) Capitolo nono.IL BIM, ESSENZIALE STRUMENTO DI TUTELA. – 1) PREMESSE.: a) GLI INIZI DELLA PRODUZIONE IDROELETTRICA b) POI DAL DISASTRO DELLA DIGA DEL GLENO ALLA LEADERSHIP MO0NDIALE. c) “CARBONE BIANCO” E SALVAGUARDIA DELLE COMUNITA’ LOCALI

Il Consorzio dei Comuni del Bacino Imbrifero Montano dell’Adda (B.I.M.) - a) Premesse: il progresso scientifico e tecnico del XIX° secolo - a) Premesse: la prima produzione di energia elettrica; Milano all’avanguardia - a) Premesse: la prima produzi

Il Consorzio dei Comuni del Bacino Imbrifero Montano dell’Adda (B.I.M.)

Comunemente chiamato BIM è in realtà il Consorzio dei Comuni del Bacino Imbrifero Montano dell’Adda, Ente essenziale per la salvaguardia degli interessi delle comunità locali con riferimento al diritto di uso plurimo delle acque pubbliche. Periodicamente compare qualcuno che ne vorrebbe la soppressione. Che sia qualcuno di Roma e Milano non sorprende. Stupisce che abbiano questa autolesionistica idea persone delle zone interessare, in particolare di Valtellina e Valchiavenna. Anche quest’aspetto emergerà nel corso di questo capitolo che però richiede alcune premesse per una migliore valutazione di una serie di aspetti consequenziali. Brevi cenni storici appaiono opportuni, ed in particolare l’evento tragico del Gleno che determinò regolamentazione, innovazioni tecniche, sistema di controlli all’avanguardia tanto da conquistare al nostro Paese una leadership mondiale in tutto quello che riguardava il “carbone bianco”, ossia l’energia idroelettrica.

a) Premesse: il progresso scientifico e tecnico del XIX° secolo

Nel corso del secolo XIX vi furono invenzioni in serie fra cui quelle, fondamentali, degli italiani Pacinotti e Galileo Ferraris anche se poi lo sfruttamento commerciale lo fecero altri.

- Antonio Pacinotti aveva descritto sul n° 19 del Nuovo Cimento nel 1865 “l’anello” che da lui prese il nome, riconoscendo il carattere di reversibilità della macchina da generatore a motore. Poco dopo mostrò la sua macchina a Zénobe Theophilé Gramme che realizzò il primo alternatore per usi industriali.

- Galileo Ferraris nel 1885 presenta in pubblico “l'esistenza di un campo magnetico rotante”, di fatto una grande conquista, il motore asincrono, e tre anni dopo ne pubblica la teoria sulla rivista L'Elettricità. E’ però Nicola Tesla negli USA che deposita cinque brevetti, poi comprati dalla Westinghouse. Lo scienziato italiano commentò serenamente: "Ho visto a Francoforte che tutti attribuiscono a me la prima idea, il che mi basta. Gli altri facciano pure i denari, a me basta quel che mi spetta, il nome". La scoperta del campo magnetico rotante non è in discussione nel mondo scientifico. Il merito è di Galileo Ferraris.

a) Premesse: la prima produzione di energia elettrica; Milano all’avanguardia

Avevano cominciato a produrre elettricità, corrente continua, un po’ dappertutto in quegli anni, in centrali a carbone e utilizzando dinamo.

Gianluca Papini nella sua Storia di Milano ricorda come “la prima centrale elettrica non solo italiana, ma dell’Europa Continentale” (la prima, del Holborn Viaduct, in realtà aveva iniziato la sua produzione l’anno prima a Londra), “fu di tipo termoelettrico e sorse in una piccola area compresa fra le vie Santa Radegonda ed Agnello, vicinissimo al fianco sinistro del Duomo. Per la sua costruzione furono acquistati i locali del teatro di Santa Radegonda, che era ormai in disuso da qualche anno. Nel corso del 1882-83, il teatro fu demolito ed al suo posto fu eretto l’edificio della Centrale, che accoglieva al primo piano le caldaie a carbone ed al piano terra le macchine alternative a vapore e le dinamo. Fu inoltre costruita una ciminiera di mattoni alta 52 metri. La potenza elettrica delle quattro dinamo installate (circa 350 kW complessivi, quanto bastava per accendere 4800 lampade ad incandescenza da 16 candele, alimentate a 100-110V) 8 marzo 1883 il giorno d’inizio della produzione. Gli utenti della Centrale furono i negozi dei portici settentrionali di Piazza Duomo, i locali eleganti che si affacciavano sulla Galleria, il Teatro Manzoni ed il Teatro della Scala, disposti a pagare quasi il doppio delle tariffe di una equivalente illuminazione a gas”.

Primato quantomeno europeo per il Teatro della Scala che nel 1883 si presentò il giorno di Santo Stefano all’inaugurazione della Stagione lirica nel fulgore delle sue 2880 lampade a incandescenza. 10 anni più tardi il primo tronco di tramvia elettrica, tre km, tra Piazza Duomo e Corso Sempione.

a) Premesse: la prima produzione di energia elettrica; la provincia di Sondrio non era da meno

La provincia di Sondrio non era da meno. Mentre Milano si accendeva – ce lo ricorda Giuseppe Songini nel suo libro del 1994 intitolato “l’energia elettrica in provincia di Sondrio” – a Chiavenna, tre mesi prima della Scala di Milano, l’ing. Lorenzo Vanissi nel Cotonificio Amman installava un generatore che forniva corrente a trenta lampade ad incandescenza che andavano a sostituire “i fumosi lucignoli a petrolio”. Cinque anni più tardi la luce arriva anche nel mulino Ongania a Sondrio e nel Setificio Sacchi & C. a Morbegno. Nel 1893 a Sondrio luce per tutti. Per gli sviluppo successivi si rimanda alla consultazione del volume citato.

a) Premesse: dalla corrente continua a quella alternata

Il problema principale di quelle prime centrali era, caratteristica della corrente continua, che la diffusione dell’energia era limitata ad una ristretta zona intorno alla centrale. La carta vincente fu il trasporto a distanza, a tensioni più elevate, che fu reso possibile dalla produzione di corrente alternata. Il trasporto a distanza consentì la realizzazione di quel sogno che Camillo Benso Conte di Cavour, prematuramente scomparso all’età di 51 anni lasciando il neonato Regno d’Italia ad una gestione asfittica, aveva vagheggiato profetizzando che se si fosse riusciti a utilizzare il potenziale energetico delle Alpi l’Italia avrebbe potuto competere con gli altri grandi Paesi europei. Non solo ma il gerontologo prof. Stefanini sosteneva che l’aumento dell’età media, ferma a 36 anni dal tempo dei romani al primo ottocento, sia stato dovuto proprio alla disponibilità di energia diffusa

Per dare un’idea della situazione verso la fine del secolo, nel 1898, la produzione italiana annua era arrivata a 66 milioni di kWh, non molto di più della quantità di energia consumata annualmente oggi dalla città di Sondrio, ma solo quindici anni più tardi era trenta volta tanto, era cioè arrivata già a 2 miliardi di kWh. e ferveva l’attività costruttiva di nuovi impianti idroelettrici con, essenziale, le linee di distribuzione.

a) Premesse: si cominciava a delineare il ruolo delle zone alpine

Ad acqua fluente o ad accumulo. I primi con traverse su fiumi di notevole portata con salti di altezza forzatamente limitata (due esempi oggi in provincia: l’impianto di Buffetto ex Falck e l’impianto di Monastero ex Ferrovie dello Stato, entrambi con traverse e prese sul corso dell’Adda). I secondi con laghi artificiali in quota, con possibilità quindi di grandi salti e portate minori, suddivise nelle condotte forzate on più grandi tubazioni (ce ne sono una trentina con una capacità di invaso tale da assicurare i fabbisogni idrici della intera città di Milano per oltre cinque anni).

Gli impianti ad accumulo sono fondamentali in quanto, di fatto, riserve di energie disponibili in ogni momento, in particolare per le punte della domanda, semplicemente aprendo “un rubinetto”.

Fra il primo tipo di impianti , già di una certa dimensione e per utilizzi che possiamo definire industriali quello di Campovico. Singolare la paternità dell’iniziativa, visto che qui, in cima all’Italia, viene ad operare la Società Strade Ferrate Meridionali. Tra il 1899 e il 1901 si lavora, poi si inizia a produrre e a fornire energia elettrica alla prima ferrovia del mondo a trazione elettrica, la Lecco-Colico-Sondrio, con la diramazione per Chiavenna.

Per i fini locali sorgono decine di centraline, molte delle quali chiuderanno dopo essere state scioccamente assorbite dall’ENEL al tempo della nazionalizzazione. Sorgono qua e là impianti di considerevoli dimensioni e linee di trasporto dell’energia. In genere si tratta di impianti ad acqua fluente, al massimo con qualche serbatoio di compenso. Bisognerò aspettare qualche anno per la realizzazione delle grandi dighe, alcune delle quali realizzazioni di avanguardia.

a) Premesse: ruolo delle zone alpine e interessi locali

Non sorgono, nell’immediato, problemi. La diffusione dell’energia elettrica li pone sostanzialmente soltanto alle società del gas, ove operanti, che cercano di resistere alla concorrenza. A Milano abbassano i prezzi per cui il gas è grandemente competitivo rispetto all’energia elettrica il cui uso all’inizio è sostanzialmente riservato all’illuminazione. Ma la novità sfonda anche se costa di più.

Le comunità locali ovviamente vedono con favore l’innovazione, non solo per l’uso dell’energia ma anche come risorsa economica, e come occasione di lavoro in una società prevalentemente contadina. Nei rapporti con le società maggiori verranno poi stipulati accordi dagli Enti locali.

Comincia però a porsi, sia pure potremmo dire impercettibilmente, il problema della regolazione normativa. Il 10 agosto 1884 – anche allora per l’approvazione delle leggi concernenti il territorio evidentemente si preferiva scegliere il periodo del solleone… - è la data della prima Legge 2644 in attesa di un più consistente Testo Unico delle acque (1896) dove si comincia a considerare anche un non meglio definito “sovracanone”. Verrà poi il Decreto Luogotenenziale 20 novembre 1916 n.° 1664 ma intanto maturano ben altri eventi, uno dei quali tragico: il crollo della diga del Gleno.

b) Disastro del Gleno: la tragedia

A meno di 21 km in linea d’aria da Sondrio e a 15 da Aprica, sul versante bergamasco delle Prealpi Orobie dal 1916 al 1923 venne eretta la diga del Gleno. 260 metri di sviluppo per un invaso che avrebbe dovuto essere di 4,5 milioni di metri cubi. Il 1 dicembre 1923, alle 7.15, la diga, da poco invasata al livello massimo, viene sfondata al centro per un tratto di un’ottantina di metri. L’ondata arriva sino al Lago d’Iseo travolgendo tutto al suo passaggio. Oltre ai danni, ingentissimi, il tragico bilancio di vite umane. 356 secondo i dati ufficiali ma molte di più secondo stime dell’epoca.

Il processo durato oltre tre anni accerterà responsabilità gravi di progettazione e di esecuzione, ma soprattutto dimostrerà che cosa non si deve fare nella costruzione di un’opera di quel tipo.

Il primo progettista muore. Subentra un altro che viene da Palermo, zona allora non proprio da dighe. Si alternano anche le imprese. Si alterna persino, in corso d’opera, la tipologia costruttiva. Infine il Genio Civile che doveva controllare quando si muove con diffide non ottiene nessun risultato dato che i lavori vanno avanti lo stesso e persino, a un certo punto, senza che il progetto ultimo sia stato non solo approvato ma neppure presentato.

b) Disastro del Gleno: le prime conseguenze

Passano solo cinque giorni e il Governo Mussolini interviene. Il D.M. 6 dicembre 1923 n. 1706 istituisce una Commissione, composta da grandi esperti (ingegneri L. Cozza, G. Fantoli, C. Guidi e L. Dompé) con il compito di accertare le condizioni di sicurezza degli impianti idroelettrici. Non si trattò della solita Commissione, di quelle che si nominano per rinviare sine die le scelte. In un

anno aveva passato al setaccio oltre 100 dighe di altezza superiore ai 10 metri e con invaso superiore ai 50.000 mc, in esercizio, in costruzione o allo stadio di progetto precisando in dettaglio cosa fare nei casi nei quali occorreva intervenire per la sicurezza. Alla fine l’esame sarà compiuto su 137 dighe, delle quali 95 in esercizio e 42 in costruzione. Tre vennero radiate, e per una serie di altre vennero indicati, con estremo dettaglio e motivazioni tecnico-scientifiche gli interventi e le integrazioni da farsi oltre alle modalità di esercizio da seguire. Non solo questo. La Commissione presentò anche una serie di proposte per una nuova normativa, accolte dal Governo nel nuovo regolamento approvato con R.D.2540/1925, innovativo e qualificato, che in modo approfondito fissa i “paletti” tecnico-scientifici, amministrativi, procedurali, organizzativi dell’intero settore. Migliorano ancora le cose con il regolamento R.D. 1 ottobre 1931 n. 1370 fino alla definizione emblematica di due anni più tardi quando viene varato Testo Unico n. 1775 dell’11 dicembre 1933.

il Testo Unico del 1933 che prescrive ai produttori di energia elettrica il pagamento di sovracanoni a Comuni e Province interessati dall’utilizzo idroelettrico delle acque..

b) Disastro del Gleno: la tragedia è servita per evitarne altre

La tragedia è servita per evitarne altre. (a chi obietta citando il Vaiont va risposto che la diga, nonostante il carico grandemente superiore a quello di calcolo per l’altezza della massa d’acqua, ha resistito ed è ancora intatta al suo posto. Si deve parlare di geologia). Il Testo Unico del 1933 rappresenta quanto di meglio prodotto al mondo, tanto che verrà studiato e imitato da altri Paesi. Definisce l’organizzazione del settore, stabilisce come devono essere fatte le dighe, come deve essere il loro esercizio, come la sorveglianza. Le norme sono tante ma nessuna inutile o ridondante.

b) Disastro del Gleno: e nelle nuove norme attenzione per Comuni e Province

La solerzia del lavoro preparatorio è indicata anche dall’attenzione dimostrata verso i territori interessati con i sovracanoni per Comuni e Province previsti agli articoli 52 e 53. Non ci siamo ancora (interessati solo i Comuni rivieraschi, l’energia concessa la possono usare solo per i servizi pubblici; devono farsi le linee ecc.), ma il principio è stato stabilito

c) Carbone bianco e salvaguardia delle comunità locali: Italia povera di materie prime…

Un tempo nei testi scolastici, fin dalle elementari, si leggeva la solita frase: “L’Italia è un Paese povero di materie prime ma ricco di carbone bianco”. Negli altri Paesi ricchi di carbone l’energia elettrica era prodotta in centrali termiche funzionanti, appunto, a carbone, di cui. in Italia vi era penuria, disponendone solo nel Sulcis (lignite). L’orografia della penisola, Alpi in particolare ma non solo, e l’abbondanza d’acqua spinsero alla creazione di impianti idroelettrici con grandi e moderne dighe. Ci furono anni nei quali l’energia idroelettrica, chiamata appunto “carbone bianco” copriva quasi tutto il fabbisogno italiano anche con l’apporto della centrale geotermica di Larderello. L’aumento dei consumi, lo stop a nuove costruzioni, in parte dovuto alla nazionalizzazione con la preferenza per le centrali termoelelettriche come vedremo, ha progressivamente ridotto la quota percentuale di produzione idroelettrica sul totale, oggi intorno al quinto. Resta il grandissimo vantaggio per gli impianti ad accumulo di fronteggiate le richieste di punta, a prezzo maggiorato, ed anche quello del ripompaggio notturno in quota.

c) Carbone bianco e salvaguardia delle comunità locali: più energia ma meno acqua

L’acqua intercettata in quota, sia per apporto diretto dei torrenti che nei canali di gronda, se da un lato ha dato un rilevante contributo ai fabbisogni energetici, dall’altro ha fortemente condizionato i flussi. Alcuni esempi in provincia sono eloquenti. Anche se adesso con valutazioni sui cosiddetti deflussi minimi passi avanti sono stati fatti è nota a tutti la situazione determinatasi se non dappertutto quantomeno in alcune zone della provincia con corsi d’acqua, un tempo ricchi ed ora spesso asciutti, soprattutto nei tratti interclusi tra zone di presa e sezione di restituzione.

L’uso plurimo delle acque divenuto spesso una chimera, tenuto conto che le trasformazioni della società hanno dilatato tale concetto, come dimostra l’introduzione nelle valutazioni anche dei parametri ambientali.

Alberto Frizziero

Alberto Frizziero
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