Vaccinarsi sì, e conoscere anche quello che ci aspetta dopo

(Maria de falco Marotta)
E’ difficilissimo parlare del Covid, senza pensare il bene che fa e i guai che porta dietro . Di questi non si parla mai per non affliggere ulteriormente la povera gente che è diventata l’Italia da Nord al Sud. Pare quasi che ciascuno ha paura di chi incontra e con cui dovrebbe scambiare due parole. Non citiamo i vari saltelli che si fanno attorno ai consigli che vengono elargiti giornalmente dalla Sanità pubblica e che sono tuttora il “pane quotidiano” per la salute dell’umanità, ma vogliamo avvertire anche noi che- sebbene sia difficilissimo- dobbiamo attenerci alle regole. Il mondo pare perso, sembra peggio della mareggiata che sconvolse la terra al tempo di Noè.
In sintesi vi offriamo i fatti rilevati, toccando- qua e là- la nostra meravigliosa terra.
Molte delle persone contagiate dal sars-cov-2, ricoverate o meno in ospedale, continuano a manifestare diversi disturbi per settimane, se non addirittura per mesi. Uno studio pubblicato il 9 gennaio sulla rivista The Lancet illustra la portata di questo fenomeno preoccupante, spesso chiamato “Covid”.
I ricercatori cinesi che hanno condotto lo studio si sono concentrati sul decorso di 1.733 pazienti (52 per cento uomini, età media 57 anni) affetti da covid-19 e ricoverati nell’ospedale Jinyintan di Wuhan tra il 7 gennaio e il 29 maggio 2020. Sei mesi dopo la comparsa dei primi sintomi, il 76 per cento dei pazienti dimessi dall’ospedale ha dichiarato di presentare ancora almeno un sintomo. Le donne sono state le più colpite. I sintomi riferiti più di frequente sono spossatezza o dolori muscolari (63 per cento) e disturbi del sonno (26 per cento). Quasi un quarto dei pazienti (23 per cento) ha dichiarato di provare ansia o depressione.
Inoltre i pazienti colpiti da forme più gravi della malattia presentavano più spesso un’alterazione della funzione polmonare a sei mesi dalla comparsa dei sintomi. Sono stati osservati anche casi di disturbi renali persistenti che non erano stati rilevati durante il ricovero. I pazienti più gravi hanno inoltre ottenuto risultati peggiori in occasione di un test di camminamento della durata di sei minuti. Quasi un quarto non è riuscito a percorrere la distanza minima.
Lo studio si basa anche su 94 pazienti il cui tasso di anticorpi è stato registrato nel momento di massima infezione. Sei mesi dopo, il livello di anticorpi contro il virus si era più che dimezzato.
Precisazioni necessarie
Gli autori sottolineano che si tratta dello studio con la più ampia coorte di pazienti ricoverati, ma fanno alcune precisazioni sulla portata delle cifre: “È necessario disporre di un campione più vasto per studiare meglio questi postumi e per misurare il tasso di anticorpi contro il sars-cov-2”. Soprattutto bisogna tenere presente che in alcune occasioni non è stato possibile ricostruire con precisione quale fosse lo stato di salute dei pazienti prima dell’infezione, e questo complica l’interpretazione di alcuni esami fisiologici o clinici condotti dopo il ricovero.
La percentuale di casi con sintomi prolungati è elevata anche al di fuori delle forme più gravi della malattia
“Lo studio è interessante”, sottolinea la professoressa Dominique Salmon, infettivologa dell’Hôtel-Dieu di Parigi, che ha aperto una consultazione dedicata a queste forme prolungate di covid-19. Tuttavia Salmon precisa che “non è così facile stabilire se si tratti di sintomi legati al Covid, a un ricovero prolungato o ad altri fattori. Questo 76 per cento della coorte che ha continuato a manifestare sintomi è una percentuale molto elevata, ma corrisponde a quello che osserviamo nella pratica per i pazienti ricoverati che hanno ancora postumi. Questo mostra che il Covid non è una malattia da cui si guarisce facilmente o rapidamente”, aggiunge Salmon. L’infettivologa sottolinea inoltre che solo una piccola parte della coorte cinese (4 per cento) è transitata per un reparto di rianimazione.
Questo implica che la percentuale di casi in cui si presentano sintomi prolungati sia elevata anche al di fuori delle forme più gravi della malattia. Alcuni sintomi infatti persistono nelle persone colpite inizialmente da una forma leggera della malattia e per le quali non è stato necessario un ricovero. Difficile stabilire quale sia la prevalenza di questi Covid lunghi, sindrome riconosciuta ad agosto dall’Organizzazione mondale della sanità e definita dall’insieme delle manifestazioni tardive che si presentano dopo un’infezione da sars-cov-2.
Altri fattori da esaminare
Secondo Salmon tra i pazienti contagiati e non ricoverati il 30-40 per cento presenta sintomi persistenti, che a volte ricompaiono dopo un certo intervallo di tempo. L’infettivologa ha personalmente coordinato uno studio pubblicato sul Journal of Infection all’inizio di dicembre, condotto su 70 pazienti: il 78 per cento donne, età media 45 anni e di cui la metà praticava sport regolarmente. I sintomi più frequenti rilevato dallo studio, il cui limite è evidentemente legato alle dimensioni ridotte del campione, sono la spossatezza prolungata, i disturbi cognitivi, i dolori cardio-toracici e in misura minore la perdita dell’olfatto e i dolori all’apparato digerente. Seguono altri sintomi più rari: cambiamento del gusto, eruzioni cutanee, perdita dei capelli…
Uno studio condotto da un’equipe dell’università di Ginevra e pubblicato all’inizio di dicembre sulla rivista Annals of Internal Medicine, basato su 669 persone, evidenzia che sei settimane dopo la diagnosi il 33 per cento dei pazienti presentava ancora uno o molteplici sintomi di covid-19.
Esistono altri fattori di cui tenere conto, come sottolinea un articolo dei Centri per il controllo e la prevenzione delle malattie infettive (Cdc) degli Stati Uniti. “Oltre alla malattia acuta, altri fattori possono complicare ulteriormente il quadro clinico, soprattutto il degrado fisico all’inizio o dopo un lungo periodo di malattia, le comorbidità antecedenti al covid-19 e/o i disturbi psicologici postumi”. Diversi interrogativi restano senza risposta: il virus persiste nell’organismo nelle aree usuali (apparato rino-faringeo, apparato digerente) o in altre parti del corpo? Salmon si domanda se i sintomi persistenti siano il risultato di una risposta immunitaria eccessiva (magari legata a una condizione genetica particolare) già descritta in altre sindromi post-infettive o se siano legati a una sindrome da affaticamento cronico.
In Francia sono in corso diversi studi, a cominciare dal Cocolate (Coordinamento sul Covid tardivo), basato su un migliaio di pazienti ricoverati in una ventina di ospedali. Un altro studio condotto attraverso un questionario su seicento persone ha permesso di identificare una cinquantina di manifestazioni di queste forme prolungate. La ricerca prosegue. Altri lavori sono in corso per analizzare meglio i postumi. Le autorità sanitarie stanno valutando alcune raccomandazioni per aiutare i medici generici a curare meglio i pazienti di lungo corso (Questo articolo è uscito sul quotidiano francese Le Monde).

Maria de falco Marotta
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