancora assoluto bisogno. Sguardo complice. Entrambi sappiamo non solo che la notizia è vera ma facciamo finta che non lo sia ed anche di credere che l'interlocutore ne sia convinto. Piombo dal Prefetto con la notizia che Chiavegatti sa, e lui è l'ANSA. Piccolo di nome ma non di statura, fisica e figurata. Rughe sulla fronte, ma conviene che Chiavegatti è persona serissima. Lo sarà. Aveva uno scoop per le mani, fasullo, ingiusto, rischioso ma sempre scoop. Non lo usò. Atto di grande sensibilità. L'umanità profonda all'interno di una tragedia per molti, di un dramma per altri, prevalse su un astratto ed amorale "diritto di cronaca" in nome del quale amorali colleghi sbattono il mostro, presunto e talora innocente, in prima pagina, indifferenti alle conseguenze per persone, famiglie, situazioni.
Nell'albo d'onore, quello in cui idealmente collocare quanti hanno speso il loro impegno per la Valtellina in quei frangenti, albo ideale perché nessuno purtroppo ha pensato di farne uno reale, ci sta benissimo anche Chiavegatti, il giornalista da uno scoop in meno ma da un luminoso esempio in più.
GIORNALISTI (IN MAIUSCOLO)
Quelli che han capito cosa vogliono dire 1836 metri cubi al secondo, quando il record storico del 1911 era di 1190!
Stiamo parlando di un giornalista, di un inviato speciale sul campo. Abbiamo parlato, senza nominarli, di molti che ne hanno scritto di tutti i colori, soprattutto i primi giorni quando la colpa dei valtellinesi e non si trattava di una fatalità. Pazzesco. Bastava il dato della portata d'acqua che l'Adda rovesciava nel Lago di Como, 1836 metri cubi al secondo, quasi due milioni di litri. Dato impressionante ma ancor più impressionante far presente che la portata storica maggiore fino allora era stata quella di martedì 22 agosto 1911 quando fu di 1190 metri cubi al secondo, Questo vuol dire che nel 1987 l'Adda aveva avuto una piena oltre una volta e mezza la massima sin allora registrata, Non basta. 76 anni prima non c'erano le dighe. Tutta l'acqua scesa dal cielo era finita negli alvei mentre nel 1987 una quantità enorme è stata intercettata sino a riempire i bacini, di centinaia di milioni di mc di capacità, allora fortunatamente abbastanza vuoti.
Due voci autorevoli si erano levate, e prima ancora della seconda mazzata, quella del 28 luglio. Riportiamo integralmente in Appendice gli articoli di Indro Montanelli e di Giorgio Bocca non senza sottolineare quel passaggio finale che, in calce all'articolo, chiosiamo. (quarta parte -continua)
Alberto Frizziero
APPENDICE
1) Da "Il Giornale" venerdì 24 luglio 1987
FOSSE TUTTA VALTELLINA
Indro Montanelli:
Zamberletti insiste a dire che dal, cielo della Valtellina ci sono da
aspettarsi altri flagelli. Fa bene a tenere vivo l'allarme. Ma per fortuna lo Zamberletti metereologo si sta dimostrando meno bravo dello Zamberletti Ministro
della Protezione Civile, che è stato bravissimo,con buona pace di coloro che vorrebbero metterlo sotto accusa.
Non siamo noi a dirlo. Lo dicono i valtellinesi con cui abbiamo parlato, con cui hanno parlato i nostri cronisti, e che sono sfilati sul video dei telegiornali. Tutti riconoscono a una voce che il segnale di pericolo fu dato tempestivamente - anche se non tutti lo udirono - e che altrettanto tempestivamente scattarono
le operazioni di soccorso.
Con evidente delusione di molti intervistatori, essi non hanno mostrato alcun risentimento verso le inadempienze dei pubblici servizi. AI contrario. Sia pure espressa con parsimonia di parole - com'è loro costume - c'era nei loro racconti una profonda gratitudine per l'abnegazione e il coraggio dei soccorritori.
A fare questi racconti non erano dei signori comodamente seduti nelle loro case o uffici rimasti a margine del disastro. Erano dei poveri diavoli che lottavano col fango in cui erano immersi sino alla cintola, e che malvolentieri lasciavano un attimo la vanga per rispondere alle domande: gli stessi che in altre sequenze abbiamo visto sfilare dietro le bare della moglie o del figlio, asciugandosi furtivamente gli occhi, ma senza piagnistei, senza dare in smanie, senza quelle sceneggiate di disperazione che ce la rendono sospetta.
Tanta compostezza e dignità sembrano fatte apposta per mettere in risalto la faziosa acrimonia di tanti commentatori di stampa e televisione che credono di fare anche loro opera di soccorso intentando processi alle streghe. La strega, si capisce, è lo Stato. E noi dello Stato, con tutto quello che ne abbiamo sempre detto, non vogliamo certo prendere le difese. Ma talvolta lo Stato non c'entra: parola di valtellinesi. Tutti, dai loro sindaci in giù, hanno detto pressapoco che un concorso di iatture atmosferiche come quello che ha provocato la catastrofe, nessuno poteva prevenirlo perché nessuno poteva prevederlo; dalle vette di tremila metri, mi hanno detto, dove nessuno ha provocato guasti, si sono staccate intere pareti di ghiaccio contro cui non c'erano sbarramenti che potessero tenere. Dal diluvio, hanno detto, ci si può difendere; dal cataclisma, no. Questo però non toglie - si obbietterà, e si continua a dire e a scrivere - che un progetto di legge per la difesa del territorio giace dal 1982 negli ambulacri della Camera che in cinque anni non ha trovato il tempo nemmeno di discuterlo. Giusto: anche la Camera meriterebbe la fine della strega. Ma vorremmo sapere in quale Camera si troverebbe una maggioranza per approvare una
difesa del territorio che, se si vuoi farla seriamente, comporterebbe impegni per decine e forse centinaia di migliaia di miliardi e creerebbe, fra lo Stato e gli enti locali, uno di quei grovigli di competenze che fanno soltanto la pacchia di azzeccagarbugli, lottizzatori e bustarellari. Approfittiamo dunque del sonno di questa legge - che ci auguriamo più lungo di quello di Aligi - per agire stavolta di iniziativa e senza perdere tempo.
I danni che la Valtellina ha Subito ammontano, pare, sui mille miliardi. Stanziamone subito una prima fetta.
Ma, saltando le carte da bollo e anche a costo di qualche sfregio alle procedure ordinarie, diamoli ai valtellinesi.
Sono gli unici che sanno come spenderli per le loro valli e che forniscono garanzia di non rubarli.
E gente che merita, come a suo tempo la meritarono i friulani,la nostra fiducia.
Il coraggio, la compostezza, la misura, la dignità con cui hanno saputo reagire alla catastrofe, sono, o dovrebbero essere, un esempio per tutti.
Ieri, davanti allo spettacolo che la televisione ancora una volta ci proponeva
di quei costoni mangiati dalla frana, di quegli squarci aperti dai torrenti impazziti nella carne viva della terra, di quei desolati sudari di fango, mi è venuto fatto di pensare quanto ci piacerebbe sentirci italiani se l'Italia fosse, anche sommersa, tutta Valtellina.
Indro Montanelli
Nostra nota
Vorremmo che Montanelli fosse ancora con noi per ricordagli quello che lui aveva scritto allora "Sono gli unici che sanno come spenderli per le loro valli e che forniscono garanzia di non rubarli." E per fargli una sorta di resoconto, adesso quando i soldi della Legge Valtellina stanno finendo e proprio per quelli stanziati e passati alla Provincia, alle Comunità Montane, ai Comuni per le opere e per i risarcimenti. Gli interventi sono lì da vedere. In genere non sono costati di più del previsto, ma di meno. "Non c'è stata una causa" diceva il Presidente dell'Ordine degli ingegneri il 28 luglio ad Aquilone. Non c'è stato neppure un lontano sospetto, aggiungiamo noi, che qualcuno abbia rubato. Per carità, una cosa normale, propria del carattere e del costume amministrativo della nostra gente, nulla di trascendentale, ma intanto una consolazione per Montanelli e chi la pensava come lui: quella di non avere sbagliato a dare fiducia ai valtellinesi. E ora l'articolo di Giorgio Bocca.
Da "Repubblica" giovedì 23 luglio 1987
NON SPARARE NEL MUCCHIO
di Giorgio Bocca:
INCHIESTE, accuse, indagini, deplorazioni grandinano sulla povera Valtellina alluvionata. Alcune giuste, motivate, altre sparate nel mucchio da chi, per un singolare meccanismo di rimozione, si tira fuori, nell'ora della sciagura, da una società in cui vive e che globalmente accetta, dalla sua complessità, dalle sue inevitabili contraddizioni, dalla ricchezza di massa, dal consumismo e dai loro prezzi. Inchieste, accuse, indagini sacrosante sulle prevenzioni non fatte, sulle cautele non prese, sui rischi non calcolati, sulle amministrazioni pigre e lassiste,ma anche esagerazioni e contraddizioni.
Cominciamo dal fattore naturale, e diciamo che è stato, all'evidenza, determinante: nei 1.700 chilometri quadrati del bacino montano dell'Adda sono piovuti in poche ore ottantacinque milioni di metri cubi d'acqua, fiumi e torrenti per bene arginati che fossero non potevano smaltirli, erosioni, scalzamenti, tracimazioni erano inevitabili. Quando nel giro di poche ore cadono cinquanta millimetri di pioggia (ne sono caduti anche 305!!! Ndr) e fiumi e torrenti sono già gonfi per un disgelo tardivo c'è poco da fare e da prevedere, nella disordinata e imprevidente Italia come nelle ordinatissime Francia, vizzera,Germania che hanno le loro alluvioni, come noi.
LA RICERCA delle colpe, l'esame degli errori sono doverosi: guai se ci mancasse il senso critico, la riflessione collettiva. Ma si dovrebbe stare attenti alle contraddizioni. Si è detto, per esempio, che fra le cause del dissesto idrologico c'è l'abbandono dei terreni montani e collinosi e la moltiplicazione delle strade che tagliano i versanti «come la lama di un rasoio». Già, ma l'unico modo per far restare i mandriani nei pascoli alti e i montanari nei villaggi più sperduti è proprio quello di consentirgli una motorizzazione alpina, di permettergli di scendere e risalire facilmente. E certamente vero che montagna e collina si sono spopolate, che cioè manca la popolazione residente che teneva pulite le vie di scarico e conosceva i punti di smottamento. E si sa che il terreno non si assesta e non si compatta da solo senza il lavoro dell'uomo, ma questo è uno dei prezzi del benessere di massa.
Come si potrebbe pretendere che una parte dei cittadini si sacrifichi per gli altri, che resti in villaggi semiabbandonati mentre altri vivono comodi nei fondovalle e nelle pianure? Un benessere di massa ha i suoi inconvenienti, ma fino a prova contraria la gente il benessere lo vuole anche se ha i suoi prezzi.
Si è puntato il dito accusatore contro il disboscamento e questa ci pare un'accusa poco convincente nel particolare valtellinese e nel generale. Sui 3.200 chilometri quadrati della Valtellina, più di mille sono coperti da Boschi e il luogo in cui è avvenuto il fatale ingorgo delle acque - Sant'Antonio Morignone - ha versanti intatti coperti da foreste.
Negli ultimi trenta anni, da quando la plastica e il petrolio hanno sostituito il legno nelle costruzioni e nel riscaldamento, c'è stato in tutte le valli alpine e appenniniche un forte rimboschimento, le grandi valli d'Aosta, dell'Adige e la stessa Valtellina sono più boscose oggi che negli anni della guerra mondiale, quando si dovette ricorrere ai tagli per sopravvivere.
Altro capo di accusa: le seconde case, la cementificazione del territorio.
Certo i danni di una alluvione erano minori quando i villaggi valtellinesi stavano sui coni di deiezione o piantati sulla roccia,ma vi sono sviluppi sociali ed economici incontenibili. Chi poteva impedire ai valligiani arricchiti di lasciare le vecchie case prive di servizi, costruite per una agricoltura povera, per farsene una nuova? Chi poteva negare alle media e piccola borghesia emergenti di farsi la casa di montagna come se le era fatte l'alta borghesia delle imprese e dei commerci?
Un giornale milanese ha titolato a tutta pagina: «La Valtellina salvata dagli elicotteri». Sicuro, ma gli elicotteri sono uno dei prodotti di quello sviluppo che ha creato automobili, seconde case, vacanze di massa, inquinamenti, società ricca e complessa.
L'idea programmatrice di origine marxista, che si possa tutto prevedere e tutto ordinare mal si adatta a una società in perenne movimento e in espansione spesso caotica. Si adattano meglio le task force, gli strumenti di intervento immediato: e questo finalmente ce lo siamo dato, il servizio di intervento civile e militare ha funzionato.
Giorgio Bocca
L'indirizzo del precedente articolo pubblicato sul n. 20 del 20.7.2010 all'indirizzo http://www.gazzettadisondrio.it/28757-10_7_28_51__oggi_22__anniversario_... (Ripresa in data 28 luglio 2010, 22° anniversario, da "La Gazzetta di Sondrio. numero 22 del 2007)