LA MONTAGNA ITALIANA NUOVO MERCATO PER GREEN ECONOMY E SVILUPPO SOSTENIBILE
Chiavenna, 20 febbraio 2009 - "La Regione Lombardia sarà l'ultimo baluardo per la difesa delle Comunità Montane italiane anche a costo di un conflitto istituzionale con gli organi centrali del Governo" lo ha detto questa mattina l'assessore al bilancio della Regione Lombardia, Romano Colozzi, intervenendo al convegno "Tra Stato e mercato c'è la montagna" organizzato dall'Uncem, Unione Nazionale Comuni Comunità Enti Montani, a Chiavenna. "La Regione Lombardia - ha ricordato l'assessore - ha investito di suo negli ultimi anni 200 milioni di euro per le montagne lombarde".
Oltre 4000 comuni, un territorio pari al 54% dell'Italia, circa 11 milioni di abitanti e la produzione del 17% del Pil: la montagna italiana riparte dai suoi numeri, significativo indice di performance positive, e dai suoi rappresentanti, sindaci, amministratori, tecnici, chiamati a raccolta dall'Uncem questa mattina a Chiavenna.
Dopo la riforma territoriale e funzionale delle Comunità montane ai sensi della legge Finanziaria 2008, che ha confermato l'istituzione snellendone al contempo il numero e l'organizzazione, il prosciugamento progressivo dei fondi costringe a nuove riflessioni. Quest'anno il fondo ordinario di funzionamento messo a disposizione dallo Stato è pari a soli 90 milioni di euro, destinati a scendere a 40 milioni nel 2010 e a 10 milioni nel 2011. Necessaria, pertanto, l'esigenza di una progressiva sostituzione del ruolo compensativo svolto dai finanziamenti pubblici a favore della montagna, con remunerazioni che ne riconoscano le sue funzioni produttive, sia di pubblico servizio che di mercato.
Per contrastare la "soppressione surrettizia" degli organi che dal 1971 governano la montagna e le sue risorse in base alla previsione sulla tutela dei territori montuosi sancita dalla Costituzione e per varare un programma di sviluppo economico, sociale e istituzionale, il seminario è stato dedicato proprio al tema "Tra Stato e mercato c'è la montagna".
Alla storica connotazione burocratico-amministrativa della montagna, si deve sostituire la sua riconversione in struttura produttiva di beni e servizi, con la missione di realizzare dal basso concrete e misurabili attività di investimento e sviluppo sul territorio.
Le Comunità montane rinnovate, vere agenzie di sviluppo territoriale, possono svolgere una funzione fondamentale per un'inversione di tendenza: lo sfruttamento della "risorsa montagna" non sarà più sinonimo di cementificazione selvaggia e impianti sciistici; la nuova organizzazione potrebbe contribuire anche ad attenuare gli effetti dei cambiamenti climatici, della crisi energetica ed idrica, del ciclo intergrato dei rifiuti, giocando un ruolo di primo piano nella produzione di crediti di carbonio.
Più in generale il territorio montano - come è stato ribadito nel corso dell'incontro di Chiavenna -può diventare sede di processi di sviluppo migliori e complementari di quelli metropolitani, processi innovativi capaci di valorizzare il territorio e le filiere produttive connesse alla green economy.
Si prospetta dunque un moltiplicarsi dei casi virtuosi di comunità montana, sull'esempio della Comunità montana Carnia, in provincia di Udine, che grazie al lavoro congiunto di tutti i suoi comuni ha realizzato investimenti per 25 milioni di euro in impianti idroelettrici, biomasse e solari che oggi danno un redito annuo di 6 milioni di euro.
"Il futuro dello sviluppo economico - dichiara il Presidente dell'Uncem Enrico Borghi - si gioca sull'aumento di competitivita' del territorio. Per questo puntiamo sulla logica distrettuale produttiva montana attraverso le rinnovate Comunità montane, che svolgono sempre più l'azione di coordinatore e motore dello sviluppo locale. Le montagne italiane stoccano 10,2 milioni di tonnellate di anidride carbonica all'anno, condizione che consentirebbe un risparmio annuo per mancate sanzioni alle nostre imprese stimato tra i 750 milioni e il miliardo di euro e in contemporanea con regole adeguate potrebbero innescare un'economia di trading di almeno 300 milioni di euro all'anno".
Per attivare questo volano produttivo servono scelte politiche, norme e regole che le Comunità Montane invocano da tempo. Un tema su cui si esercitano da tempo anche gli economisti, come Giancarlo Corò e Paolo Gurisatti, oppure l'esperto di finanza locale, Eduardo Racca, il sociologo Aldo Bonomi: gli stessi che hanno studiato il progetto dei Distretti industriali italiani, noto e apprezzato in tutta Europa, e che si stanno ora cimentando con un analogo piano sui distretti alpini e rurali.
Il futuro prospetta l'attribuzione di nuove funzioni anche ai comuni, come necessariamente porrà il rinnovo delle concessioni idriche in numerose aree del Paese a iniziare dalla Valtellina nel 2010, e nuovi accordi per innovativi protocolli di ricerca, come la recente intesa fra Uncem, Unicredit e Federlegno - Arredo. Un accordo che rappresenta soluzioni prospettiche che "potrebbero rivelarsi fondamentali per cogliere due obiettivi essenziali di questi tempi: l'innesco di processi reali di produzione di reddito e occupazione e il conseguimento degli obiettivi ambientali per i quali il nostro Paese si è vincolato".