TRACEY EMIN, LA SUA ARTE È TUTTA NEL SUO LETTO(1)(52.ma BIENNALE D’ARTE, VENEZIA 10 GIUGNO- 11 NOVEMBRE 2007)

Tracey Emin è la seconda donna a rappresentare il Regno Unito alla Biennale, dopo Rachel Whiteread nel 1997. A Venezia – pilotata dal commissario Andrea Rose, Director of Visual Arts del British Council – diverrà un’artista di fama planetaria, il cui nome sarà di dominio pubblico per i suoi “scandalosi” lavori che ruotano tutti intorno al suo vissuto traumatico, con riferimento esplicito allo stupro subito all’età di tredici anni, con la sua rappresentazione a volte violenta dell’emotività lacerata, delle sue ossessioni sessuali. Però le opere più recenti, lasciano intuire un desiderio di purificazione, un tentativo di elevazione, quasi una inconsolabile invocazione di salvezza. Cuce, disegna, fa borse e magliette, applicazioni , installazioni, apre negozi, mostre fotografiche ma quello che più colpisce è la sua profonda autoanalisi che si palesa in ogni sua esperienza artistica. Rivela una contraddizione costante, che caratterizza la sua vita ma anche il suo lavoro, probabilmente dovuta al fatto che in lei convivono, ambiguamente, un lato sicuro di sé, inflessibile, e un lato più debole, indifeso. L’espressione della sua arte che siano gli aspri messaggi, le frasi spiritose intransigenti o la poesia degli arazzi e delle trapunte ornate da delicate applicazioni e da ricami, o i patchworks, è lo specchio di una vita che è essa stessa un patchwork. Controversa, complessa, di sinistra, reazionaria, sicura, incerta, amorale, moralista; ovunque è presente un elemento apparentemente contraddittorio nei suoi lavori.. Al variare del mezzo impiegato, sia esso performance, matita, neon, vernice, fotografia o film, il messaggio rimane il medesimo. La capacità di Tracey Emin di denudarsi nel cuore e nell’anima è l’essenza della sua arte. Si potrebbe dire che, nel panorama crudelmente competitivo dell’arte contemporanea, la sua opera è unica nel suo genere, non prodotta in serie( ci vorrebbe anche un “fegato” simile al suo). Anche lo stile è unico e forte, tutt’altro che prevedibile, falso o esagerato: una combinazione spontanea di ciò che le piace, la creazione di una moda tutta sua. Tracey fa stile, tendenza, ricerca con ogni aspetto della sua individualità, come la sua esteriorità. Portava i jeans infilati nei pantaloni da cowboy molto prima che questo diventasse un trend, e che Kate Moss si appropriasse della creazione. Valentino le ha chiesto di fotografarla per “ V Magazine” e l’ha eletta la donna più “elegante” di Londra. Vivienne Westwood, di cui l’artista è affezionata ammiratrice, la considera una musa. Non ha paura di morire, forse perché già morta una volta, a tredici anni…” la vita è fatta di avvenimenti molto semplici e veloci, che possono trasformarsi in catastrofi che durano per sempre. Tutti si innamorano, tutti si sentono soli, hanno paura, scopano e muoiono. Facciamo tutti le stesse cose e le conosciamo bene ormai, eppure nessuno ne parla. E’ come se ci fosse una patina di educazione che ricopre ogni cosa, anche l’arte.” Non ha paura di essere quello che è, così rozzamente contorta, e se le domandi perché insegue l’arte, ti risponde “ ho una specie di sogno ricorrente, molto realistico, in cui una persona mi si avvicina, mi tocca o mi accoltella a morte. Tutte le volte che faccio quel sogno un brivido di paura e di piacere genera la mia arte.” Insopportabile e arrogante. In ugual misura. Questa è, la prima e più forte impressione che genera l'arte di Tracey Emin, una dei principali rappresentanti di quella Young British Art che è un po' il marchio di fabbrica di Mr. Charles Saatchi, magnate dell'arte moderna noto per aver contribuito al boom della BritArt degli anni 90.

E’ irritante, perché volutamente cruda ed insistente nel mostrare le proprie ossessioni, i propri pensieri più intimi, perché costringe chi guarda a misurarsi col proprio voyeurismo; ma anche penosa, per il coraggio che ha di fare della propria vita un'opera d'arte in fieri, anche se, come lei stessa ammette, persino nelle sue opere apparentemente più autobiografiche, c'é una forte componente di calcolo, di costruzione, di citazioni colte e riferimenti ad opere ed artisti del passato. Dice di se "io sono un'espressionista", ma in ogni sua opera, che siano disegni, dipinti, ricami, scritte al neon, sculture o installazioni, Tracey Emin attinge ai linguaggi di tutta l'arte del Novecento, da Monet a Schiele, da Munch a Kosuth.

Ella, ad ogni modo, rimane la più discussa ma anche la più celebrata rappresentante della Young British Art. La sua arte confessionale trae ispirazione dalle esperienze più intime ed estreme della sua vita, ma anche dal tema della morte e dalla sessualità.

Chi è Tracey Emin

Tracey Emin, artista «scandalo» della scuderia Saatchi racconta la sua esistenza crudele a Londra.

Ex cattiva ragazza è nel padiglione della Gran Bretagna, collocato proprio accanto alla Francia. Sono finiti i tempi dei letti sfatti “sbattuti” in faccia al pubblico e delle provocazioni graffianti: raffinate tele dalle tinte pastello, enormi ricami e disegnini schizzati su piccoli fogli spuntano tra le sale. Come sottolinea la stessa artista “è il corpus più femminile che abbia realizzato finora, molto sensuale e insieme graficamente marcato, grazioso e al tempo stesso esplicito”. Incentrate su diversi momenti della propria vita interiore le opere raccontano un universo intimo in cui compaiono figure femminili appena abbozzate, brevi frasi scelte dall’artista, appunti interiori ricamati o schizzati velocemente sulle tele. L’eleganza formale supera la provocazione, e le donne nude con le gambe aperte, diventano raffinate silhouette, delicate composizioni che parlano di storie private. Nata a Londra nel 1963 da madre londinese e padre turco, cresciuta a Margate, una piccola cittadina del Kentha, ha studiato arte al Maidstone College e successivamente al Royal College of Art di Londra. La celebrità arriva nel 1999, con la nomination per il prestigioso Turner Prize, in cui l'artista presenta la controversa opera My Bed (installazione del suo letto disfatto, pieno di imbarazzanti oggetti quotidiani usati) emblema dell'isolamento e dell'individualismo contemporaneo. Considerata attualmente una delle principali esponenti del panorama artistico internazionale, icona femminile del gruppo degli YBA's (Young British Artists) emerso negli anni Novanta in Inghilterra, la sua produzione artistica può essere definita confessionale, in relazione alla componente dichiaratamente autobiografica con cui riflette su grandi temi quali la solitudine, la morte, la fugacità dell'amore, il sesso. Sublimato nell'esperienza estetica, il suo vissuto diventa, senza alcuna mediazione, paradigma dei più forti disagi e desideri dell'esperienza femminile contemporanea. Lo spettatore, a sua volta, si trasforma in un inconsapevole “guardone” proiettato in un mondo che rispecchia fedelmente quello interiore dell'artista, ricostruito attraverso video, installazioni e performance in cui si fonde il pubblico ed il privato, arte e vita.

L’artista rappresenta il proprio Paese, la Gran Bretagna, alla 52. ma edizione della Biennale d’Arte di Venezia. Per Julian Stallabrass, Tracey Emin è l'incarnazione del postmoderno primitivo nel mondo dell'arte. Le sue parole, le sue fotografie, i suoi dipinti pongono il consumatore d'arte in uno stato di incredulità. La sua eccentrica e originale identità appare più importante della classificazione dell'opera che può emergere dall'essere semi cipriota, o dall'appartenere alla classe operaia, o dall'essere donna.

La sua arte viene definita confessional e autoesplorativa. Malgrado il suo lavoro sia sostenuto da un'educazione scolastica e da una formazione filosofica (l'artista ha seguito un corso biennale di filosofia al London College), ella si sforza di non lasciare traccia della propria istruzione nell'opera.

Matthew Collings sostiene che l'opera di Tracey Emin è diversa da quella degli altri artisti della sua generazione e della sua classe sociale, perché ha un impatto emotivo immediato.

La domanda che lo spettatore si pone davanti alle sue opere: But is all what it seems?

Stallabrass riconosce che di fronte alle sue opere rivelatrici di sesso adolescenziale, di rabbia, i critici dimenticano la 'teoria', in particolare la critica dell'espressionismo e dell'autenticità, la morte dell'autore, la frattura del sé e le politiche di rappresentazione del genere. Stallabrass sostiene che Tracey Emin occupa un posto necessario e distinto nell'arte contemporanea mondiale, un sistema che si alimenta delle distinzioni sociali. Il lavoro dell'artista rappresenta una protesta contro il buonismo e la falsa raffinatezza che pervadono il sistema dell'arte contemporanea.

Che cos’è yBa (young British artists).

Negli anni Novanta in Gran Bretagna è nato uno dei movimenti artistici più interessanti degli ultimi decenni, definito yBa (young British artists).

Il terreno estremamente fertile prodotto dalle scuole d'arte britanniche, un forte senso di solidarietà tra gli artisti combinato al laissez faire liberista della Thatcher, e la capacità di sfruttare al meglio la relazione sempre più stretta tra pubblicità, televisione e mondo dell'arte sono stati gli elementi principali che hanno aiutato alla nascita del fenomeno degli yBa.

All'interno di questo movimento le donne hanno assunto una posizione decisamente dominante, infrangendo i ruoli di musa, modella e amante storicamente assegnati loro nel mondo dell'arte. Sin dagli anni Ottanta ci sono state molte donne artiste che hanno goduto di grande stima e autorità; ma il mondo dell'arte concorda sul fatto che esse siano un fenomeno nuovo. Molte delle artiste britanniche non si riconoscono nelle problematiche e nella tradizione femminista delle generazioni precedenti. Non vogliono che la loro arte sia analizzata in base al genere, perché il genere destabilizza la vera distinzione tra naturale e artificiale, forma e contenuto, interno ed esterno. Se i sessi sembrano essere binari nella loro morfologia e costruzione, non c'è nessuna ragione di affermare che i generi debbano essere due. Quando lo status costruito del genere è teorizzato come radicalmente indipendente dal sesso, il genere stesso diviene un artificio variabile, con la conseguenza che l'uomo e il maschile possono significare sia un corpo femminile che un corpo maschile, e donna e femminile possono analogamente indicare un corpo maschile come pure un corpo femminile.

Dal momento in cui la scienza è riuscita a portare il corpo in un'altra dimensione, da quando il body piercing e il tatuaggio sono diventati accessori rigorosamente di moda, da quando l'ortodossia delle religioni occidentali ha perso il suo ruolo e la sua rilevanza, da quando le nuove tecnologie hanno rivoluzionato le nostre relazioni interpersonali, da quando i media dell'informazione hanno sostituito i luoghi della spiritualità, e da quando gli individui hanno intrapreso una ricerca personale dei rituali contemporanei, le domande sul corpo nella società hanno acquistato urgenza e potenza (Franko: 2000). Gli anni Novanta hanno segnato un cambiamento rispetto alla figurazione del corpo femminile percepito come un tutto unico e integro dall'arte femminista, verso una direzione di rottura delle barriere del corpo al fine di invocare la disturbante fantasia del 'corpo in pezzi'. Molte artiste hanno adottato una pratica artistica che si relaziona con il cibo e il sesso, implicitamente anche con il cambiamento e il decadimento, e agli aspetti dell'orrore che sono stati specificatamente identificati con il corpo femminile e i suoi appetiti. Visitando il Padiglione della Gran Bretagna ai Giardini di Venezia, si prova tutto questo e davanti alle “opere” della ex cattiva ragazza inglese, si può riflette ed anche sorridere. Nonostante tutto.

Maria de Falco Marotta & Team

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