Confartigianato Imprese Sondrio. 21ma Festa Provinciale dell'Artigianato. Relazione del Presidente Gionni Gritti (Domenica, 11 novembre

In un momento difficile, la Festa degli artigiani, quelli che non hanno orario, ferie, cassa integrazione, assume un significato particolare. Ci pare - per la cronaca c'é tempo - che la relazione deel Presidente meriti di essere non sintetizzata ma integralmente conosciuta. Eccola:

Un benvenuto e un caloroso saluto a tutti voi, Signore e Signori, autorità che avete accettato di intervenire a questa nostra 21^ Festa Provinciale sottolineando il valore di un appuntamento ormai rituale, ma che ogni anno assume un significato nuovo e diverso perché ha l'ambizione di interpretare il momento presente con tutte le sue difficoltà, contraddizioni e stati d'animo.

La vostra partecipazione ha per me il potere di trasformare un passaggio ormai consueto del nostro calendario in un incontro che mi piace definire tra amici.

La vostra presenza conforta questo mio esordio come presidente e pone le premesse per instaurare un rapporto che sarà sempre schietto, diretto e trasparente.

Non scelgo perciò, per questo intervento, la via della diplomazia, di quel dire e non dire che lascia spazio a interpretazioni molteplici, preferendo di gran lunga essere valutato, criticato e perché no, apprezzato per la chiarezza di alcune posizioni.

Inutile soffermarci sulla scontata considerazione che stiamo vivendo una stagione per molti versi drammatica, carica di preoccupazioni lavorative con le inevitabili implicazioni personali e familiari.

Il nostro territorio e il nostro segmento produttivo non sono estranei alla crisi che come un uragano ci ha investito.

E' una crisi che non ammette eccezioni e non fa sconti e anche laddove, come alla nostra latitudine, nel passato si sono superate tempeste economiche e sociali, per tacere di quelle ambientali, la crisi morde e mette a dura prova anche chi ha i piedi ben saldi in terra o addirittura chi la terra la lavora.

Proprio in nome della franchezza vi spiego la ragione per la quale sono oggi presenti esponenti delle istituzioni e degli enti locali a testimoniare il loro ruolo sul territorio mentre manca la platea dei politici.

E' stata una scelta, frutto della fase di confusione, diciamo pure di schizofrenia e soprattutto di delusione verso un mondo, quello politico, che non ha saputo meritarsi la fiducia dei cittadini; io fra loro, che si sentono giustamente traditi da una democrazia rappresentativa sempre più fallimentare, specie se a incarnarla sono i Fiorito, e il giardino multicolore dei tesorieri sbocciato nella seconda Repubblica.

Noi non ce l'abbiamo, io in particolare, con il singolo uomo politico anche perché dalle nostre parti, salvo qualche eccezione di pessimo esempio e gusto, siamo di fronte a persone per bene che nei loro ambiti e nella loro pubblica attività si sono battute per quel concetto mai obsoleto che è il bene comune.

E' il sistema della rappresentanza politica e dei partiti che è crollato anche per colpa di troppi furbetti e incapaci (e non so se siano più da condannare i primi o secondi) che hanno preteso di esercitare il potere per fini personali convinti che della politica non ci si serve, ma la politica si serve.

E sono proprio questi figuri del nostro tempo che hanno alimentato l'antipolitica e provocheranno quell'astensionismo già preannunciato dalle elezioni siciliane, dove non si è raggiunto nemmeno il cinquanta percento dei votanti.

Credo proprio che l'indifferenza e il disgusto non siano un male minore rispetto all'indignazione, categoria che è entrata purtroppo, a pieno diritto, nel lessico e nel costume del nostro tempo.

Di politica c'è bisogno ed è inutile che io stia qui a descriverne la sua qualità nobile perché la conosciamo ed è quella che ci richiama ai principi e ai valori delle esperienze che hanno permesso la ricostruzione del nostro Paese sanciti nella nostra Costituzione e che la degenerazione dei partiti,per fortuna, non è riuscita a scardinare.

Se il telefono che non squilla può essere eletto a simbolo di uno stato d'animo oltre che di una condizione imprenditoriale allarmante significa che stiamo attraversando un deserto senza oasi, viviamo in una tenebra che viene da lontano.

E non ci vengano a raccontare che si sta vedendo della luce in fondo al tunnel, o come qualcuno invece ha cinicamente intravisto invece i fari di un treno che rischia di travolgerci.

Abbiamo noi il polso della situazione; siamo educati al pessimismo dell'intelligenza, ma anche all'ottimismo della volontà.

Qualcosa è capitato questo anno e anche in questi ultimi giorni.

Il governo Monti ha salvato la Provincia di Sondrio e volentieri rendiamo merito a chi si è battuto tenacemente per conservare la nostra autonomia istituzionale nella sagra dei tagli e delle abolizioni.

Ma riconosciuto questo dobbiamo chiederci quale provincia ci rimane. E con quale ruolo, con quali poteri, con quale peso politico e amministrativo?

A me pare che sia ancora tutto in bilico e in divenire e se Palazzo Muzio si ridurrà soltanto alla manutenzione delle strade, delle scuole superiori, con qualche delega sull'ambiente e poco altro allora guardiamoci in faccia e con coraggio cerchiamo altre strade e soprattutto dobbiamo trovare una forte rappresentanza oltre i confini provinciali.

Non possiamo crogiolarci nell'isola felice della realtà montana accoppiati a Belluno, nel segno di uno scampato pericolo.

La nostra condizione appare privilegiata rispetto alla scure che ha decapitato decine di province a partire da quella di Lecco, che dopo lustri e lustri trascorsi per affrancarsi da Como si ritrova ora di nuovo a consegnarsi nel grembo del capoluogo lariano e di quello di Varese.

Ma il nostro orizzonte di crescita e di sviluppo deve essere costruito oppure anche per noi il rischio è quello di un lento e inesorabile isolamento e declino.

Voglio affermare che questo snodo deve diventare un'opportunità per l'intera comunità sondriese oppure con bandiere e campanili, mescolando il sacro e il profano si fa solo del folclore.

E la questione ce la poniamo anche come associazioni nella convinzione che sia questo il momento più indicato per immaginare nuove strategie e perché no, alleanze.

Una orgogliosa autarchia non paga e soprattutto rischia di consegnare la Valtellina e la Valchiavenna alla marginalità proprio nel tempo nel quale il "locale" va difeso tenendo conto della necessaria contaminazione globale.

Consentitemi però ora una sintesi che tocca i punti salienti e nevralgici della nostra attività e con essa sottolineare il significato di questa festa.

Nel prossimo futuro non potremo più contare sul Welfare conosciuto finora, così come ci troveremo a fare i conti con la progressiva decadenza dei tradizionali ammortizzatori sociali.

In una recente "TRE giorni" ad Arezzo è emersa una linea chiara che disegna il welfare dell'oggi e del domani.

La sfida dei prossimi anni sarà quella di saper costruire un welfare capace di dare una risposta ai bisogni della persona a prescindere dal lavoro che svolgono.

Servirà un approccio comunitario e sussidiario.

Dobbiamo renderci conto che il settore pubblico non è e non sarà più in grado di garantire assistenza ai nuovi soggetti e dare risposte esaustive ai bisogni vecchi e nuovi.

Ci chiedono gli Artigiani quali sono le esigenze e le urgenze sul tappeto nello svolgimento della nostra attività?

Diciamo subito che le richieste sono comuni a ciascuno di noi a conferma che non si tratta di una crisi di settore, di un comparto o di una tipologia produttiva ma trasversale a tutte le categorie.

Parliamo allora delle difficoltà sul piano del credito e cioè dell'ossigeno per permetterci di operare con un minimo di tranquillità e di proiezione futura.

Ho già sottolineato positivamente l'avvio a livello locale del nuovo strumento "Fiducia Valtellina" e più in generale la riaffermazione dei valori dei consorzi fidi.

Ma la posta in gioco qui è ben più alta.

Personalmente ho già posto l'accento sulla necessità di un nuovo approccio al rapporto fra impresa e banca.

Ci troviamo davanti alla necessità di una ridefinizione complessiva del dialogo con il sistema bancario e creditizio.

Una sfida che come piccole imprese vogliamo e dobbiamo affrontare anche perfezionando le nostre competenze, migliorarci e porci come interlocutori, sempre più affidabili e credibili.

Ma il credito non è l'unica e la sola priorità.

Parliamo anche di rispetto delle regole e di un necessario e non più rinviabile ritorno ad un etica non come atteggiamento morale o peggio ancora moralistico ma l'indice di una correttezza che giova al sistema all'interno del quale i furbetti andranno smascherati ed emarginati.

Lo sappiamo bene tutti noi che ci troviamo spesso a fare i conti con diverse forme di concorrenza sleale, a partire dagli appalti al ribasso senza alcuna attenzione alla qualità delle prestazioni, ai pagamenti dilazionati "sine die", al lavoro nero e all'abusivismo diffuso.

Spesso la parola "data" e talvolta anche quella "scritta" non viene più onorata e senza nostalgie per la storica "stretta di mano" - dobbiamo tornare a quella reciproca fiducia che farebbe giustizia di inutili e farraginosi passaggi burocratici.

Con i colleghi tempo fa avevamo individuato un "codice etico" da adottare al nostro interno quale strumento per richiamare gli associati a condividere alcuni principi che ben conosciamo.

Si tratta però di buone regole e valori che appartengono già al nostro codice genetico.

E' un progetto in cantiere che porteremo a compimento a breve e che dovrà integrarsi con il dettato normativo che prevede proprio l'adozione di un "codice etico" così come previsto dalla nota legge che ha sancito lo "Statuto delle Imprese"; una norma chiara, semplice e confezionata per il nostro Mondo.

Numerosi sono i temi e gli argomenti che meriterebbero di essere sviscerati: ne avremo l'occasione perché desidero che l'incontro di oggi non sia un fatto isolato ma trovi continuità durante l'anno nelle forme di confronto che conosciamo e che intendiamo accrescere.

Ma restano alcune considerazioni che consegno alla vostra attenzione in questa chiusura del mio intervento.

In tempi di rottamazioni presunte o reali noi vogliamo sottolineare il valore e il peso specifico che l'anziano va assumendo in una società che pone sempre più lontano la fine della nostra vita terrena.

Una volta si diceva che lo Stato provvedeva al cittadino dalla culla alla bara, dall'alfa all'omega e ora ci rendiamo conto che tutto ciò è una mistificazione letteraria ben distante dalla realtà.

Non è un caso che il welfare sia un tema che intendiamo porre al centro delle nostre riflessioni e lo facciamo perché nell'idea di società che immaginiamo vorremmo che determinate priorità siano condivise quale che sia il punto di vista ideologico.

Quando sosteniamo che l'anziano è una risorsa ci riferiamo sia al suo contributo nella vita familiare, sia a quella inesauribile miniera di conoscenza e di saperi della quale si nutre la comunità civile, facendo emergere il loro ruolo di maestri di vita.

E proprio sul filone, chiamiamolo sociale, non può mancare un riferimento al mondo della scuola che stiamo seguendo sul territorio con le attività negli Istituti di diverso grado ed indirizzo.

Autorevoli studi recenti hanno posto l'accento sulla necessità di tornare ai mestieri, al lavoro manuale, alle abilità e senza voler chiamare in causa aggettivi non sempre felici come quelli di "sfigati e schizzinosi" è chiaro che fin che il nostro paese produrrà un numero di laureati in legge sette volte superiore a quelli della Francia, lo sviluppo economico e la crescita civile saranno purtroppo utopie.

Vi ringrazio per la vostra attenzione; ciò mi fa capire, se mai ve ne fosse bisogno, come valga davvero la pena di mantenere questa festa provinciale come momento irrinunciabile della nostra agenda.

Se guardassimo al quadro generale dell'economia e ai suoi riverberi sul nostro territorio potrebbe insinuarsi l'ipotesi di evitare il momento.

E invece NO! Non abbiamo avuto il minimo dubbio: a maggior ragione dovevamo viverla e non celebrarla.

Dovevamo incontrarci e stabilire tra di noi un filo diretto, una comunicazione di pensieri e sentimenti che costituiscono la premessa per fare associazione, aggregazione e per condividere progetti e futuro.

L'invito alla sobrietà non ci tocca perché noi a questo termine, diventato parola d'ordine per frenare eccessi ed abusi, siamo educati da sempre.

Noi lo abbiamo appreso e frequentato nelle nostre Aziende e botteghe e prima ancora nelle nostre famiglie.

Siamo gente che conosce il sacrificio e non conosce orario e perciò questo giorno ce lo siamo guadagnati sul campo.

Lo spirito di abnegazione, la tensione morale e l'impegno quotidiano sono l'eredità ricevuta dai nostri padri ed è il patrimonio che noi vogliamo lasciare ai nostri figli e alle generazioni che verranno.

Almeno questo nessuno ce lo può dilapidare.

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