Quando per un casaro c'è un'ovazione

Ha cominciato a nove anni, lassù nella valle del Bitto di Albaredo, all’alpe Piazza, dove papà, zio e nonno da qualche tempo caricavano l’alpeggio.

A dodici anni "cascin" per due anni, poi pastore e finalmente a sedici anni davanti alla grande caldaia di rame piena di latte a mettere in pratica le conoscenze ed abilità di un corso organizzato dalla comunità montana di Morbegno per giovani casari. Ma anche le abilità rubate al casaro che per anni ha visto lavorare in quella baita, con il fumo che usciva dalla porta e dalla piccola finestra.
Oggi Flavio ha 37 anni e continua la storia della famiglia tra le vacche, le capre, le erbe di uno dei più belli alpeggi delle alpi Orobie, ma soprattutto muovendo con arte e passione gli antichi strumenti della lavorazione del latte.
Venti stagioni estive producendo Bitto e ricotta sempre più apprezzati dai clienti che si fermano nel rifugio gestito da Nadia e Isidoro.
Venti stagioni dove ogni tanto l’armonia del suono dei campanacci è arricchita dalla chiassosità dei ragazzi che frequentano i campi estivi organizzati da Nadia per promuovere la conoscenza delle tradizioni e dell’economia di montagna.
E così, spesso, Flavio è lì davanti a dei ragazzini con gli occhi spalancati che assistono alla lenta trasformazione del latte in un prodotto diverso fino a quando il lungo corpo di Flavio si piega all’interno della grande caldaia, la testa scompare e riappare come in un magico gioco vicino a un grosso fagotto estratto dal latte.
Allora Flavio rimette il suo inseparabile cappellino e inizia a plasmare  la cagliata nella fascera, sempre attorniato dai ragazzini con gli occhi rossi per il fumo, contento di far conoscere un’arte antica, fatta di gesti lenti, di amore per un territorio.
Venti stagioni che hanno rafforzato l’amore di Flavio per quest’alpeggio tanto da poter affermare di non avere nessuna intenzione di abbandonarlo, anche se, proprio per le sue particolari abilità nella caseificazione, è richiesto nella vicina Svizzera con possibilità di guadagni sicuramente molto più alti. “ ma io preferisco star qui, continuare una tradizione di famiglia in un territorio che mi appartiene, che non voglio abbandonare!”

E negli ultimi anni i primi riconoscimenti per il suo  lavoro arrivano durante le edizioni dell’annuale mostra del Bitto, per il formaggio di alpeggio ma anche per il latteria prodotto nella piccola latteria di Traona dove ha lavorato nei mesi non trascorsi in alpeggio.

Sono andato a trovarlo nella sua stalla in mezzo alle sue capre mentre distribuiva la razione alimentare serale ai suoi animali preferiti. Una ventina di capre orobiche, perfettamente tenute, curate e coccolate nel tempo non dedicato alla lavorazione del formaggio.

Gli chiedo qual è il segreto per produrre una forma di Bitto così eccezionale da mettere perfettamente d’accordo una giuria di nove esperti e riuscire ad avere una valutazione con un punteggio altissimo, con l’aggiunta del riconoscimento “super” non più attribuito da dieci anni.

Mi guarda, sorride “ il mio segreto è anche questo” mi dice indicando le sue amate capre. Già le capre che porta in alpeggio, a 1800 metri, nelle valli del Bitto e che tutti i giorni munge ( solo lui le può mungere) per arricchire il latte vaccino nel rispetto di una tradizione che vede il latte di capra ingrediente fondamentale nel migliorare le caratteristiche organolettiche del Bitto. E, infatti, il giudizio della commissione giudicatrice non può fare a meno di evidenziare questa tipicità con il seguente giudizio: formaggio dotato di ottima struttura, odore intenso, complesso, con gradevoli note vegetali e un delicato sentore di fumo. Il sapore dolce, delicato ed equilibrato regala in bocca sensazioni di piacevolezza particolare che ci ricordano la tradizione casearia di montagna più autentica.

“Ma dietro quella forma di Bitto “ continua a raccontare   "c’è una storia di passioni, di emozioni, di fatica, di lavoro. Ci sono le vacche e le capre da mungere, le due lavorazioni quotidiane del latte subito dopo ogni mungitura,i lavori nella casera. Ci sono momenti difficili, duri, di solitudine, di sole cocente e grandine che fa male, di condivisione con gli animali, dell’essere circondati dalle montagne quasi a formare un tutt’uno. Sono scelte di vita dettate dalla passione e da un amore innato verso la natura in tutta la sua complessità e semplicità. Non a sproposito li definisco “momenti” e non "lavoro", perché chi ama ciò che fa, rende visibile l’amore…”

Guarda le sue capre che mangiano l’erba appena tagliata, e continua “ e poi la scelta della forma da portare alla mostra. Una scelta difficile perché non vorresti mai sbagliare e allora guardi tutte le forme che hai prodotto durante la stagione, le giri, le tocchi, guardi la data di produzione, cerchi di ricordare le condizioni meteorologiche di quel giorno, dove le vacche erano a pascolare. E poi scegli…e magari sbagli come mi è successo l’anno scorso.
Per noi produttori vincere il primo premio alla mostra di Morbegno è una soddisfazione grandissima e se poi ricevi anche un giudizio come quello espresso dalla giuria di quest’anno non puoi che essere felice, soddisfatto di un lavoro che è capito ed apprezzato anche da altri."

Sorride, probabilmente pensa al successo del suo prodotto alla 109° mostra del Bitto, pensa al momento della premiazione quando è stato chiamato sul palco per  ricevere il premio per il Bitto Super accompagnato da grandi applausi, e da una claque degna di  un divo della musica leggera.

 

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