GINO STRADA, "BENEFATTORE DELL'UMANITÀ"

Chi è Gino Strada - Domande & Risposte

Anni fa sui vecchi sussidiari delle scuole elementari, veniva riportata sempre la storia di un qualche uomo o donna particolarmente meritevole in un campo del sapere o delle scienze per il bene di tutta l'umanità.

E chi oggi non direbbe la stessa cosa del famoso cardiochirurgo Gino Strada, fondatore di Emergency che ha invitato a Venezia 8 ministri africani della Sanità provenienti da Sudan, Repubblica Centrafricana, Sierra Leone, Repubblica democratica del Congo, Eritrea, Uganda, Egitto e Ruanda, oltre a numerosi operatori di settore italiani e stranieri, per il Seminario internazionale: "Costruire medicina in Africa: principi e strategie(13- 15 maggio 2008)?

L'occasione è stata propizia. E alla fine si è stilato un protocollo di intesa che li unirà con un solo scopo: realizzare, senza nascondersi le difficoltà, un sistema sanitario e medico in grado di aiutare le popolazioni dell'Africa centrale.

Chi è Gino Strada

È un chirurgo, ha 55 anni, è sposato con Teresa che lo sostiene in tutti i suoi spostamenti e ha una figlia, Cecilia. Si è laureato a Milano, specializzandosi in chirurgia d'urgenza. Negli anni '80 si è occupato principalmente di chirurgia dei trapianti di cuore e cuore-polmone, con lunghi periodi di permanenza negli Stati Uniti, Gran Bretagna e in Sudafrica, a Città del Capo. Nel 1988 ha deciso di applicare la sua esperienza di chirurgia d'urgenza all'assistenza e alla cura dei feriti di guerra. Ha lavorato per un lungo periodo con la Croce Rossa Internazionale in zone di guerra: nel 1989 a Quetta, nel Pakistan, al confine con l'Afghanistan; nel 1990 a Dessiè, in Etiopia e a Khao-I-Dang, in Tailandia; nel 1991 a Kabul e ad Ayacucho, in Perù, poi ancora a Kabul; nel 1993 a Balbala, Gibuti e Berbera, in Somalia. Nel 1994 è stato in Bosnia.

L'esperienza accumulata in anni di chirurgia di guerra lo convince della necessità di una organizzazione piccola, agile e altamente specializzata, che intervenga in favore della popolazione civile vittima della guerra e che non soffra delle lentezze burocratiche delle grandi organizzazioni. Con scarsissimi mezzi e insieme a un gruppo di colleghi e amici, nella primavera del 1994 egli fonda a Milano Emergency. La neonata organizzazione riunisce un team internazionale che, nell'agosto dello stesso anno, riapre l'ospedale della capitale del Ruanda Kigali: devastato dalla guerra, era stato abbandonato e non vi erano ancora giunti aiuti umanitari.

Dalla sua nascita, Emergency ha contribuito in modo determinante alla campagna internazionale per la messa al bando delle mine antiuomo. Diffondere una cultura di pace è compito statutario di Emergency: attraverso numerose iniziative ha portato a conoscenza di vasti settori dell'opinione pubblica il dramma causato dai 110 milioni di mine inesplose disseminate nel mondo e, nell'ottobre 1997, ha contribuito all'approvazione della legge per la messa al bando della produzione italiana di mine antiuomo.

Emergency, finanziandosi con i contributi piccoli ma numerosi di sostenitori privati, costruisce nel 1996 il primo ospedale nel Nord Iraq a Sulaimaniya. Poi un altro ospedale nella capitale Erbil, due Centri pròtesi e riabilitazione, sempre nella parte settentrionale dell'Iraq, l'ospedale "Ilaria Alpi" a Battambang, in Cambogia, e altri due ospedali in Afganistan, uno nel nord, nella valle del Panshir, e uno nella capitale Kabul. Nel 2001 apre a Freetown, in Sierra Leone, il sesto ospedale di Emergency. A tutti questi centri si affiancano 40 posti di Primo Soccorso nelle zone più minate o più vicine al fronte. Fino al dicembre 2002 Emergency ha curato oltre 500.000 vittime di guerra.

Gino Strada ha pubblicato, con l'editore Feltrinelli, due libri: "Pappagalli verdi" (1999) che è stato tradotto anche in lingua tedesca, e "Buskashì" (2002), cronache e ricordi dei tanti anni passati in prima linea e delle tante tragedie vissute in prima persona. Sono pagine terribili, talvolta quasi insostenibili, ma che riportano al lettore l'eterna lotta interna di un chirurgo che, di fronte a difficoltà, si ritrova anche a confrontarsi con la domanda «chi me lo ha fatto fare?». Se qualcuno vuole ancora pronunciare frasi assurde come "l'arte della guerra", dopo la lettura non potrà non condividere l'idea che nella guerra non c'è nulla di artistico. Solo miseria.

Gino crede veramente nel suo lavoro, anche quando tutto sembra aver superato i limiti del possibile. La sua scelta di non dipendere da aiuti governativi gli permette anche di esprimere opinioni sulle guerre che lo circondano e, a differenza di altre organizzazioni come la Croce Rossa, che al massimo possono limitarsi a non commentare la legittimità delle guerre, Gino Strada è sicuro: nessuna guerra è legittima.

La sua missione è aiutare le vittime di guerra mettendo al loro servizio la sua esperienza di chirurgo. E per realizzare questa sua vocazione si è lasciato alle spalle gli affetti, le amicizie e le comodità che poteva offrirgli una carriera già avviata. Ha preferito seguire il suo istinto e i suoi ideali.

Non si è mai fermato. È su tutti i fronti più "caldi": Irak, Cambogia, Afghanistan, Bosnia, Eritrea. Nel Kurdistan iracheno, in Cambogia e in Afghanistan apre dal nulla cinque ospedali che Emergency gestisce tuttora. Le équipe mediche specializzate di Emergency non si limitano a operare e a prestare un'opera di assistenza, ma provvedono a formare il personale medico, paramedico e ausiliario locale che le affiancano. In sei anni i medici di Emergency hanno effettuato 13.700 interventi chirurgici e hanno curato più di 120mila persone. Un'opera svolta grazie all'Unione Europea che ha creduto in lui e ha finanziato le sue iniziative, ma anche grazie ai contributi di tanta gente che ogni anno continua a sostenere Emergency. l' associazione umanitaria fondata da questo medico coraggioso il cui obiettivo è fornire assistenza alle vittime dei conflitti. Emergency è una ONG (organizzazione non governativa) e dalla sua fondazione nel '94 ha prestato assistenza a oltre 285 mila vittime di guerre.

Domande & Risposte

Il continente più malato al mondo è quello che ha meno personale sanitario: 14 dottori ogni 100mila abitanti. Molti giovani, dopo aver studiato medicina all'estero decidono di fermarsi per lavorare nei paesi ricchi. . Le spiegazioni sono tante: le guerre, la scarsità di mezzi e strutture, la mancanza di corsi post-laurea. E i salari: i 60 dollari al mese che può guadagnare in media un medico in Africa, si moltiplicano per 20 mettendo piede in una struttura europea. Così, c'è questo paradosso: il continente che avrebbe più bisogno di medici ne ha meno di tutti. "Brain drain", fuga di cervelli, forse i più preziosi per il futuro dell'Africa. E quei pochi professionisti che ci sono vengono corteggiati dall'Occidente che ha fame di dottori e infermiere. I medici stranieri godono di "quote" anche nelle leggi sull'immigrazione più restrittive.

L'Onu ha posto come obiettivo 1 milione di medici in più per l'Africa entro il 2015. Nello stesso tempo, però, paesi come la Gran Bretagna o la Svezia lanciano ponti d'oro per reclutare all'estero migliaia di professionisti della sanità. Una diaspora inesorabile.

Dott. Strada, lei ha costruito un centro cardio- chirurgico in Sudan uguale a quelli che ci sono in Europa o negli Stati Uniti. Come è riuscito in quest'impresa?

Il Centro Salam di Khartoum, in un anno ha già operato con successo quasi 500 pazienti gratuitamente affetti di cardiopatie congenite o acquisite. Spesso queste sono attribuibili alle conseguenze della febbre reumatica, un'infezione che affligge principalmente bambini ed adolescenti ancora molto diffusa nel sud del mondo. Non è giusto che vi siano circa 300.000 morti all'anno tra i due milioni di persone che avrebbero bisogno di continue cure ospedaliere per patologie cardiovascolari. Ecco che hanno risposto al mio appello i ministri di otto stati africani per costruire assieme a loro il progetto di estendere il nostro programma sociosanitario di pediatria e cardiochirurgia per far fronte a tale emergenza. Insomma, i medici non devono scappare dall' Africa.

Infatti, l'Africa è senza medici. Come arrestare l' esodo dei giovani verso il mondo occidentale dove si specializzano ed esercitano con valentia la loro professione?

La medicina è una cosa molto bella e affascinante se può essere esercitata con qualità. Lo è molto meno se non si hanno mezzi per la cura e la prevenzione. Sono convinto che se ci fossero centri di eccellenza dove praticare, non ci sarebbero così tanti medici che scappano dall'Africa.

Lei ha costruito un ospedale all'avanguardia e non è un controsenso dove manca tutto?

E' stata la nostra scommessa. Dimostrare che non ci sono pazienti di serie A e B. Che è possibile realizzare il meglio della medicina anche in Africa.

La carenza di fondi non é un forte ostacolo?

Anche nell'ottica della raccolta fondi sono convinto che l'eccellenza sia la chiave. L'anno scorso Emergency ha avuto un aumento del 24% dei donatori con il 5 per mille. A noi ovviamente i soldi, anche le più piccole somme, servono moltissimo. Costruiamo ospedali che curano pazienti tutti i giorni, non facciamo interventi mordi e fuggi.

Ci sarebbe la possibilità di valorizzare i medici locali?

Intanto, bisogna crederci e volerlo. In tutte le nostre strutture l'obiettivo è lasciare prima o poi la gestione al personale locale. In molti centri di Emergency è già così. A Khartoum, partirà un corso quadriennale in cardiologia e altre specializzazioni. Ho fiducia che tra 10 anni troveremo in sala operatoria soltanto colleghi africani. Infatti il nostro centro Salam(Pace) di cardiochirurgia inaugurato l'anno scorso impiega già 250 dipendenti locali, e nel lungo termine , sicuramente l'ospedale sarà affidato completamente ai sudanesi.

Molte Ong mandano medicine in Africa e sponsorizzano terapie ma non è sufficiente?

La maggior parte delle donazioni e delle campagne di raccolta fondi riguarda l'acquisto di medicine e terapie, cui sono interessate le case farmaceutiche. Raramente, invece, si sentono appelli per finanziare nuovi medici o ospedali, dove i profitti delle multinazionali sono marginali. E ancora: il martellamento mediatico si concentra su malattie contagiose, come Aids, malaria, tubercolosi. Ma quasi mai si parla di patologie non contagiose, come quelle cardio-vascolari che rappresentano ormai la seconda causa di morte in Africa. Ci sono poi gli effetti perversi dell'intervento straniero. I migliori medici o infermieri vengono reclutati da strutture private costruite in Africa per curare solo pazienti stranieri. Oppure visto che molti di loro sanno parlare inglese o francese si ritrovano assunti come autisti o interpreti dalle Nazioni Unite: vengono pagati meglio che per curare i malati. La realtà dell'Africa è spesso più complicata di come viene raccontata.

Maria de Falco Marotta & E.E.

Maria de Falco Marotta & E.E.
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