IL LIBRO: L'UOMO DEI SALDI: (3) LA CASA COMODA

Meglio essere ottimisti e avere torto che essere pessimisti e avere ragione. (Albert Einstein)

Da qualche parte, senz’altro sopra di noi, ci sono gruppi di persone che si occupano e si preoccupano del bene della collettività. Molto probabilmente stanno lottando con coraggio per andare avanti come se non stesse succedendo niente, per assicurare a tutti noi una sopravvivenza senza scossoni eccessivi. Una fatica improba perché malgrado tutti i loro sforzi siano concentrati sulla scelta di rimedi aderenti alla realtà è la realtà stessa che sfugge loro. E se mancano rimedi globali l’individuo deve lottare e assicurarsi una vita più vicina ai suoi desideri, senza curarsi se il suo agire sia in linea con il bene e con le necessità della società cui egli appartiene. Questa sua battaglia per la sopravvivenza sopisce quotidianamente il suo istinto per la vita e la ricerca della felicità viene sostituita dalla ricerca di un tivucolor con 1400 canali. Un tivucolor privato, da non ostentare, non più simbolo di condizione sociale ma compensazione di fatiche, gratificazione personale per centinaia di giornate di sacrificio, nuova tessera di quel grosso mosaico che è la casa d’oggi, una cuccia comoda e protettiva. Un tivucolor risparmiato sottraendo momenti di vita di gruppo che di giorno in giorno diventano troppo costosi per essere assorbiti con facilità da un bilancio familiare.

Si andava al cinema senza badare troppo al titolo del film, ci si immergeva in sale fumose senza protestare troppo, ci si sedeva in mezzo a sconosciuti senza che ciò ci desse fastidio. Si era in mezzo alla gente, lo si sentiva dal brusio sommesso, dagli odori stantii, dai colpi di tosse isolati. La gente addirittura applaudiva l’arrivo dei nostri o la punizione del cattivo, si commuoveva o si arrabbiava. L’intervallo tra il primo e il secondo tempo sembrava fatto apposta per guardarsi in giro, per cercare un volto noto tra i presenti, per bere una bibita o per sgranocchiare i semi di zucca.

Ricordi non lontani, ma ormai sembrano secoli. Alla cassa stava solitamente il proprietario che, nelle sere magre, aspettava a dare il via all’operatore sperando in qualche ritardatario. Poi, piano piano, si scoprì che anche il cinema era cultura e venne di moda il cine-forum dove, al termine della proiezione, ciascuno poteva dire la sua o, se lo preferiva, fare delle domande. Un nuovo modo per stare in mezzo alla gente, per capire, per confrontarsi, per imparare. Poi giunsero i tempi dell’impegno e, ormai critici esperti, si tornava a discutere dell’ultimo film di Antonioni o dei primi di Godard. Si andava al cinema seguendo titoli, attori, registi, recensioni e se ne usciva continuando il discorso al bar, su una panchina, camminando. Sempre in mezzo alla gente. Costava anche del denaro, ma poco. Dopo il cinema, prima del cinema, invece del cinema c’era un altro posto tranquillo, dove andare in mezzo alla gente, il bar. La gente, parlando del bar abituale, lo indicava in maniera possessiva, lo chiamava il mio bar. Un bar costruito in maniera diversa da quelli attuali: niente registratore di cassa, niente cassiera dal trucco perfetto, niente vetrinette tavolafredda, niente tante altre cose. Un’atmosfera tranquilla, quasi casalinga, dove padrone e clienti sedevano spesso allo stesso tavolo a chiacchierare come vecchi amici. Un posto dove si passava del tempo, spendendo anche del denaro, ma poco.

Lo stesso discorso per la trattoria, dove il padrone ci veniva a salutare come se fossimo ospiti, dove il cibo non si fregiava di nomi altisonanti ma aveva buoni sapori di casa. E anche qui c’era gente che pagava, volentieri, perché il conto era giusto.

Poi è arrivata l’Era delle Gabelle. La gente ha dovuto sottostare ad una lunga serie di vessazioni. lo stare insieme costa molto di più di quanto non sia ragionevole perché il Padrone Astuto ha capito che il pubblico non cerca cibo o bevande ma un posto dove comunicare con gli altri e ne ha intuito la potenzialità economica. Ha abbellito il suo bar, imbruttendolo, ha cercato di renderlo più comodo ed accogliente perché la gente, diminuita in quantità, si fermi più a lungo spendendo di più. Insoddisfatto di un listino obbligatorio e della sua oggettività, ha introdotto varianti non prevedibili per imporre costi non discutibili. Al ristorante la stessa cosa anche se con meno specchi e più oggetti di origine contadina. La bomba del rustico ha fatto centro e anche qui il Padrone Psicologo ha forzato la mano con tutte le libere associazioni verbali: rustico/buono, rustico/tradizione, rustico/genuino con la stessa fatica dell’affondare il coltello nel burro. E così, pagando la solita gabella, la gente si è ritrovata assieme senza protestare troppo, perché la scenografia tutto sommato era corretta e assomigliava molto ad una realtà già conosciuta.

L’Albero delle Gabelle ha dato i suoi frutti ma ora sta diventando secco: la gente che sa fare i conti ha scoperto che, se non si possono fare i conti senza l’oste, la cosa più semplice è eliminare l’oste. Per sostituirlo magari con un tivucolor da 1400 canali.

Si conclude così un ciclo artificioso e se ne inizia un altro, molto più privato; finisce l’Era delle Gabelle e inizia quella della Casa Comoda, una casa che difficilmente era esistita in passato. C’erano infatti case ricche e case povere ma tutte improntate alla funzionalità: la sala, per esempio, era per gli ospiti, la camera da letto dei ragazzi serviva esclusivamente ai ragazzi per andarci a dormire, la cantina serviva per il vino e come deposito di tutto il ciarpame che andava tenuto con cura per qualsiasi evenienza. La sala della Casa Comoda è ora il centro della vita familiare, ci si può finalmente stendere sul divano, consumarlo, schiacciarlo. Le bottiglie, una volta gelosamente chiuse a chiave, compaiono in bella vista su un mobile, la luce elettrica, ben dosata ed abbondante, non è più diretta contro il soffitto con effetti da sala d’aspetto di dentista, ma ben distribuita con zone d’ombra e di luce intensa. I quadri hanno riempito le pareti, libri e accessori rendono vissuta la stanza, amplificatore, giradischi, casse acustiche e tivucolor aumentano la vivibilità di questo locale chiave. Qui di inverno c’è un bel tepore, le finestre ormai hanno i doppi vetri perché si risparmia energia e quei fastidiosi rumori rimangono all’esterno. Dentro rumori non ce ne sono più perché la moquette ha ricoperto il vecchio pavimento di graniglia e il panno ci ha tolto anche la seccatura di chiamare ogni tanto l’imbianchino a rinfrescare le pareti. Il centro della Casa Comoda è a prova di notizia: qualsiasi cosa succeda all’esterno, per quanto grave sia, rafforza la convinzione di avere fatto un’ottima scelta nel dedicare tempo e denaro a questa vera e propria roccaforte dove non possono giungere i problemi del mondo esterno. Non entrano neppure i profumi della primavera o le notti stellate d’estate, ma qualche piccolo sacrificio bisogna pur farlo! D’altra parte se una volta era possibile incontrare gente dappertutto ora le cose non stanno più così e allora una casa comoda ti permette di stare di nuovo in mezzo ai tuoi amici.

In effetti una casa comoda è molto più socializzante della Casa Funzionale che non prevedeva una vita sociale intensa. Nella casa funzionale tutto era al suo posto, in sala le cose per gli ospiti, in tinello le cose per la famiglia, in cucina le cose per il cibo. Solo i ragazzi, con la loro tendenza al disordine, creavano un po’ di scompiglio, portandosi addirittura la radio in camera da letto. L’uso dei liquori era subordinato a improvvise situazioni di necessità/emergenza o a particolari occasioni. In entrambi i casi si utilizzava un bicchierino minuscolo, poco più di un ditale da cucito, perché, sia nell’un caso che nell’altro, non era certo la quantità a risolvere la situazione: una medicina va data con cautela e il superfluo va concesso con moderazione. Ora, nella casa comoda, si può bere tranquillamente, non c’è censura sui piccoli vizi, l’esperienza che ne deriva trasforma l’ospite in un intenditore e c’è un argomento in più per le serate conviviali. Per quando si sta zitti c’è sempre il tivucolor con 1400 canali al centro dell’attenzione pronto a sfornare migliaia di film pronti a suggerire modelli di vita e di comportamento. Battendo e ribattendo usi e consumi approdano sulle nostre rive e piano piano ci troviamo a servire un Martini al nostro vicino di casa o ad indossare la vestaglia da camera durante un’occasione galante, per non parlare d’arredamento e di accessori per la casa e tanto meno di discorsi impegnati su temi universali.

È un bene o un male che questo benedetto o maledetto tivucolor ci propini film, situazioni e modelli di età variante tra i dieci e i trent’anni? Se da una parte c’è una costante riproposta di oggetti e di beni come simboli di condizione sociale, dall’altra, in film fatti vent’anni fa, da gente che allora ne aveva mediamente cinquanta, c’è un grosso aggancio con la tradizione, c’è il recupero di comportamenti corretti di cui si sono, negli anni successivi, persi i modelli. Linguaggio e maniere, a parità di contenuti, si sono deteriorati, l’educazione è rimasta privilegio di pochi, il sacrificio è ormai una terra inesplorata. L’involontaria riproposta televisiva di un mondo ormai andato ci appare ingenua, fuori moda, inutile. Scavando a fondo ci accorgiamo che invece svolge un lavoro lento, sotterraneo, su individui che, avendo fatto la scelta di casa comoda, proprio per questo si trovano ben disposti all’assimilazione dei dati che vengono loro forniti. Se le cose vanno davvero così è come se la gente leggesse tutti i giorni un giornale vecchio di dieci anni, trovandoci scritto sopra tutti i giorni qualcosa di buono ma non riuscendo mai a raggiungere la realtà, ad avvicinarsi al presente. È, di conseguenza, automatico che avvenga una costante delega di responsabilità e che la fatica di preoccuparsi per il bene della collettività sia di quei pochi che hanno il coraggio di cercare di essere al passo coi tempi e di cercare rimedi aderenti alla realtà per andare avanti, senza scossoni eccessivi, come se non stesse succedendo niente. E il gatto si morde la coda perché la realtà sfugge loro e il singolo, giudicando inutile l’opera del delegato, si mette a lottare con tutte le sue forze per permettersi una casa comoda e un tivucolor a 1400 canali.

Maurizio Frizziero

Maurizio Frizziero
Società