1 20 KHURBN (GIORNATA DELLA MEMORIA, 27 GENNAIO

Shoa e Haiti - Riflessione teologica - Brani: 1) YOSSL RAKOVER SI RIVOLGE A DIO 2)AUSCHWITZ: UNA SFIDA PER LA FEDE DI ISRAELE 3) IL CONCETTO DI DIO DOPO AUSCHWITZ 4) INTERVISTE E DIBATTITI

10 1 20 Khurbn (Giornata della memoria, 27 gennaio 2010)

Come tutti sanno il 27 gennaio ricorre la Memoria della Shoah. e il premio Nobel Wiesel in questa occasione, parlerà al Parlamento italiano, mentre altre numerose manifestazioni, specie scolastiche, non lasceranno trascorrere invano tale giorno, senza riflettere sullo sterminio del popolo ebraico nei campi di concentramento nazisti. E, spero, uniranno a tale ricordo anche i tanti innocenti di Haiti, spaventosamente ignorati da vivi, miserabili e schiavi, allontanati dal benessere che distava da loro pochi Km.

E' tale lo sconforto per questa disgrazia che confonderla con la Memoria non è difficile e mi verrebbe da chiedermi come se lo sono domandato alcuni intellettuali ebraici nel ripensare alla Shoah: Dio, dove sei? Dio, dove eri mentre quei tantissimi affamati di Haiti, come anche quelli dello Tsunami e delle moltissime sventure che colpiscono il genere umano, finiscono ignominiosamente nel nulla? Nelle nostre comode e ben cementate case, seduti davanti a una TV che ci fa toccare con mano la povertà umana di cui siamo fatti, se ci sei, mio Dio, aiutaci a sentire l'empito della fraternità non solo per i sei milioni di innocenti ebrei trucidati dalla malvagità nazista, ma anche per quanti soffrono e patiscono ingiustizie ed oppressioni, pur essendo creature come tutti noi.

Per tale motivo, ho pensato di offrire ai nostri lettori dei racconti letterari di diversi scrittori ebrei, che dopo la guerra, ripresero il lancinante problema del mancato intervento di Dio a favore del suo popolo sterminato e, più in generale, del rapporto di Israele col suo Signore, dopo la traumatizzante esperienza della Shoah (ed io ripropongo i loro scritti anche per i piccoli di Haiti ed invece di titolare Shoah, ho scelto Khurbn parola jiddish intermedia che rimanda sia al tema della distruzione totale shoah, sia al sacrificio: olocausto).

. Tra i primi a prendere la parola vi fu Zvi Kolitz, un giornalista che nacque in Lituania nel 1919, emigrò nel 1937 in Palestina e aderì al sionismo nella sua corrente più radicale ed estremista, guidata da Vladimir Ze'ev Jabotinskij. Nel 1946, mentre era in Argentina in cerca di sostegno politico per la causa del futuro stato ebraico, Zvi Kolitz pubblicò un breve racconto, ambientato durante l'insurrezione del ghetto di Varsavia. A causa della sua forza espressiva, per un certo tempo il testo fu considerato autentico, cioè effettivamente composto a Varsavia, da un combattente, durante la primavera del 1943. Il tratto più tipico del racconto di Zvi Kolitz è la tenacia, la determinazione con cui il protagonista si dichiara disponibile a restare legato ai tradizionali precetti ebraici, malgrado le prove cui Israele è stato sottoposto: quasi che Dio avesse fatto di tutto per spingere gli ebrei a non credere più in Lui. Mentre assai più dura e amara la riflessione di Elie Wiesel, che tornò sul tema dell'incomprensibile comportamento di Dio in un terribile testo teatrale intitolato Il processo di Shamgorod. Il dramma è ambientato in un villaggio della Polonia (Shamgorod, appunto), nel 1628: un anno terribile, per gli ebrei polacchi, in quanto i cosacchi scatenarono contro di loro una terribile ondata di massacri. Inorriditi da quanto accaduto, un gruppo di superstiti decide di processare Dio, a difesa del quale solo Satana osa presentarsi, nel ruolo di avvocato. Si spinsero così molti filosofi e teologi a meglio ripensare il loro rapporto con Dio.

La riflessione teologica

La meditazione propriamente filosofica e teologica vide coinvolti numerosi intellettuali, tra cui cito solo Emil Fackenheim ed Hans Jonas. Il primo non condannava affatto l'eventuale scelta di ateismo compiuta da un individuo: però, esortava gli ebrei a non perdere la fede per colpa di Auschwitz. Fackenheim mise in evidenza come le spiegazioni elaborate in precedenza per giustificare la sofferenza di Israele risultassero del tutto inadeguate: non si andava molto lontano ricorrendo a concetti come punizione del peccato (la pena, infatti, era tragicamente sproporzionata) o martirio (visto che i nazisti uccisero tutti gli ebrei senza distinzione, compresi gli atei e i convertiti). Tuttavia, per Fackenheim, tale paralisi dell'interpretazione non doveva spingere ad abbandonare la fede tradizionale: un'eventuale scomparsa della religione ebraica a seguito della Shoah sarebbe stata una clamorosa vittoria postuma di Hitler, un successo che non gli sarebbe dovuto essere assolutamente attribuito.

H. Jonas in una celebre conferenza del 1984, nominata 'Il concetto di Dio dopo Auschwitz', pose il problema in termini a un tempo più speculativi e più rigorosi. A suo giudizio, in Dio, i tre attributi della bontà , della onnipotenza e della comprensibilità non possono in alcun modo coesistere. Secondo lui, dopo Auschwitz, un Dio che venga proclamato come buono e onnipotente è del tutto incomprensibile all'uomo; a maggior ragione, un Dio che sia considerato onnipotente e comprensibile nel suo agire, non può essere valutato come buono. A questo punto, per evitare un rifiuto totale di Dio, delle tre categorie appena citate occorre rifiutare l'onnipotenza: "Dio non intervenne, non perché non lo volle, ma perché non fu in grado di farlo", in quanto per un'epoca determinata - l'epoca del processo cosmico - Dio "ha abdicato ad ogni potere di intervento nel corso fisico del mondo". Dopo Auschwitz, per Hans Jonas, esprimersi sull'onnipotenza di Dio è del tutto impossibile.

Di seguito, vi sono i vari brani antologici:

1)YOSSL RAKOVER SI RIVOLGE A DIO

Non vi è popolo più eletto di uno sempre colpito. Anche se non credessi che un tempo Dio ci abbia destinati a diventare popolo eletto, crederei che ci abbiamo resi eletti le nostre sciagure.

Credo nel Dio di Israele, anche se ha fatto di tutto perché non credessi in lui. Credo nelle sue leggi, anche se non posso giustificare i suoi atti. Il mio rapporto con lui non è più quello di uno schiavo verso il suo padrone, ma di un discepolo verso il suo maestro. Chino la testa dinanzi alla sua grandezza, ma non bacerò la verga con cui mi percuote. Io lo amo, ma amo di più la sua Legge, e continuerei a osservarla anche se perdessi la mia fiducia in lui. Dio significa religione, ma la sua Legge rappresenta un modello di vita, e quanto più moriamo in nome di quel modello di vita, tanto più esso diventa immortale.

Perciò concedimi, Dio, prima di morire, ora che in me non vi è traccia di paura e la mia condizione è di assoluta calma interiore e sicurezza, di chiederTi ragione, per l'ultima volta nella vita.

Tu dici che abbiamo peccato? Di certo è così. Che perciò veniamo puniti? Posso capire anche questo. Voglio però sapere da Te: esiste al mondo una colpa che meriti un castigo come quello che ci è stato inflitto?

Tu dici che ripagherai i nostri nemici con la stessa moneta? Sono convinto che li ripagherai, e senza pietà, anche di questo non dubito. Voglio però sapere da Te: esiste al mondo una punizione che possa espiare il crimine commesso contro di noi?

Tu dici che ora non si tratta di colpa e punizione, ma che hai nascosto il Tuo volto, abbandonando gli uomini ai loro istinti? Ti voglio chiedere, Dio, e questa domanda brucia dentro di me come un fuoco divorante: che cosa ancora, sì, che cosa ancora deve accadere perché Tu mostri nuovamente il Tuo volto al mondo? […]

Tra un'ora al massimo sarò con la mia famiglia, e con milioni di altri uccisi del mio popolo, in quel mondo migliore in cui non vi sono più dubbi e Dio è l'unico pietoso sovrano. Muoio tranquillo, ma non appagato, colpito, ma non asservito, amareggiato, ma non deluso, credente, ma non supplice, colmo d'amore per Dio, ma senza rispondergli ciecamente "amen".

Io l'ho seguito anche quando mi ha allontanato da sé; ho fatto la sua volontà persino quando mi ha colpito per questo; l'ho amato, e ho continuato ad amarlo anche quando mi ha umiliato oltre ogni dire, quando mi ha torturato a morte, quando mi ha esposto alla vergogna e allo scherno.

Il mio rebbe [= maestro ] soleva raccontarmi la storia di un ebreo che era sfuggito con la moglie e il figlio all'Inquisizione spagnola, e con una piccola barca, sul mare in tempesta, aveva raggiunto un'isoletta rocciosa. Cadde un fulmine e uccise sua moglie. Venne una tempesta e gettò suo figlio in mare. Solo e derelitto, nudo e scalzo, stremato dalle tempeste e atterrito dai tuoni e dai fulmini, con i capelli arruffati e le mani tese a Dio, l'ebreo proseguì il suo cammino sull'isola rocciosa e deserta, e si rivolse al suo Creatore con queste parole:

"Dio d'Israele, sono fuggito qui per poterTi servire indisturbato, per obbedire ai Tuoi comandamenti e santificare il Tuo nome. Tu però fai di tutto perché io non creda in Te. Ma se con queste prove pensi di riuscire ad allontanarmi dalla giusta via, Ti avverto, Dio mio e dei miei padri, che non Ti servirà a nulla. Mi puoi offendere, mi puoi colpire, mi puoi togliere ciò che di più prezioso e caro posseggo al mondo, mi puoi torturare a morte, io crederò sempre in Te. Sempre Ti amerò, sempre, sfidando la Tua stessa volontà!".

E queste sono anche le mie ultime parole per Te, mio Dio colmo d'ira: non Ti servirà a nulla! Hai fatto di tutto perché non avessi più fiducia in Te, perché non credessi più in Te, io invece muoio così come sono vissuto, pervaso di un'incrollabile fede in Te.

Sia lodato in eterno il Dio dei morti, il Dio della vendetta, della verità e della giustizia, che presto mostrerà di nuovo il suo volto al mondo, e ne scuoterà le fondamenta con la sua voce onnipotente.

Ascolta Israele, il Signore è il nostro Dio, il Signore è uno. Nella tua mano, Signore, affido il mio spirito(Queste due ultime frasi, con cui si conclude il racconto, nel testo originale yiddish sono scritte in ebraico; sono citazioni dalla Bibbia - Deut. 6,4 e Sal. 31,6 - e vengono recitate nella preghiera per i defunti. Cfr.: Z. Kolitz, Yossl Rakover si rivolge a Dio, Milano, Adelphi, 1997, pp. 23-24 e 27-29. Traduzione di A. L. Callow):

2)AUSCHWITZ: UNA SFIDA PER LA FEDE DI ISRAELE

È chiaro che il lungo silenzio teologico era necessario. Il silenzio sarebbe forse la cosa migliore anche se non fosse per il fatto che le barriere tra le nazioni sono infrante e che per questa sola ragione il tempo del silenzio teologico è irrimediabilmente passato.

Ma cominciare a parlare significa mettere radicalmente in questione alcune dottrine midrashiche (= tipiche della tradizione ebraica ) onorate nel tempo; e tra queste una è immediatamente sconvolta. Come abbiamo visto, anche gli antichi rabbini furono costretti a sospendere il biblico "siamo puniti per i nostri peccati", forse non in risposta alla distruzione del tempio da parte di Tito ma alla paganizzazione di Gerusalemme da parte di Adriano. Anche noi possiamo al più lasciare momentaneamente in sospeso la dottrina biblica solo per il fatto che, come i rabbini, non possiamo né negare i nostri peccati né isolarli dalla storia. Eppure dobbiamo sospenderla. Perché, comunque noi giriamo e rigiriamo tale dottrina in risposta ad Auschwitz, essa diventa un'assurdità religiosa e addirittura un sacrilegio.

"Peccato" ed "espiazione" devono assumere una connotazione individuale? Che idea sacrilega, quando si pensi che tra le vittime dei nazisti vi furono più di un milione di bambini! Dobbiamo dar loro una connotazione collettiva? Che idea terribile, se si pensa che non furono le nostre comunità ebraiche, occidentali, agnostiche, infedeli e ricche, ma quelle più povere, devote e fedeli che furono più duramente colpite! Quando nel nostro tormento ci rivolgiamo in un ultimo tentativo alla dottrina tradizionale per cui tutti gli israeliti di tutte le generazioni sono responsabili l'uno per l'altro, noi continuiamo a sentirci completamente sconcertati perché non un solo dei sei milioni morì perché esso non mantenne il patto divino- ebraico: essi morirono tutti perché i loro nonni lo avevano rispettato, al limite solo per aver allevato bambini ebrei. Ecco il punto in cui tocchiamo l'assurdo religioso radicale. Ecco lo scoglio contro il quale naufraga senza rimedio l'idea che "siamo puniti per i nostri peccati".

Ma allora gli ebrei morirono forse ad Auschwitz per i peccati degli altri? Il fatto è evidentemente abbastanza ovvio, ed è sempre più evidente che questi atti corrispondevano ai criminali nazisti. Il problema sta però nel sapere se si può scoprire in questo fatto un significato religioso, se noi, come tante generazioni precedenti, possiamo far ricorso all'idea del martirio. [...] Può ancora confortare la coscienza ebraica dopo Auschwitz? Quando le bande dei crociati si scatenarono contro gli ebrei delle città renane di Worms e Magonza (1096 d. C.) esse offrirono loro in teoria, se non in pratica, la scelta tra morte e conversione permettendogli quindi di scegliere il martirio. Ad Auschwitz, invece, non ci fu scelta; vecchi e giovani, fedeli e non fedeli furono sterminati senza discriminazione. Vi può essere martirio quando non vi è scelta? [...] Auschwitz fu il tentativo supremo, il più diabolico che sia mai stato fatto di uccidere lo stesso martirio e di privare ogni morte, compreso il martirio, della sua dignità. […]

Che cosa comanda la voce di Auschwitz?

Gli ebrei non hanno il diritto di concedere a Hitler delle vittorie postume. Essi hanno il dovere di sopravvivere come ebrei, perché il popolo ebreo non abbia a perire. Essi non hanno il diritto di disperare dell'uomo e del suo mondo e di trovare rifugio sia nel cinismo sia nell'aldilà, se non vogliono contribuire ad abbandonare il mondo alle forze di Auschwitz. Infine essi non hanno il diritto di disperare del Dio di Israele, perché l'ebraismo non perisca. Un secolarista ebreo non può trasformarsi in un credente per un semplice atto di volontà, né gli si può imporre di farlo… Ed un ebreo religioso che è stato fedele al suo Dio può essere costretto ad un nuovo rapporto magari rivoluzionario con lui. Una possibilità comunque è del tutto impensabile. Un ebreo non può rispondere al tentativo di Hitler di distruggere l'ebraismo cooperando egli stesso a tale distruzione. Nei tempi antichi il peccato impensabile per gli ebrei era l'ateismo. Oggi consiste nel rispondere a Hitler compiendo la sua opera( Cfr.:E. L. Fackenheim, La presenza di Dio nella storia. Saggio di teologia ebraica, Brescia, Queriniana, 1977, pp. 97-99 e 111-112).

3)IL CONCETTO DI DIO DOPO AUSCHWITZ

La onnipotenza divina può coesistere con la bontà assoluta di Dio solo al prezzo di una totale non comprensibilità di Dio, cioè dell'accezione di Dio come mistero assoluto. Di fronte all'esistenza nel mondo del male morale o anche solo del male meramente fisico, dovremmo sacrificare la comprensibilità di Dio alla coesistenza in lui degli altri due attributi. Solo di un Dio totalmente incomprensibile si può affermare che è assolutamente buono e cooriginariamente assolutamente onnipotente e che, nonostante ciò, sopporta il mondo così com'è. Più in generale, i tre attributi in questione - bontà assoluta, potenza assoluta e comprensibilità - sono fra loro in rapporto tale che ogni relazione tra due di loro esclude il terzo. Questo è allora il problema vero: quali sono i due concetti veramente irrinunciabili, fondamentali per il nostro concetto di Dio e quale è il terzo che deve essere escluso?

Certo la bontà, cioè la volontà del Bene, è inseparabile dal nostro concetto di Dio e non può sottostare a nessuna limitazione. La comprensibilità o la conoscibilità che è doppiamente condizionata, dall'essenza di Dio e dalla limitatezza umana, è, in ultima analisi, certamente un attributo limitato, tuttavia non può essere in nessun modo negata. Il Deus absconditus, il Dio nascosto (per non parlare del Dio assurdo) è un concetto del tutto estraneo all'ebraismo. La nostra dottrina, la Torah, si fonda sul presupposto che noi possiamo conoscere Dio, ovviamente non in modo perfetto, ma limitato: che noi conosciamo cioè qualcosa di lui, del suo volere, delle sue intenzioni e della sua essenza, dal momento che egli stesso ce lo ha rivelato. Ci fu la Rivelazione, possediamo i suoi comandamenti e la sua legge, a molti - i suoi profeti - egli si rivolse direttamente, affinché trasmettessero la sua parola a tutti nel linguaggio degli uomini e del tempo; egli ha parlato ricorrendo a questo mezzo imperfetto, non si è chiuso perciò in un impenetrabile mistero. Il concetto di un Dio totalmente nascosto è conseguentemente inammissibile per la fede ebraica.

Ma certamente Dio dovrebbe essere incomprensibile se con la bontà assoluta gli venisse attribuita anche l'onnipotenza. Dopo Auschwitz possiamo e dobbiamo affermare con estrema decisione che una Divinità onnipotente o è priva di bontà o è totalmente incomprensibile (nel governo del mondo in cui noi unicamente siamo in condizione di comprenderla). [...]

Di fronte alle cose veramente inaudite che, nel creato, alcune creature fatte a sua somiglianza, hanno fatto ad altre creature innocenti, ci si dovrebbe aspettare che il Dio, somma bontà, [...] intervenga con un miracolo di salvezza. Ma questo miracolo non c'è stato; durante gli anni in cui si scatenò la furia di Auschwitz Dio restò muto. [...] Dio tacque. Ed ora aggiungo: non intervenne, non perché non lo volle, ma perché non fu in condizione di farlo. Per ragioni che in modo decisivo derivano dall'esperienza contemporanea, propongo quindi l'idea di un Dio che per un'epoca determinata - l'epoca del processo cosmico - ha abdicato ad ogni potere di intervento nel corso fisico del mondo. [...] La creazione fu l'atto di assoluta sovranità, con cui la Divinità ha consentito a non essere più, per lungo tempo, assoluta - una opzione radicale a tutto vantaggio dell'esistenza di un essere finito capace di autodeterminare se stesso - un atto infine dell'autoalienazione divina( Cfr.: H. Jonas, Il concetto di Dio dopo Auschwitz. Una voce ebraica, Genova, Il Melangolo, 1989, pp. 33-37. Traduzione di C. Angelino).

4)INTERVISTE E DIBATTITI

Sulla natura malefica di Hitler Bauer non ha dubbi: Hitler è "quel che definirei il male quasi estremo". L'idea di un male quasi estremo servì da ponte alle stupefacenti, addirittura traumatiche osservazioni di Bauer su Dio. Per essere uno che non crede all'esistenza di Dio - mi aveva detto di essere ateo -, Bauer ha una serie di opinioni piuttosto solide su come dovrebbe essere se ci fosse. […] "In nessun modo Dio può essere al tempo stesso onnipotente e giusto; o è onnipotente, o è giusto. Perché, se è onnipotente, è Satana; se è giusto, è un nebbish (= termine yiddish che significa poveraccio, miserabile ].

Dio come Satana? Di rado mi era capitato di incontrare una formulazione altrettanto radicale del problema della teodicea (il tentativo di conciliare con la permanenza del male l'esistenza di un Dio che si presume amoroso e giusto). Volendo esporre per esteso i postulati impliciti nel sintetico sillogismo "Dio come Satana o come nebbish", ecco che cosa intende dire Bauer: un Dio onnipotente che sia giusto e amoroso non avrebbe permesso, per nessuna ragione, in nome di nessun presunto piano, che sei milioni di innocenti fossero massacrati. Se è onnipotente, sarebbe potuto intervenire (così come, nella Bibbia, è intervenuto in tante occasioni in cui il rischio era minore), e se è giusto, sarebbe voluto intervenire. Se è onnipotente e ha permesso che il male quasi estremo prevalesse, che un milione di bambini fossero massacrati, praticamente sotto gli occhi dei genitori, senza intervenire, tanto vale che sia Satana. Il che ci conduce al secondo elemento del sillogismo: se Dio è giusto non può essere troppo potente, perché se è giusto vorrebbe intervenire, ma non ha potere sufficiente a cambiare la situazione: è un Dio pieno di buone intenzioni, ma che ci impressiona ben poco.

"Un nebbish?".

"Be', sa, un poveraccio che dev'essere sostenuto …. Di un Dio così, non so che farmene. Che razza di Dio è: non è un essere onnipotente, però è onnipresente?". L'ultima frase su un Dio "onnipresente" alludeva alla tormentata argomentazione proposta da Emil Fackenheim per spiegare come mai ad Auschwitz fosse assente quella che lo stesso Fackenheim chiama "la voce autorevole di Dio". Fackenheim avrebbe voluto trovare una qualche presenza di Dio nei campi di sterminio, anche soltanto una presenza silenziosa, di testimone. Ma Bauer non sopporta più un Dio che si limita a soffrire in silenzio insieme con le vittime: "Quando è lì, piange... già, ma mi serve a poco. È del tutto superfluo. In una simile concezione non c'è più qualcuno da pregare". […]

Elie Wiesel è famoso per un'immagine impressionante di quella che si potrebbe chiamare l'esecuzione capitale di Dio. Per aver descritto, in La notte, lo spettacolo orribile di u ragazzo impiccato dalle guardie del campo di sterminio, e per aver gridato che, per lui, il ragazzo appeso a quel cappio era Dio: Dio che ormai, per lui, era morto. (In un saggio scritto per lo Yom Kippur del 1997, Wiesel dice che dopo mezzo secolo vuole "far pace" con il Dio abbandonato su quella forca, sebbene "Auschwitz deve per sempre restare, e sempre resterà, un punto interrogativo" che nessuna "risposta teologica" ha ancora spiegato.)

Fackenheim vuole far scendere Dio da quella forca. La sua visione di un Dio che nei campi di sterminio non era una presenza "autorevole", bensì silenziosa, è alquanto più complessa di come la vedeva Yehuda Bauer nella sua descrizione caricaturale di "un Dio che è presente e piange insieme a te". Piuttosto, Fackenheim recupera la presenza di Dio nei gesti di eroismo, tenacia, amore e fede manifestati dai prigionieri del campo messi di fronte al male radicale. E questa, secondo la sua definizione, è la voce autorevole di Auschwitz, la voce che proibisce vittorie postume a Hitler.

Tuttavia, lo stesso Fackenheim non sostiene la tesi che questo concetto di una presenza silenziosa risolva il mistero del ritiro di Dio nel silenzio quando coloro che lo pregavano erano esposti al pericolo estremo. Solo che per Fackenheim l'alternativa è intollerabile. Non tanto perché vorrebbe dire accettare il sillogismo di Bauer, secondo cui Dio o è Satana, o è un nebbish, quanto perché una simile accettazione, quel rifiuto o liquidazione di Dio da parte degli ebrei, sarebbe in effetti comandato da Adolf Hitler e gli darebbe da morto quella vittoria definitiva sugli ebrei che da vivo gli era stata negata. Uno sterminio della fede più completo dello sterminio dei credenti. Secondo Fackenheim, ne sono convinto, cedere alla logica spoglia del sillogismo di Yehuda Bauer - se Dio è onnipotente, ha permesso che l'Olocausto accadesse, dunque l'ha causato - significa fare di Dio Hitler o di Hitler Dio.

La ribellione di Fackenheim contro questa scelta impossibile, che porta in un vicolo cieco, la ribellione contro l'idea che sia Hitler a prescrivere quel che gli ebrei devono pensare di Dio lo ha indotto appunto a concepire il suo seicento quattordicesimo precetto. […] Per quanto io respinga tutte le consolazioni e le razionalizzazioni con le quali la teodicea cerca di spiegare Hitler, io mi rifiuto di concedere a Hitler il potere, mi rifiuto di permettere a Hitler di essere il catalizzatore, la ragione decisiva del mio rifiuto di quel Dio con il quale per tremila anni i miei avi hanno vissuto e per il quale sono morti, nella buona e nella cattiva sorte. Rifiutate Dio per qualsiasi altra cosa: perché non esiste, per il suo silenzio, per la sua morte, ma non per Hitler: non concedete a Hitler questo potere, questa vittoria postuma( R. Rosenbaum, Il mistero Hitler , Milano, Mondadori, 1999, pp. 387-389 e 404-407. Traduzione di T. Gargiulo).

Maria de Falco Marotta

Maria de Falco Marotta
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