09 11 27 (Aggiornamento del 27 XI) "IO SONO QUEL CHE SONO": JANA VODESIL-BARUFFI

L'australiana senza confine

Dall'Australia con amore. C'è un filo sottile che lega artisti "senza patria né cielo" lungo sentieri nascosti ad altri che non sanno guardare come Jana Vodesil-Baruffi, pittrice cecoslovacca di adozione australiana-valtellinese, oltre la nuda corteccia delle cose oppure oltre l'espressione di volto a cui cavare l'anima traducendola in pennellate sapide di colore.

Dalle ceneri dell'ex Cecoslovacchia, trasfuga forzata in un esilio coatto nel "Continente nuovisimo", lontana dalla propria patria, dai propri affetti, (i genitori da alti funzionari governativi hanno dovuto riciclarsi dopo la crisi dell'81 a mansioni meno altisonanti mentre lei era in fuga per Perth in Australia), sradicata da tutto un mondo di cultura e tradizioni, Jana ha saputo costruire una propria identità artistica che l'ha resa celebre nel mondo per il modo visionario di interpretare la realtà nei suoi dipinti.

Il suo talento esplose proprio in questo Paese: cominciò a dipingere tutto, apprendendo la smaltatura del rame, la pittura a china, i dipinti sui tessuti. Iniziò a lavorare come artista decorativa e a dipingere murales, trompe l'oeils, marmi, pietre, lavorando negli edifici residenziali e commerciali più prestigiosi a Perth, Singapore (Indonesia) e in Europa. Le sue opere sono state riportate su riviste come Home and Garden, The building and design, The Finishing touch. Aveva appena pochi anni anni quando, sfuggendo all'ordinaria mediocritas dei suoi coetanei, già brandiva in mano il pennello come un'arma da taglio con cui incidere sulla ruvida carta e poi, fanciulla, graffiare sulla nuda tela le scomposizioni materiche delle sue figure che sfuggono ad una mitologia del mondo ellenico per crearne una propria, personale, unica, in cui natura e uomo si compenetrano in una metamorfosi panteistica entrando in una nuova dimensione dello spazio figurativo.

Il "realismo fantastico" delle sue opere metafisiche sono proiettate in una fantasmagoria di colori cruenti e selvaggi, da un erotismo morbido e sensuale, nelle ocre materiche, fisiche, palpabili, e nei blu intensi che demarcano l'infinito di una siepe che preclude l'orizzonte vero del pensiero lasciandolo solo intuire.

Frattali che sfuggono all'immaginazione che si dilata come in un caleidoscopio di emozioni plurime a cui la realtà trasfigurata sfugge diventando poesia.

"Io sono quel che sono" recita la didascalia di un suo quadro che ritrae le seriche forme dell'affascinante amica Melanie Robinson, poetessa dal tratto fine ed elegante, violoncellista dall'anima di cielo e dal corpo di una vergine dea, che si specchia nelle palme delle sue mani vibrando in un silenzio irreale carico di enigmatici quesiti.

Gli stessi che Jana si è posto mille volte: "Sin da piccolissima mi sono sempre interrogata sul senso della vita. Sono stata un'atleta molto forte con la ginnastica artistica, ma la durezza e l'imparzialità della società in cui vivevo, aveva cancellato le cose apprese con lo sport. Crescendo con un padre appassionato di armi, alto funzionario del regime e una madre che lavorava negli uffici dei servizi segreti ( ho saputo tutto questo solo dopo il crollo del regime), mi sono sentita ridicola e umiliata con le mie continue domande e riflessioni sul sistema di vita comunista. Sposarsi a 19 anni (primo matrimonio), e avere qualcuno con cui condividere il disagio di quegli anni, mi ha dato la forza e il coraggio di iniziare a sognare una vita in Occidente, dove io e mio marito siamo scappati, prima come rifugiati politici in Yugoslavia e poi finalmente in Australia nel 1981".

Ora Jana è innamorata dell'Italia con tutte le sue stridenti contraddizioni sociali, ma anche con le sterminate opere del genio artistico che qui ha lasciato a profusione nei secoli un'impronta sì forte e duratura. E' in Toscana che conduce da qualche tempo i "Tour dell'Arte", in giro per la terra del Rinascimento italico, partendo da una mostra ad Arezzo per l'Ente Filarmonico Italiano. "Ho avuto fretta di catturare le bellezza italiana, appena l'ho fatto ho sentito di essere approdata ad una più personale combinazione tra il fantastico e il reale".

Ed ora approda in Valtellina, la terra del suo uomo, un Baruffi, prole di antichi emigranti in terra australiana, che riscopre le sue umili e annose radici a Tresivio, la terra dei Padri, che diventa così la "sua terra" che lei ritrae nello splendore dei suoi augusti tramonti, nell'incarnato delle sue antiche cattedrali quasi infuse da un soffio vitale.

Giustamente il suo passaggio nelle Valli del Nord viene consacrato con una mostra a lei dedicata che sarà il degno corollario di un evento che il 5 dicembre porrà sotto i riflettori i Bagni di Masino. Un tributo dovuto all'artista, ma anche alla donna che in giovane età ha quasi toccato l'arida sponda di un mesto arrivo anzitempo per una malattia rarissima a cui è sopravvissuta, incarnando così quello spirito di rivincita sulla vita che attraverso l'Arte non conosce che "il tempo dell'assenza di tempo" e spazi se non il mondo intero.

Nello Colombo

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