I RACCONTI DI CRISTINA: BADANTI

Aeroporto di Malpensa, giugno 2000.

Pronto, ciao Carlo, sono appena arrivata, l’aereo era in ritardo, tutto bene lì? Che cosa? All’ospedale? Un ictus? Ma quando, quando è successo? Le avevo parlato ieri pomeriggio.. e adesso come sta? La parte sinistra? Anche la parola? E’ grave? Non si sa. E il nonno?

I miei genitori sono vecchi, abitano nella vecchia casa di famiglia di Sondrio, grande e scomoda, da soli. La nonna vede pochissimo e si muove a fatica. Il nonno sta perdendo parecchi colpi. Credono di non aver bisogno di aiuto, di farcela da soli. Ma non è così. Dopo grandi lotte siamo riusciti a fargli accettare che vada una ragazza, Primavera, ad aiutarli ed assisterli durante i pasti, controllare che prendano le medicine e sparecchiare. Poi loro due passano il pomeriggio in poltrona, in silenzio, davanti alla televisione spenta, il telecomando in mano al nonno. La accende verso sera per guardare il primo telegiornale svizzero e le previsioni del tempo in attesa che torni Primavera. La ragazza è albanese. Parla bene l’italiano, è una scout, abita con la sorella, laureata, il marito di lei e il loro bambino in un minuscolo appartamento della Sondrio vecchia. L’appartamento gli è stato messo a disposizione dal comune, in cambio loro si occupano del centro di prima accoglienza, sullo stesso piano. Lui è ingegnere ma fa il muratore.

Primavera di nome e di fatto. Ha davvero portato una ventata di gioventù in casa di questi due vecchi. Ogni tanto va a spasso col nonno, a lui piace farsi vedere con una ragazza così carina e andare a bere un caffè insieme. Lui, sempre così burbero, accetta le coccole, commosso.

Carlo è l’unico di noi fratelli rimasto a Sondrio. Io è una vita che abito in Svizzera. Carlo ha appena finito un ciclo di chemioterapia, dopo due interventi chirurgici. Sua moglie, che ha un carattere fortissimo, lotta anche lei da anni contro una grave malattia..

I nonni non si rendono conto della gravità della situazione.

Sondrio, alcuni giorni dopo.

In questo reparto orribile dell’ospedale, con tutti questi vecchi sofferenti, la nonna mi ha riconosciuto, non si lamenta. Il nonno è venuto con me a trovarla, è spaventato.

Nei giorni successivi si nota un certo miglioramento, i medici non sono più così pessimisti. Io devo tornare al lavoro. Ci accordiamo con Primavera. Andrà lei a darle da mangiare, mezzogiorno e sera. Ha un cellulare, così potremo chiamarla e salutare la nonna, che sta pian piano riprendendo a parlare.

Ha vent’anni, Primavera, un passato difficile alle spalle, violenze, miseria, fughe, tanto entusiasmo e tanti sogni. Nel frattempo va a imboccare una vecchia semiparalizzata in ospedale in un reparto maleodorante pieno di vecchi malati o dementi. E lo fa sorridendo.

E’ passato un mese.

La nonna va un po’ meglio, ma è sempre in ospedale. Non sappiamo ancora quanto tempo dovrà rimanerci. Intanto ho portato il nonno a casa mia, in Svizzera, per sollevare un po’ Carlo e sua moglie. Tutti i giorni quando telefoniamo a Primavera il nonno scambia qualche parola con la nonna. Ma quando me la rimandano a casa, mi chiede poi, triste.

Stiamo studiando una soluzione per quando la nonna sarà dimessa. E’ chiaro che i nonni non si possono separare o portar via dalla loro grande, vecchia, adorata casa. Sembra però che ci siano signore straniere che assistono gli anziani. Mia cognata riesce a trovare una giovane polacca che arriverà in agosto.

Inizio agosto.

Carlo sta male, ha avuto un crollo improvviso, è a letto, grave. Io vado a Sondrio a preparare la casa per accogliere la nonna quando sarà dimessa dall’ospedale. Intanto è arrivata la ragazza polacca, Agata. Alta, bionda, bella. Dice alcune parole in italiano, ha voglia di capire. Per meglio comunicare ci abbraccia spesso. E’ spaventata, ogni tanto piange. Nostalgia, dice, nostalgia, mostrandomi la fotografia del bambino, undici anni, e del marito, un bel ragazzo biondo. Lei ha trent’anni, è impiegata, ma le hanno concesso di assentarsi dal lavoro per alcuni mesi. Insieme cerchiamo di imparare ad accudire la nonna. Non è facile. Ci aiuta Primavera, che all’ospedale ha appreso a muoverla, cambiarla, alzarla e farla sedere sulla poltrona a rotelle. I primi giorni a casa la mamma è agitata, confusa, spaventata. Agata di notte è pronta ad alzarsi in qualsiasi momento. Di giorno la coccola, la pettina, la accarezza.

Riportiamo a casa il nonno, che non si rende conto che tutto è cambiato. Vuole riprendere possesso del suo letto accanto alla nonna. Sessantasei anni insieme. Vuole “comandare” in casa sua. Considera Agata un’intrusa. Io, che per fortuna sono in vacanza, cerco di insegnare ad Agata quanto posso. Quando i nonni riposano, le insegno un po’ d’italiano. Ho notato che è necessario che capisca la differenza fra passato, presente e futuro, quindi insisto su parole come “già”, “non ancora”. Ha già preso la medicina la nonna? Non ancora. Le insegno i verbi, fare, volere, potere, andare. Scopriamo che è più facile ricordare le parole con il loro contrario, dentro fuori, su giù, bianco nero, salato dolce. Le compro un libro con tanti esercizi e relative soluzioni. Agata studia di notte.

16 agosto.

Stanotte è morto Carlo. Il nonno vuole dargli l’ultimo saluto. Dritto come un fuso, anche al funerale starà sempre in piedi, con la sua solita grande dignità. Ha dato anche disposizioni per la tomba di famiglia.

Agata invece piange con la nonna. Anche suo padre in Polonia sta male, morirà dopo un mese.

E’ un bell’agosto però. Agata ama il sole. Quando i nonni riposano si mette sul terrazzo a cucire e prende il sole. Osserva, registra. E’ l’allieva ideale. Le insegno a preparare alcuni piatti tipici italiani. Le compro delle riviste di cucina. Sorride. Mi abbraccia. Accarezza la nonna. Col nonno è gentile, ma lui la respinge, non riesce ad accettarla. Alla fine del mese io devo tornare a casa, al lavoro.

Novembre.

Il nonno ha avuto una brutta bronchite. Per fortuna c’era Agata che l’ha curato. Lui continua a non accettare né lei, né la malattia della nonna. Sembra lucido e presente, ma non è più lui. Si è chiuso nel suo mutismo. Qualcuno l’ha sentito dire al prete che era andato a trovarlo, il Signore doveva prendere me, non mio figlio.

Un anno dopo, fine di agosto 2001.

Il nonno è mancato in dicembre senza soffrire. Agata era già partita da un mese. Al suo posto era venuta prima una donna che sapeva bene l’italiano perché era stata a Roma parecchio tempo, poi un’altra ragazza polacca. Tutte e due hanno curato la nonna con dedizione, ma con loro non c’è stata l’intesa che c’era con Agata. Poi all’improvviso anche la seconda ragazza se n’è andata e noi abbiamo dovuto cercare un’altra persona. Non ce la sentiamo di mettere la mamma al ricovero, è troppo attaccata alla sua casa, al suo telefono che le fa sentire tutti vicini.

La Provvidenza ci manda Ludmilla.

Ludmilla è una giovane donna ucraina, minuta, graziosa. Ha due figli, un ragazzo di diciassette anni dai lineamenti slavi e un bambino di undici. Il marito, un omone, fa il poliziotto a Kiev. Il ragazzo sta per iscriversi all’università e l’istruzione costa. E’ la sua mamma che le cura i figli. Lei si deve accontentare delle fotografie che ha subito messo sul comò nella loro cornice d’argento.

Ce l’ha presentata Valentina, sua sorella o almeno così credevo, finché non ho scoperto che in russo sorella e cugina si dicono nello stesso modo. Si preoccupa Valentina che Ludmilla abbia una giusta retribuzione e giuste condizioni di lavoro. Ludmilla sembra un cerbiatto spaventato. E’ stata alcuni mesi in Sicilia, a fare la baby-sitter. Quando è arrivata in Italia non sapeva una parola di italiano, adesso capisce tutto.

Impara in fretta Ludmilla. In due giorni ha tutto sotto controllo. In cucina vedo alcune tabelle scritte in russo, sono indicati orari e medicine per la nonna. E’ precisa e ordinata.

Mesi dopo.

Oggi sono stata a trovare la nonna. Ludmilla ha preparato un’insalata russa, sì, proprio russa, con un sapore particolare, tagliata finissima. Poi degli involtini di foglie di verza, con carne e riso. Buonissimi. Non mi lascia fare niente.

Si festeggia il Natale ortodosso.

Ho conosciuto Raissa, assiste la mamma di una mia compagna di scuola che non vedo da anni.

Nadja invece mi ha invitato a Pietroburgo. Dice che ha una cugina là che mi può ospitare.

Ludmilla è stata cuoca, ho scoperto, ma anche parrucchiera. Taglia lei i capelli alla mamma, ed anche alle sue amiche.

Olga porta un dolce per festeggiare il matrimonio del figlio lontano.

Leggo sul giornale che a Trento la polizia ha fatto una retata di donne ucraine e russe. Erano ai giardini, nell’ora libera da cambi di pannoloni e svuotamenti di padelle. Oddio, speriamo che non facciano una cosa simile anche a Sondrio. Ludmilla infatti è ancora in nero.

In casa ho trovato un vecchio libro di russo, Assimil, Le Russe Sans Peine. Ludmilla incide tutti i dialoghi su cassetta, così posso ascoltarli e ripeterli. Mi sono anche iscritta a un corso serale di russo. Quando vado a Sondrio pratico sempre un po’ con lei e le sue amiche. Le dico di uscire, io impazzirei a stare sempre lì tutto il giorno e anche la notte. La mamma invece non vuole che Ludmilla esca, si sente sicura solo con lei.

Gennaio – Aprile 2003.

Ludmilla è finalmente in regola, non ha più niente da temere! E’ stata sanata!

Ljuba invece non si sa se potrà essere messa in regola, è arrivata da poco. Speriamo. Ljuba è ingegnere, deve aiutare la figlia che studia economia, un figlio invece è morto in un incidente.

Oggi Ludmilla e le amiche hanno festeggiato la Pasqua ortodossa.

Sembra che il vicino di casa si sia lamentato perché secondo lui ci queste “extracomunitarie” non dovrebbero venire in casa nostra. Ma perché? Non fanno niente di male. Si fanno solo compagnia. Hanno tutte lasciato a casa figli e mariti, qui assistono i nostri vecchi malati e ci sollevano da un lavoro faticosissimo. Ludmilla sta regalando giorni e giorni di vita e serenità alla mia mamma.

Maggio 2003.

La nonna ha avuto un’ischemia. Sembra confusa, non ci vede più. Chiama mamma, babbo, suo fratello. Però mangia e per fortuna fa pipì regolarmente. Non mi telefona più puntualmente ogni giorno alla stessa ora come faceva da anni. Si è allontanata, sembra vivere in un suo mondo di ricordi. Certe volte piange, dice “non capisco niente, sono malmessa”. Se non capisco e le ripeto le cose strane che dice si mette a ridere. Altre volte vuole andare in bicicletta, a fare una passeggiata, a sciare. Andiamo, andiamo. Mamma, babbo..

Fa molta pena.

Ho dovuto consolare Ludmilla, che, da quando la nonna ha avuto questo peggioramento, continua a piangere. Mi sono persino preparata delle frasi in russo, per farle coraggio. Non può fare più di così, ha già fatto fin troppo, le dico in russo. Non deve piangere, lei è qui per i suoi figli, non pianga, pensi a suo figlio che è così bravo e fa già l’università. Non sapevo più come consolarla.

Poi, all’improvviso, Ludmilla reagisce. Ha deciso che la nonna deve star meglio. Le sta sempre vicina, le tiene la mano, l’ascolta, le risponde. Infatti anche la nonna si è calmata.

Babbo, mamma.. sì, Babushka, sono qui, sono qui vicino a te, Babushka (nonna) cara.

Grazie Ludmilla. Grazie Primavera. Grazie Agata.

Maggio 2003

Aprile 2006. Mia mamma è mancata il 28 ottobre 2004, sempre assistita da Ludmilla. Ludmilla, dopo aver passato alcuni mesi a casa è tornata e assiste un’altra signora.

Cristina Cattaneo

Cristina Cattaneo
Società