I PROBLEMI DEL DOPO-GIAPPONE: 'FILOSOFICO', NUCLEARE, ENERGETICO, ECONOMICO, POLITICO E, DULCIS IN FUNDO, L'ITALIA 11 3 10 51

Quello che è successo, e sta succedendo, in Giappone è destinato ad entrare nella storia. Non cronisticamente ma come punto fermo. Sono cinque i capitoli del libro d'interesse planetario da scrivere con un'appendice per quanto riguarda il solo nostro Paese. In sintesi:

1) Il problema 'filosofico'

Quel che è successo e le successive conseguenze sono un brutto colpo al neo-illuminismo, alla fieristica fiducia nella scienza ed anche al colonialismo dell'immanente rispetto a un sempre più emarginato trascendente. Maggiore modestia e minore presunzione non solo non guasterebbero ma diventano indispensabili.

Se quanto sopra è valido in teoria c'è però a supportarlo quello che abbiamo visto tutti. Non c'è alcun dubbio che il Giappone rappresentasse e rappresenti la frontiera avanzata del controllo umano sulla natura. Ci riferiamo alla tecnologia antisismica, ai sistemi di rilevazione e controllo, all'apparato di comunicazioni rapide e in grande scala. Il massimo esprimibile da parte dell'umanità non è bastato. Ha vinto ancora una volta la natura.

Vengono meno certezze, si insinua l'insicurezza e ne vengono ricadute sul vivere quotidiano.

2) Il problema nucleare

Gigantesco il problema nucleare. Si votasse oggi, su scala mondiale, il nucleare sarebbe cancellato definitivamente non solo per nuovi impianti, nonostante siano di terza generazione e enormemente più sicuri, ma anche per quelli esistenti o comunque per parte cospicua di essi. In Europa ci sono 153 centrali nucleari, gran parte di prima generazione. Sintomatico il caso tedesco. La Merkel nel varare la coalizione di governo con i liberali ha dovuto accettare la loro proposta di prorogare di 12 anni la vita di quelle centrali che stavano per esaurire il periodo concesso di funzionamento. Ora nella nuova situazione ha riaperto il problema e intanto preannunciato che due di queste chiuderanno.

In Giappone di reattori ce ne sono 52 che fanno fronte ad un quarto dei fabbisogni energetici del Paese. Nella zona del terremoto, entro un raggio di 200 km non c'è soltanto la centrale di Fukushima con le sue esplosioni. Ce ne sono alcune. Problemi sono venuti quindi in una sola nonostante che la magnitudo del terremoto, 8,9, sia stata superiore a quella di cui si è tenuto conto come massimo nei progetti.

Poco meno di 400.000 MegaWatt in 443 impianti ai quali si aggiungono i 63 in costruzione. Non entriamo nei programma dato che la vicenda giapponese è destinata a modificare.

Da sottolineare in ogni caso che la maggior parte delle centrali sono di prima generazione. Ora siamo già alla terza con costi certo maggiori ma per maggiori condizioni di sicurezza oltre che di razionalità tecnologica.

3) Il problema energetico

In questo momento del tutto inutile portare argomenti concreti. E' il momento della emotività. Chi decide di chiudere centrali è il politico più osannato. Chi pone il problema della fonte cui attingere l'energia che viene meno per la chiusura di centrali viene zittito se non svillaneggiato. Sta il fatto che tutte le previsioni danno per scontato un rilevante incremento della domanda visto in particolare lo sviluppo di Cina, India, Brasile che richiede più energia per le fabbriche ma anche per le famiglie che al crescere del tenore di vita aggiungono elettrodomestici, condizionatori e quant'altro. In base ai dati odierni nel 2020 la domanda salirebbe dai 3300 TWh odierni a 4000 e, più o meno, del 30% anche l'energia prodotta da centrali nucleari nuove, dato e ovviamente non concesso che restassero in servizio quelle esistenti.

E allora? La risposta gli 'anti-nucleare' ce l'hanno pronta: rinnovabili. Non ci siamo perché pur mettendo insieme solare, fotovoltaico, idroelettrico, geotermico, cogenerazione, maree (sempre che si riesca ad avere soluzioni potabili) rimane insoddisfatta parte cospicua della richiesta. Allora resta solo il termico, con petrolio, gas, carbone. L'atmosfera non ringrazierebbe. Altra risposta: l'efficienza energetica. In linea teorica hanno ragione. Si tratta di migliorare i rendimenti, di evitare gli sprechi ma a 360 gradi. Per fare un esempio si veda il problema degli imballaggi gran parte dei quali del tutto superflui e rispondenti solo ad esigenze di presentazione dei prodotti. E non solo per il problema dello smaltimento ma anche per il fabbisogno energetico nel produrli. E lo spreco? Si veda un po' se è possibile, ad esempio, dire alla gente di spegnere o quantomeno ridurre il consumo dei condizionatori d'estate e di non fare d'inverno la sauna nelle case…

4) Il problema economico

La domanda di energia cresce. L'offerta non aumenta e anzi corre il rischio di calare. I prezzi lievitano. Chi ha fatto come le formiche e si è dotato di un sistema di produzione di energia non solo non ha problemi interni ma ci sguazza alzando il prezzo di quello che vende. Il mondo diviso in due. Anche nel Terzo in quanto alcuni Paesi avranno la loro occasione, altri aggiungeranno maledizione a maledizione.

5) Il problema politico

Grave, anche in questo settore, è il problema politico. L'economia, meglio la Finanza, imperversa. In un mondo globalizzato quello che conta è il profitto a qualsiasi costo. La mediazione della politica è divenuta evanescente. I maggiori costi energetici che si profilano aumenteranno l'accumulo di capitale dei Paesi produttori di petrolio. L'Europa, l'abbiamo vista nella vicenda nordafricana, non conta niente ma su questo piano non molto di più l'ONU. Purtroppo contano, ahimè, poco anche gli Stati Uniti e men che meno Russia e via via gli altri. Conterà la Cina ma fra qualche anno, non a breve. Fino a che non si capirà che il PIL non può aumentare indefinitamente in un mondo globalizzato la corda sarà sempre più tirata. I rischi conseguenti.

Italia

Abbiamo un immenso debito pubblico cui hanno collaborato tutti negli anni dall'80 e rotti in poi. Nessuno può autoassolversi. Tutti hanno cospirato contro le future generazioni. Abbiamo un gap rilevante nel settore energetico con il paradosso che abbiamo cacciato il nucleare ma le nostre lampadine si accendono con energia che viene, a caro prezzo, dall'estero e prodotta in centrali nucleari. Guai ad averle da noi per ragioni di sicurezza, dicevano, come se le Alpi fossero sufficienti a sbarrare la strada a nuvole radioattive se succedesse qualcosa in qualcuna di quelle centrali. Gli stessi che ce l'hanno col nucleare e vogliono le rinnovabili poi qua e là in giro per l'Italia si oppongono al fotovoltaico se di grandi dimensioni (quelle che occorrono se si vuole avere l'energia che serve non a illuminare quattro lampadine!), si oppongono all'eolico per il paesaggio ee persino per il rumore delle pale che disturba gli uccelli. In Puglia si sono opposti persino all'eolico off-shore in mezzo al mare. E via dicendo.

Pessimismo. No, realismo. Nel caso-Italia temperato dalla considerazione che in tante occasioni ci siamo trovati in difficoltà e in tante occasioni ci ha pensato il nostro DNA. Su una cultura che avviluppa i nostri cromosomi l'innesto della fantasia specificatamente italica è la nostra speranza.

Alberto Frizziero

Alberto Frizziero
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