EVENTI DI FINE MILLENNIO. 11) CAPITOLO DUODECIMO. IL BIM, ESSENZIALE STRUMENTO DI TUTELA. – 3.2) ATTIVITA’ SUBORDINATA ALLE COMUNITA’ MONTANE

Fase due – Fase uno, com’era: BIM, Ente motore del progresso – Fase due dopo la legge regionale: il BIM dipende dalle Comunità Montane – Il Governo impugna la legge che non è quella che si pensa - Così la Corte Costituzionale – Fase tre: ina

FASE DUE

Fase due dell’attività dell’Ente. Non più il Consorzio dei Comuni che gestisce liberamente il suo bilancio ma un Ente che deve ricevere le direttive di impiego dei fondi da parte delle Comunità Montane. Prima due, Valtellina con 65 Comuni e Valchiavenna con 13. Poi Cinque dopo la funesta divisione della Comunità unica di Valtellina in quattro.

L’attività del BIM cambia radicalmente.

FASE UNO, COM’ERA: BIM, ENTE MOTORE DEL PROGRESSO

Dalla sua costituzione l’Ente è stato di fatto l’unico ad operare incisivamente per il progresso economico-sociale della provincia. Va ricordato infatti come allora la Provincia avesse competenze ridotte e specifiche (tre scuole, le strade provinciali, l’OPP, la colonia Vanoni e poco altro) e poche risorse con un bilancio molto rigido. Sino al 1972 qualche fondo arrivava da Roma, dal 1.4 del 1972 con l’entrata in funzione delle Regioni qualche soldo da Milano. Il BIM però poteva procedere a 360 gradi sia per settori di intervento che per modalità, addirittura di fatto funzionando come Finanziaria e quindi rendendo possibile l’uso dei fondi europei

FASE DUE DOPO LA LEGGE REGIONALE: IL BIM DIPENDE DALLE COMUNITA’ MONTANE

Ragione del radicale mutamento la legge approvata il 26 marzo 1975 e riapprovata il 20 novembre successivo dal Consiglio regionale della Lombardia, recante "norme sui Consorzi B.I.M.” in base alla quale i Consorzi sono obbligati a "ripartire annualmente nei propri bilanci il fondo comune fra le Comunità Montane comprese in tutto o in parte nell'ambito dei rispettivi bacini" destinando la quota spettante a ciascuna Comunità "al finanziamento di interventi ed opere indicati dalle Comunità stesse tra quelli compresi nei loro piani zonali di sviluppo e programmi annuali"

IL GOVERNO IMPUGNA LA LEGGE CHE NON E’ QUELLA CHE SI PENSA

Il Governo impugna la legge avanti la Corte Costituzionale la quale però la ritiene legittima e pertanto essa entra in vigore. La sentenza viene largamente considerata in provincia di Sondrio, come l’atto di morte dei BIM, dato che lo si pensa ormai inteso come Ente subordinato ad altrui decisioni per via dell’interpretazione diffusa, seppure grossolanamente erronea, che ormai i Consorzi non sono altro che Enti esattori. Non “passacarte” ma “passasoldi”

In realtà non è affatto così. E lo dice chi ha titolo esclusivo per interpretare le leggi e cioè la Corte Costituzionale nella stessa sentenza.

Nel mentre infatti la sentenza riconosceva, come sottolineato in precedenza, la legittimità della legge regionale impugnata dal Governo, precisandone i termini dava la ragione di questa sua decisione proprio nel fatto che non veniva affatto lesa l’autonomia operativa dei BIM, sia pure nel quadro programmatorio individuato dalle Comunità Montane.

E siccome in argomento perdura diffusa ignoranza, proprio nel senso di “ignorare”, verbo figlio del “non cercare, non leggere, non approfondire, non studiare, non applicare” giova riportare lo stralcio relativo della sentenza 212.

COSI’ LA CORTE COSTITUZIONALE

6. - ….

In tale contesto, va riconosciuto che, con la impugnata legge, é stato apprestato un meccanismo di coordinamento e di adeguamento, SENZA OPERARE ALCUNO SPOSTAMENTO DI FUNZIONI DAI CONSORZI ALLE COMUNITÀ, E SENZA SOTTRARRE AI CONSORZI MEDESIMI ALCUNO DEI LORO COMPITI ISTITUZIONALI. Invero, il previsto riparto annuale in bilancio del fondo comune - riparto che, secondo il ricorrente, lascerebbe ai Consorzi la mera funzione esattoriale del sovracanone - NON COMPORTA ALCUN TRASFERIMENTO DI SOMME DALL'UNO ALL'ALTRO ENTE, ma si concreta in una preordinazione, mediante una sorta di articolazione contabile, dell'attività gestionale degli stessi Consorzi, tenuti dalla legge dello Stato ad adeguare i loro interventi ai piani zonali di sviluppo ed ai programmi annuali delle Comunità. Né va taciuto che al successivo impiego delle risultanti "quote" del fondo comune provvedono pur sempre i Consorzi, mediante PROGRAMMI OPERATIVI DA ESSI PREDISPOSTI DISTINTAMENTE PER CIASCUNA COMUNITÀ.

Non v'ha dubbio che la discrezionalità dei Consorzi nelle loro scelte programmatiche ed operative risulti contenuta, ma ciò appare aderente proprio alla ratio della legge statale, che ha voluto a vantaggio dei territori montani e delle loro popolazioni una programmazione di globale apertura, superando il preesistente sistema d'interventi settoriali non coordinati e non convenientemente finalizzati. D'altra parte, LA RESPONSABILE AUTONOMIA DEI CONSORZI, NEI LIMITI DERIVANTI DAL VOLUTO ADEGUAMENTO, RESTA PUR SEMPRE GARANTITA DALL'IMPRESCINDIBILE RISPETTO DELLE LORO COMPETENZE ISTITUZIONALI, essendo pacifico che le quote del fondo comune, risanate, secondo quanto previsto dalla impugnata legge, al finanziamento di interventi ed opere indicati dalle Comunità tra quelli compresi nei loro piani e programmi, devono comunque essere impiegate con l'osservanza della destinazione prescritta dall'art. 1, comma 14, della legge n. 959 del 1953. CHE SE POI I PIANI E I PROGRAMMI DELLE COMUNITÀ FOSSERO STRUTTURATI IN MODO COSÌ ANALITICO DA INDIVIDUARE SINGOLARMENTE E TASSATIVAMENTE LE OPERE E GL'INTERVENTI DA ESEGUIRSI A CARICO DEI CONSORZI, RENDENDO COSÌ MERAMENTE RIPETITIVI I PROGRAMMI OPERATIVI RISERVATI A QUESTI ULTIMI, A TUTELARE LA LORO AUTONOMIA GESTIONALE SOCCORREREBBERO - COME RICONOSCE LA STESSA REGIONE RESISTENTE - IDONEI STRUMENTI IN SEDE DI RIESAME DA PARTE DELLA REGIONE, OLTRE CHE NELLA DEFINITIVA SEDE GIURISDIZIONALE.

FASE TRE: INATTIVITA’ FORZATA

Nati subito i problemi di cui si è parlato, e quindi i ritardi, e quindi ripercussioni gravi su opere in corso, in particolare sull’impianto pluvirriguo, il BIM viene costretto in una posizione di sostanziale inattività propria. Situazione che si complica con la divisione della Comunità Montana della Valtellina, decisione gravissima, in quattro Comunità. Oltre ai problemi di riparto dei fondi in questo modo le risorse vengono indirizzate per la soluzione di problemi locali nei cinque ambiti comunitari. Per i problemi di carattere provinciale viene meno il motore economico costituito in precedenza dal BIM.

In sede politica ci si rende conto che occorre una svolta. Nell’estate del 1985 è scomparso prematuramente il sen. Athos Valsecchi, Presidente del BIM dall’inizio. Atteso il completamento delle nomine dei propri rappresentanti da parte dei Comuni, gran parte dei 78 di Valtellina e Valchiavenna avendo rinnovato le loro amministrazione nel turno elettorale amministrativo del1985, nella primavera del 1987 si procede al rinnovo.

TRIPLICE MANDATO

Al sottoscritto, indicato alla Presidenza, viene affidato un triplice mandato: smobilizzo delle ingenti risorse congelate in banca, definizione dei problemi aperti di riparto dei fondi essendo scaduta la precedente intesa tra BIM e Comunità Montane, revisione dello Statuto (questa, già avviata con proposte innovative e avanzatissime, si fermerà dopo la calamità in attesa della Legge Valtellina e suoi sviluppi).

PATOLOGICA GIACENZA DI FONDI INUTILIZZATI

Il problema più serio era costituito infatti da una patologica giacenza di fondi inutilizzati provenienti dai sovracanoni che andava ben, ben, ben oltre quella fisiologica del BIM quand’era in gestione per così dire autonoma. Tengasi conto che in ogni caso tale giacenza fisiologica svolgeva un ruolo attivo in quanto consentiva un prefinanziamento degli interventi assistiti da fondi FEOGA e ministeriale, essenziale per la loro esecuzione. La liquidazione infatti avveniva a distanza, quando andava bene, di un anno dalla presentazione di stati di avanzamento o comunque di idonee pezze giustificative.

Quella patologica aveva ben altre dimensioni ed era il frutto di una sbagliatissima interpretazione operativa della citata legge regionale 27. Disattendendo il dettato di legge, così come limpidamente definito dalla Corte Costituzionale, si era consolidato un meccanismo basato su un presupposto errato anche se sostenuto, senza approfondire, da più di uno. Il BIM in sostanza veniva considerato come Ente meramente esattore mentre le Comunità Montane trattavano i fondi BIM nei loro bilanci come se fossero entrate proprie, con appostazioni in entrata e, contestualmente – ma molte volte successivamente -, con appostazioni degli interventi da farsi in uscita . Come indicato in precedenza Ente non “passacarte” ma “passasoldi”. Di qui alla definizione di “Ente inutile” il passo è breve per chi almeno non si rende conto di quale rischio si potrebbe correre ove i sovracanoni, diritto esclusivo dei Comuni per ragioni territoriali e quindi con natura risarcitoria, venissero attribuiti ad altri Enti di fatto conferendo una natura tributaria. Perdita cioè, nel caso di contenzioso, di un fortissimo potere contrattuale.

ITER DECISIONALE ALLUNGATO

Torniamo alla situazione di allora. L’iter decisionale, ma poi anche quello operativo, si allungava. Non basta. Frequentemente avveniva che gli incarichi di progettazione venivano affidati solo una volta definito il quadro economico-finanziario. Di qui l’esigenza di tempi tecnici, di verifiche e valutazioni in corso di progettazione, di deliberazione conclusiva e, a questo punto, posto che vi fosse congruenza tra preventivo inserito nel quadro finanziario e stima dei costi come da progetto, acquisizione delle necessarie autorizzazioni, eventualmente con rinvii e modifiche. Infine le procedure di appalto, la consegna dei lavori e, finalmente, la prima erogazione al primo stato di avanzamento. In qualche caso l’anticipazione del 20%.

Amministrativamente esito disastroso perché, passando in questo modo mesi e talora anni, restavano inutilizzate enormi risorse, parti cospicue delle quali per giunta, riposavano beate nel caveau della Banca d’Italia felicissima di ospitarle per via di quel tasso zero per molta parte di esse. Mentre loro riposavano l’inflazione galoppava e così le somme pur restando nominalmente le stesse via via perdevano valore.

EFFETTO BOOMERANG

Un secondo aspetto negativo era rappresentando dal rischio di un effetto boomerang.

Come si poteva continuare la giusta recriminazione per l’inadeguatezza dei sovracanoni, solo parzialmente rivalutati ma lontani dal valore inizialmente fissato dalla legge istitutiva del 1953, se poi non si usavano i soldi di cui si disponeva?

SITUAZIONE KAFKIANA. GUARDIAMO I NUMERI

Il BIM era titolare di ingentissime giacenze ma non poteva fare nulla. Erano intoccabili in quanto per la maggior parte “a destinazione vincolata” per interventi e opere che o erano stati indicati dalle CC.MM. ma ben lungi dalla realizzazione e quindi dalla possibilità di erogare i fondi, o a destinazioni addirittura ancora da fissarsi nei piani delle Comunità Montane, come era per le Comunità di Tirano e della Valchiavenna, ma con le somme comunque vincolate in quanto di pertinenza dell’una o dell’altra Comunità.

Qualche cifra per documentare la situazione, con riferimento al bilancio 1988, primo della nuova compagine amministrativa, guidata da chi scrive.

- Per quanto riguarda i fondi relativi agli esercizi 1983, 84 e 85 il totale dei residui era di £. 2.974.342.550

1.825.792.000 la Comunità di Tirano

590.103.000 la Comunità di Sondrio

302.888.000 la Comunità della Valchiavenna

236.350.000 la Comunità di Morbegno

19.209.550 la Comunità dell’Alta Valle

- Per quanto riguarda i fondi relativi agli esercizi 1986 e 87 il totale dei residui era di £. 6.912.089.428. così suddiviso

2.002.206.218 Comunità di Tirano

1.803.184.000 Comunità di Sondrio

1.182.385.000 Comunità di Morbegno

1.038.112.210 Comunità dell’Alta Valle

886.202.000 Comunità della Valchiavenna

- Per quanto riguarda i fondi da destinarsi la Comunità della Valchiavenna doveva ancora fare le sue scelte per un ammontare indefinito di 396.277.500 £. Meno la Comunità di Tirano: 128.812.000 £.

Stiamo parlando di una ventina e più di anni fa e quindi ci si rende conto del valore di tali somme unitamente al fatto che non era così facile disporre di finanziamenti pubblici per interventi di ambito provinciale.

La ciliegina sulla torta venne con l’incedere dell’esercizio 1988 e quindi con l’arrivo dei versamenti da parte dei produttori di energia elettrica. Si arrivò così a sfiorare LA QUINDICINA DI MILIARDI FERMI.

Nessuno aveva la ricetta per risolvere il problema, anche perché alle dichiarazioni di principio e alle esortazioni non corrispondevano soluzioni. Tutti, anche politicamente, a sostenere che bisognava intervenire ma nessuna proposta, neppur di massima era stata avanzata.

DUE PROBLEMONI DUNQUE -

Erano dunque due i problemoni di carattere amministrativo sul tavolo nel 1987, corrispondenti al mandato ricevuto. La ridefinizione del riparto del “fondo comune” del BIM fra le CC.MM. e questo problema dell’incapacità di spesa. Si aggiungevano all’esigenza di rivedere lo Statuto, ancora quello originario, per adeguarlo al nuovo quadro istituzionale ed anche al diverso clima politico-istituzionale, terzo punto del citato mandato.

Problemi molto seri, ma chi scrive aveva il vantaggio di avere a suo tempo approfondito tutta la materia. Negli anni ‘72/’73 a livello politico e politico-ostituzionale, poi sia come Sindaco del capoluogo che nella Comunità Montana unica prima come Presidente e poi come Presidente di un gruppo di 130 consiglieri, sia infine nell’esecutivo nazionale ANCI e come Presidente della sua Consulta territorio, e infine nel Consiglio Nazionale UNCEM.

LA CALAMITA’. BIM IN PRIMO PIANO

Non mancavano le idee sul come operare e sul come arrivare al risultato prefisso ma nessuno aveva fatto i conti con Giove Pluvio. Il disastro del 1987, cominciato il 18 luglio e aggravato dalla grande frana che ha sepolto l’abitato di S. Antonio Morignone.

IL BIM in primo piano. La sera di sabato 18 luglio in Prefettura c’erano soltanto il Capo di Gabinetto dr. Fallica, grandissimo, chi scrive, i geologi Azzola e Tuia e due radioamatori, Bonvini e Sala. In collegamento con il Comune di Sondrio l’assessore dr. Calcinardi. Così sino a circa le tre di notte quando, in un tratto a guado, arrivarono il Ministro Zamberletti con il suo staff, il Prefetto dr. Piccolo “prelevato” dalle ferie di S. Margherita Ligure, il Presidente della Provincia Marchini “prelevato” a Morbegno, l’assessore regionale.

Atteso l’impegno dei Sindaci nei loro Comuni e quello “esterno” del Presidente della Provincia, e suoi collaboratori si converrà con Prefetto e Protezione Civile che il riferimento fisso “locale” sarà il Presidente del BIM, cosa che avverrà costantemente neo giorni,, e settimane, successivi. Vi sarà anche una serie di interventi sul piano mediatico per contrastare un superficiale e colpevole “dagli all’untore” nella ricerca delle cause della calamità quasi non bastasse il dato pluviometrico.

In Valtellina infatti in 24 ore erano arrivati dal cielo sino a 305 mm d’acqua (quanti non ci stanno in una normale vasca da bagno!) e i profeti del giorno dopo avevano subito individuato le cause. Si sprecavano i titoloni sul disboscamento e su lottizzazioni selvagge. Fu il BIM a consegnare alle decine di giornalisti la documentazione della follia di queste posizioni. Il bosco era salito in pochi anni da circa 90.000 ettari a circa 100.000 su un territorio boscabile di 166.100 ettari (nei 155.091 oltre i 2000 metri le piante sono un incontro sporadico per ragioni naturali. Quando alle lottizzazioni - di cui un quotidiano nazionale aveva prodotto addirittura documentazione pubblicando le foto …dei padiglioni dell’Ospedale Morelli!!! – altra documentazione, ufficiale, sullo stato della pianificazione urbanistica. Fu il Manifesto il primo giornale a darne atto, e via via gli altri pur con qualche cornacchia in servizio permanente effettivo piombata in Valle per pontificare.

Verrà diffusa, il 22 luglio, altra nota (89 righe di documentazione) di replica a quanto scritto da Antonio Cederna su Repubblica. La pubblicazione integrale nei capitoli dedicati alla calamità; qui alcuni cenni. Le ragioni: l’intensità delle piogge, lo zero termico oltre i 4.000 metri, scioglimento delle neci sino a questa quota, il materiale solido

L’Espresso pubblicherà una nota di chi scrive che vale la pena di riportare tal quale in quanto significativamente rende chiara la situazione:

Di rigore il classico “no comment”. Distinti saluti. Il Presidente …>.

Da citare comunque gli interventi, concordati e paralleli fra i Presidenti di BIM e Provincia, sull’incredibile vicenda della sostituzione del Ministro Zamberletti. Nei capitoli appositi i testi dei cinque telegrammi inviati il 29 luglio, con grande risalto sulla stampa nazionale, al neo-Presidente del Consiglio Goria, al Presidente della Repubblica Cossiga, a Giorgio Bocca e a Indro Montanelli. Il testo di quello inviato a Zamberletti: “Ti siamo tutti enormemente vicini dopo l’enormità della tua esclusione. Cordialità”.

Se ne riferirà nei capitoli dedicati alla calamità in una con la significativa operazione, l’incarico all’équipe dell’ing. Noé, Vicepresidente ENEA, che oltre a positivi risultati di conoscenze tecnico-scientifica porterà ad un risparmio di almeno mille miliardi di denaro pubblico.

L’ATTIVITA’

Il BIM ovviamente, per sua natura, per rapporti, per iniziativa politica si impegna a fondo nei problemi, prima dell’emergenza, dopo per le fasi successive. Non viene naturalmente trascurata l’attività ordinaria, in primis con una serie di interventi, di contatti, di “marchingegni” per un graduale smobilizzo delle ingenti risorse congelate. E’ sostanzialmente un’attività di e in collaborazione con le Comunità Montane, ma non sempre e a qualsiasi costo. Quando da parte del Presidente di una di queste si porta l’interpretazione dell’esperto che contesta l’interpretazione del BIM, dato che questa non è né degli organi dell’Ente, né del suo segretario, né di suoi esperti ma quella della Corte Costituzionale si minaccia la revoca dei finanziamenti in discussione. Si ottiene il risultato, si sblocca quel finanziamento, i soldi escono dal caveau bancario, un’opera cresce.

LA PRIMA NOVITA’ STRUTTURALE

La prima misura “strutturale” è del 10 dicembre 1988.

La fantasia amministrativa ha prodotto quella soluzione che nessuno trovava. Il Consiglio Direttivo delibera “un’innovazione conforme alla sentenza 212/1976 della Corte Costituzionale, laddove essa prevede - i Consorzi BIM - . Naturalmente con i programmi sono state definite altresì le modalità di gestione – diretta, per delega, a contributo – tali da razionalizzare, per quanto di competenza dell’Ente, l’impiego delle risorse ed agevolarne l’impiego. In tal modo è stato possibile ridirne la giacenza in Banca d’Italia, per la maggior parte infruttifera, con una notevole semplificazione burocratico-amministrativa” (dal Bilancio 1989). Non è cosa da poco. La triplice classificazione ha una serie di conseguenze positive. Nel caso di gestione diretta basta una delibera del BIM, e poi i relativi mandati. Nel caso di delega c’è la possibilità di fissare le condizioni e soprattutto, fra queste, i tempi di esecuzione e la revoca, salvo ovviamente i casi di forza maggiore. Nel caso di contributo, esso viene immediatamente erogato e la Comunità Montana può provvedere agli interventi previsti. In questo caso si evita l’assurdità, e peggio, che si verificava in precedenza: i soldi BIM in banca d’Italia a tasso zero e una Comunità Montana che, in anticipazione di cassa, pagava gli interessi per le somme utilizzate!

IL RIPARTO: I PRECEDENTI

La seconda misura “strutturale”, in attuazione del mandato ricevuto, riguarda il problema del riparto del fondo comune fra le cinque Comunità Montane della provincia.

L’accordo del 1985 aveva previsto con validità triennale dell’intesa l’attribuzione di risorse secondo il principio della percentuale proporzionale alla potenza nominale concessa – e quindi all’ammontare dei relativi sovracanoni – degli impianti localizzati nei singoli territori. Questo con una correzione per l’applicazione di una solidarietà provinciale nei confronti della C.M, di Morbegno nel cui territorio c’è l’impianto di Ardenno-Monastero, fonte certamente di danni ma, per legge, non di sovracanoni. Fu attuata con una correzione a favore di tale C.M. della percentuale meramente proporzionale e con aggiustamenti sulle quote delle altre Comunità. L’intesa si concluse con l’assunzione del relativo onere da parte della Comunità dell’Alta Valle in considerazione del fatto che si era alla vigilia dei Campionati del Mondo di sci alpino per i quali l’Alta Valle aveva beneficiato di ingenti finanziamenti.

Un triennio, la calamità, la Legge Valtellina, il 1990. In Alta Valle si puntano i piedi per ottenere la quota originariamente fissata senza più la quota depennata a favore di Morbegno. Riunioni a livello politico infruttuose in serie. La Valchiavenna richiama la decisione originaria, per via di un bacino imbrifero del Mera – là si dice “la” Mera – nettamente distinti da quello dell’Adda. Morbegno chiede ovviamente il mantenimento della solidarietà, ma tutti sono fermi sulle posizioni, anche Sondrio che ha dato la sua disponibilità a patto però che concorrano anche gli altri. Il rischio è grosso perché l’Alta Valle se non vede riconosciuto il suo diritto minaccia il ricorso al TAR, e non si può dar torto agli amministratori della Magnifica Terra. La decisione, per un problema irresolubile, è che ci pensi il BIM. Nell’esecutivo dell’Ente c’è anche una certa irritazione perché tutti sanno quale patata bollente è stata passata. La battuta conclusiva di quella seduta: “Ragazzi, abbiamo detto in altra occasione che l’impossibile lo facciamo subito; per miracoli occorre un po’ più di tempo”. Non serve il miracolo per risolvere il problema del riparto. Basta l’impossibile. E l’impossibile arriva.

IL RIPARTO: SOLUZIONE TROVATA, QUELLA “IMPOSSIBILE”

Alla seduta successiva dell’esecutivo il Presidente sciorina la sua proposta. Nessuna Comunità vuole rinunciare a quello che ha. Lasciamo loro quello che hanno: 29 Tirano, 23,8 Sondrio, 21,5 Chiavenna, 13,7 Morbegno. L’Alta Valle vuole quello che le spetterebbe, ossia il 14%, il 12 avuto sinora più il 2% cui aveva rinunciato nel 1985. Questo due glielo diamo. Facile l’obiezione, la stessa che faranno i Presidenti delle CC.MM. subito convocato al BIM: ma così il totale fa 102! “Certo, fa 102, ma tu in Alta Valle hai quello che volevi, no? Basta così” A tutti gli altri: “Vi ho portato via qualcosa? No.”. Con l’aggiunta: “o è così o valtellinesi e valchiavennaschi quando vedono che si bloccano di nuovo i fondi hanno ragione a sbatterci tutti nell’Adda o nella Mera…”.

E quel due per cento in più da dove arriva? Dai fondi diretti del BIM. I commenti, alla notizia, sono i più disparati, ma il fatto è che la cosa funziona, e funzionerà per anni. Unico caso al mondo la somma delle percentuali dei fondi divisi non dà 100 ma 102. E senza errori. La patata bollente per disperazione era stata girata al BIM, e al BIM si era, appunto, dimostrato che l’impossibile klo si poteva fare. Subito. Non sarà l’unico caso. Vistoso ad esempio quello del Colavev.

IL COLAVEV: SOLUZIONE TROVATA, QUELLA “IMPOSSIBILE”

Il Colavev (Consorzio Latterie Valtellina e Valchiavenna), struttura formalmente privata, ma di fatto para-pubblica, navigava in cattive acque. L’intero mondo agricolo era preoccupatissimo perché interessati erano tantissimi piccoli allevatori sia per lo sbocco della loro produzione sia per i soldi, parecchi, che avanzavano. Le spinte per una soluzione molto forti. Occhi puntati sul BIM. Una prima proposta. Che diventa addirittura indicazione politica, è che l’Ente versi un contributo di un miliardo. La risposta è negativa, con tutte le contumelie che ne vengono. Una prima ragione è che si vuol vedere chiaro nei conti per evitare che domani si riproduca la situazione, anche con l’intervento di una società di revisione. La seconda ragione è che un contributo a fondo perso, che pure ha la ragione immediata di pagare il latte agli allevatori che aspettano da mesi, non ha fondamento politico-amministrativo. Si guardano i conti e si vede che il BIM aveva ragione a volerli vedere. Al fatturato, giunto a quasi 27 miliardi, corrisponde una capitalizzazione di soli 500 milioni. Quasi equivalenti inoltre, in un decennio, gli oneri finanziari sostenuti e i pubblici contributi ricevuti. Il fabbisogno si aggira sui due miliardi e mezzo. C’è chi, persone autorevoli, anche nel BIM, individua la soluzione nella vendita a Parmalat che sarebbe disposta ad acquistare. Il BIM, a maggioranza, si oppone perché in questo modo verrebbero estromesse le nostre cooperative-latterie e gli allevatori non avrebbero più alcun paracadute perdendo ogni voce in capitolo. Il tempo, con le vicende dell’azienda di Collecchio, darà ragione a chi nel BIM non ne ha voluto sapere. L’otto ottobre del 1990 il BIM provvede ad una anticipazione di 2.494.313.100 di £, con ipotesi successiva di rientro in un quinquennio. Con il cash gli allevatori, molti dei quali veramente alle corde e anche nell’impossibilità di acquistare i mangimi, respirano. Nel frattempo interviene Cooperlat, Consorzio di cooperative – Fattorie Italia, disponibile a che le cooperative di Valtellina e Valchiavenna restino nell’azienda. Il problema è che il capitale deve essere azzerato. Gli allevatori hanno già contribuito ad un precedente aumento di capitale decurtando il prezzo al litro del latte e non sono in grado di andare oltre. Inutile dire che nello scenario e politico e istituzionale della provincia nessuno ha la soluzione.

Salvo una: quella di girare di nuovo la patata bollente al BIM, l’impossibile aggravato da posizioni diverse e resistenze all’interno dell’Ente. Ma l’impossibile, si è visto, non è un problema. L’operazione, suggerita non solo dalla fantasia ma da rigore amministrativo e con chiara strategia. Ci vorrà del tempo per farla capire e digerire, con maggiore o minore entusiasmo. Ma sono sei punti fondamentali che il tempo, come al solito galantuomo, ha stra-approvato. Precisamente con il rientro del prefinanziamento di 2.494.313.100 di £ si provvede alla devoluzione di pari cifra alle cooperative della provincia socie del Colavev alle seguenti sei condizioni:

a) La cifra è esclusivamente finalizzata all’aumento del capitale del Colavev;

b) La quota capitale non viene divisa tra le cooperative ma resta indivisa e indivisibile;

c) la cooperativa che esce dal Colavev perde ogni diritto;

d) la cooperativa della provincia che entra nel Colavev acquisisce tale diritto;

e) Se un domani dovesse esserci lo scioglimento, la vendita o simili la quota di capitale conseguente, quella iniziale con plus o minus valenze, deve essere destinata con decisione di BIM e Comunità Montane.

f) (norma finanziaria interna)

Sono passati 13 anni. La cosa ha funzionato e funziona. Grazie all’impossibile.

ELIMINAZIONE ELETTRODOTTI: SOLUZIONE TROVATA, QUELLA “IMPOSSIBILE”

Nel quadro dei problemi inerenti la produzione idroelettrica in provincia va considerata anche la selva di elettrodotti esistenti, per oltre 1700 km, che determinano, specie nella fascia antropizzata, una serie di inconvenienti sia d’ordine ambientale che anche di ordine pratico per le servitù alle quali assoggettano i territori attraversati, in particolare in corrispondenza dei centri urbani e degli abitati. Storicamente la situazione è il frutto della pluralità di produttori ed anche, in qualche caso, di impianti realizzati in tempi diversi dallo stesso produttore.

Il BIM ha approfittato del DPCM 23.4.1992 (G.U. 6.5.1992) che ha previsto le fasce di rispetto di almeno 10 metri per linee a 132 kV e almeno 28 per quelli a 380 kV, i risanamenti obbligatori e quant’altro. Non appena approvato, e prima ancora della sua pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale, il BIM dava incarico all’ing. Noé di esaminare la possibilità reale di eliminare questa selva di elettrodotti concentrando il trasporto su uno solo. Secondo alcuni il BIM perdeva tempo data che si trattava di una strada impossibile.

Come ufficialmente confermato da pag. 56 della relazione all’Assemblea consortile del 15.5.1993 la risposta, riservata e informale, venne in tempi sorprendentemente brevi. L’ENEL riteneva fattibile l’operazione, dal costo di circa 460 miliardi, ove vi fosse stata una integrazione, regionale o locale, per 60 miliardi. L’ENEL, con gli altri produttori, calcolava la capitalizzazione di tre fattori: minori costi di esercizio, riduzione perdite di trasporto, razionalizzazione degli interventi di manutenzione e controllo. Si aggiunga la possibilità di attingere a provvidenze europee in materia di risparmio energetico. Ci fu la controproposta della Presidenza del BIM di stralcio della demolizione dei tralicci dimessi per eliminare la necessità dell’integrazione difficilmente reperibile. Nuova risposta, sempre riservata e informale, in tempi ancora sorprendentemente brevi: la cosa a questo punto sarebbe andata avanti. Non avremmo mai pensato a quella velocità…

L?ENEL DELIBERA!

Poche settimane dopo, venerdì 11 giugno, il Consiglio di Amministrazione dell'ENEL adottava la deliberazione n. 16887 ““Razionalizzazione” dei sistemi elettrici interessanti la rete di trasmissione della Valtellina: costituzione Consorzio elettrico della Valtellina” – verbale pagg. 124/153

L’inizio “Sull’argomento riferisce il consigliere dott. Dragone…” E via di seguito le trenta pagine, che sintetizziamo.

Un primo studio era stata fatto subito dopo la calamità del 1987 (18 e 28 luglio) e completato entro l’anno. Un secondo poco più di un anno dopo. Il lavoro però venne successivamente proseguito, anche alla luce del DPCM citato – e, informalmente, per effetto del nostro intervento citato – sino a pervenire ai risultati conclusivi illustrati nella delibera in oggetto. I punti principali delle conclusioni cui era pervenuto l’ENEL per gli aspetti concernenti la provincia, con cenni alla attigua Valcamonica:

a) Previsti due nodi di smistamento a Grosotto, terminale linee AEM e Edison, e Piateda (con dismissione del nodo attuale di Sondrio), terminale delle linee ENEL e Sondel.

b) Due nuove linee a 380 kV, una da Grosotto a Piateda e l’altra da Grosotto a San Fiorano, questa non utilizzata ma di scorta nel caso di di servizi nel resto della rete.

c) Due nuove linee a 380 kV, una da Piateda a Verderio, l’altra da Piateda a Cassano.

d) Smantellamento attuali linee a 132 e 220 kV, per un totale (compreso fuori provincia) di oltre 1200 Km.

e) Per le linee a 380 kV previsto l’utilizzo di tracciati già oggi esistenti (linee da smantellare) per circa 300 Km, e nuovi tracciati (compreso fuori provincia) per meno di 50 Km, dei quali solo 7 Km in provincia e uno in Valcamonica..

f) Per quanto concerne il Tiranese smantellamento delle due linee AEM in partenza da Grosotto e quella dell’Edison, la Robbia-Sondrio, tutte a 220 kV.

g) Per quanto concerne il Tiranese, le due nuove linee a 380 kV previste quasi tutte su tracciati di linee esistenti: 34 Km su 37 per la Grosotto-Piateda e 26 su 27 per la Grosotto-San Fiorano. Non ci sono tratti nuovi nel resto del Tiranese., salvo 500 metri nei pressi di Stazzona per una linea a 220 kV, e neppure in Valcamonica.

Larga parte della deliberazione è dedicata ai vantaggi che la “Razionalizzazione” comporterebbe ivi inclusi quelli di natura ecologica. All’unanimità infine la decisione, Al Al primo punto si impegna la struttura “ad approfondire preliminarmente sia le possibilità tecniche di incremento della produzione elettriva ENEL in Valtellina, sia le implicazioni giuridico-legali della iniziativa consortile nei riguardi delle riserve attribuite all’Ente dalle normative vigenti”. Al punto secondo si decide “di proseguire le trattative, anche riguardo le ipotesi di partecipazione societarie, e riferire al Consiglio di Amministrazione non appena possibile.

Conferma puntuale di quanto informalmente re riservatamente precisatomi, ovvero che in definitiva è la volta buona. Da notare, come risultato accessorio, che parte cospicua di quei 400 miliardi sarebbero stati spesi in zona.

Era, ripetiamo, venerdì 11 giugno 1993.

SE QUALCUNO, AHIME’, VUOL SAPERE…

Se qualcuno, ahimé, volesse sapere quali sono stati gli sviluppi successivi dovrebbe chiederlo all’intera classe dirigente provinciale di allora. Il nostro mandato era infatti scaduto il precedente 15 maggio, circa quattro settimane prima della deliberazione citata. Dopo per ragioni imperscrutabili nessuno si è più occupato del problema sino a poco tempo fa. Allora c’era il problema dell’elettrodotto di interconnessione fra la rete svizzera e quella italiana con resistenze da parte di comuni tiranesi e della Valcamonica. Intervenni pubblicamente. Mi si richiese, riservatamente, sia dal consulente che da amministratori, un parere (gratuito, s’intende) e documentazione. Si aprì la via per l’intesa che poi venne sottoscritta, anche se con uno strano tracciato del maxi-elettrodotto. Recuperata, dopo molti anni, in parte l’intesa di allora. Che però sarebbe stata globale.

Inutile piangere sul latte versato. Certo, ma separare meriti e responsabilità.

PALAZZI BIM: QUI RIMASTA AL PALO LA SOLUZIONE POSSIBILE

Se dei problemi “impossibili” si è venuti a capo, uno invece possibile è rimasto del tutto al palo. Ci si riferisce ai Palazzi Sertoli-Raina-Guicciardi, a suo tempo residenza di un futuro Papa, di proprietà del BIM. Affidato l’incarico all’ing. Corrado Merizzi e all’arch. Fernando Grattirola si stava per procedere secondo le indicazioni urbanistiche di dettaglio del Comune di Sondrio (e con la possibilità di avere consistenti agevolazioni finanziarie). Intervento significativo, in pieno centro di Sondrio, su edifici di volume complessivo pari a 10.349,46 metri cubi con una superficie di pavimento utilizzabile di 889,46 a piano terra, 904,72 al primo piano, 914,68 al secondo piano, cui vanno aggiunti 1186,76 mq in sotterraneo, 604,54 mq di giardino e 232,55 mq di cortile. Si pensava, oltre a sede del BIM a diverse funzioni pubbliche e di largo interesse. Nacquero problemi in Comune di Sondrio per posizioni politiche diverse circa la destinazione da darsi ai Palazzi, sui quali non si entra. Il risultato fu di fermarsi. Là dove sarebbe stato possibile procedere fu giocoforza fermarsi. L’intervento avverrà ad opera dell’Amministrazione successiva.

MANDATO POSITIVO

Un mandato, quello 1987/1993, decisamente positivo. Non per autocertificazione ma come riscontro oggettivo. Basta scorrere le ampie relazioni annuali collegate al bilancio ed in particolare l’ultima, quella predisposta per l’ultima assemblea, del 15 maggio 1993.

Ci sono le diverse realizzazioni, la curiosa tabella delle giacenze in Banca d’Italia, non le massime ma quelle al 31.12 di ogni anno. Dai 10/11 miliardi iniziali agli 8,6 del 1990, ai 7,6 miliardi del 1991 infine a 444,2 milioni del 1992. Ci sono le varie iniziative. Ci sono i mutui agevolati per gli impianti sportivi. E c’è anche la proposta alla Provincia che stava elaborando il suo Statuto di un salto di qualità dell’ordinamento con una saldatura istituzionale fra l’Ente di Governo (Provincia), gli Enti di settore (APT, BIM, CCIAA, IACP), gli Enti di servizio, gli Enti comprensoriali. Cosa possibile, anzi da farsi subito secondo l’assessore provinciale Contini e secondo altri, ma, anche in questo caso, occasione perduta, rimasta al palo per una ragione che neppure riportiamo.

Ci fermiamo al 1993. Ad altri il compito di scrivere la storia, o la cronaca, del dopo.

Alberto Frizziero

Alberto Frizziero
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