ANCHE SE È STATO BEATIFICATO (18 NOVEMBRE 2007), ANTONIO ROSMINI ANCORA OGGI RIMANE UNA COSCIENZA SCOMODA PER LA CHIESA (1)

Non c’è stato il solito clamore per la sua beatificazione, anzi è stata celebrata in una sede “decentrata”(Novara) invece che in Piazza s. Pietro e non dal papa che pure dichiarò da teologo che : "La Chiesa sta divenendo per molti l'ostacolo principale alla fede. Non riescono più a vedere in essa altro che l'ambizione umana del potere, il piccolo teatro di uomini che, con la loro pretesa di amministrare il cristianesimo ufficiale, sembrano per lo più ostacolare il vero spirito del cristianesimo"(Cfr. La Repubblica. it, 28 sett.2007).

Rosmini lo diceva già nel suo tempo, denunciandone i problemi, animato da un grande afflato riformatore. Allora non fu capito, ma la sua figura e il suo pensiero furono d'ispirazione durante il Concilio Vaticano II, nel cui clima Paolo VI tolse nel ‘68 il veto alla pubblicazione delle "Cinque Piaghe", lo “scandaloso” libro che fa rabbrividire per la sua attualità. Egli non si richiamava solo alla manualistica teologica del tempo, ma si ispirò molto alla Bibbia e ai Padri della Chiesa. Inoltre riteneva che i fedeli dovessero comprendere la liturgia e non solo ripetere vuote formule in latino o brani di dottrina a volte mal presentati e peggio commentati(e come la mettiamo col Motu Proprio di Benedetto XVI che vuole riportare alla messa in latino?)…

Rosmini sentiva il bisogno che la Chiesa per prima avesse coscienza dello spirito moderno. Ne sottolineava le incrostazioni storiche, gli aspetti che andavano modificati. Lo studioso, ora beato, mostra le cosiddette "piaghe" che fanno ombra alla purezza della Chiesa, le spiega, propone delle soluzioni riscoprendo le consuetudini dei primi secoli cristiani. Il periodo patristico era proprio il periodo missionario della Chiesa. Allora Essa era più libera di esprimersi, non era stata contaminata da sovrastrutture, aveva più autonomia. La sua piaga effettiva è la commistione con il "temporale", con il potere politico: questo potere si era introdotto nella Chiesa per proteggerla, ma in realtà la teneva legata a sé, senza lasciarla libera. Ieri come oggi.

Infatti, la Gerarchia viene considerata dai nostri contemporanei al pari della Casta politica di cui sono stati denunciati apertamente i privilegi. Con la Gerarchia non lo si fa, perché si teme il suo potere e il suo ostracismo e si sussurra sottovoce della sua grande autorità che ha nella società italiana(Per esempio, con più prudenza e realismo si può stabilire che la Chiesa cattolica costa in ogni caso ai contribuenti italiani almeno quanto il ceto politico. Oltre quattro miliardi di euro all'anno, tra finanziamenti diretti dello Stato e degli enti locali e mancato gettito fiscale. La prima voce comprende il miliardo di euro dell'otto per mille, 700 milioni versati da Stato ed enti locali per le convenzioni su scuola e sanità, i finanziamenti ai Grandi Eventi, dal Giubileo in poi, il mancato incasso per l'Ici, le esenzioni da Irap, Ires e altre imposte, l'elusione fiscale legalizzata del mondo del turismo cattolico, che gestisce ogni anno da e per l'Italia un flusso di quaranta milioni di visitatori e pellegrini…Cfr La Repubblica.it 28 settembre 2007.).

Alfredo Carlo Moro, giurista e fratello di Aldo, in uno degli ultimi interventi pubblici ha lanciato una sofferta accusa: "Assistiamo ormai a una carenza gravissima di discussione nella Chiesa, a un impressionante e clamoroso silenzio; delle riunioni della Cei si sa solo ciò che dichiara in principio il presidente; i teologi parlano solo quando sono perfettamente in linea, altrimenti tacciono". Più che amarla, si teme la Gerarchia.

E questo ci riporta nuovamente ad Antonio Rosmini che era sì un religioso umile, sottomesso, ma apertamente e sinceramente profetico nei suoi scritti, in cui non ebbe alcun timore di indicare senza remore, dove, appunto, la Gerarchia sbagliava.

Parecchie scuole da tempo sono dedicate a Lui, la sua figura è presente nei manuali di studio di molte discipline (filosofia, pedagogia). Giovanni Gentile, non cattolico, valorizzò il suo pensiero, sembrandogli utile mostrare come lo spirito filosofico, nel suo classico movimento circolare, fosse passato dalla Germania all'Italia, proprio per rinnovarne le idee. Questo spaventava la gerarchia, che temeva la filosofia idealistica. Gentile ha fatto comunque un buon servizio a Rosmini, perché ne ha riscoperto l'interiorità, la pedagogia, e ne ha fatto studiare due libri nei licei, tenendone in vita il pensiero quando sembrava potesse essere dimenticato da tutti(e chi di noi non l’ha studiato?).

Di particolare interesse fu la sua opera "Le cinque piaghe della santa Chiesa", scritta nel 1832 e pubblicata nel 1848, in cui per il coraggio e la lungimiranza di alcune sue idee sulla riforma della Chiesa, sembrò precorrere il Concilio Vaticano II. Per tale ragione il testo fu messo all'indice sin dal 1849 e ne scaturì una polemica nota col nome di "questione rosminiana".

Il lavoro è suddiviso in cinque capitoli (corrispondenti ciascuna ad una piaga, paragonata alle piaghe di Cristo). In ognuno la struttura è la stessa: - un quadro ottimistico della Chiesa antica - segue un fatto nuovo che cambia la situazione generale (invasioni barbariche, nascita di una società cristiana, ingresso dei vescovi nella politica) - la piaga - i rimedi.

Sinteticamente si possono riassumere le piaghe in modo che si abbia poi uno stimolo per meglio approfondire sul serio il profetico pensiero del beato:

Prima piaga. È la divisione del popolo dal clero nel culto pubblico. Nell'antichità il culto era un mezzo di catechesi e formazione e il popolo partecipava al culto. Poi, le invasioni barbariche, la scomparsa del latino, la scarsa istruzione del popolo, la tendenza del clero a formare una casta hanno eretto un muro di divisione tra il popolo e i ministri di Dio. Rimedi proposti, anche se con molta prudenza: insegnamento del latino, spiegazione delle cerimonie liturgiche, uso di messalini in lingua volgare.

Seconda piaga. Insufficiente educazione del clero. Se un tempo i preti erano educati dai vescovi, ora ci sono i seminari con "piccoli libri" e "piccoli maestri": dura critica alla scolastica, ma soprattutto ai catechismi. Rimedio: necessità di unire scienza e pietà.

Terza piaga. Disunione tra i vescovi. Critica serrata ai vescovi dell'ancien règime: occupazioni politiche estranee al ministero sacerdotale, ambizione, servilismo verso il governo, preoccupazione di difendere ad ogni costo i beni ecclesiastici, "schiavi di uomini mollemente vestiti anziché apostoli liberi di un Cristo ignudo". Rimedi: riserve sulla difesa del patrimonio ecclesiastico, accenni espliciti di consenso alle tesi dell'Avenir sulla rinunzia alle ricchezze e allo stipendio statale per riavere la libertà.

Quarta piaga. La nomina dei vescovi lasciata al potere laicale. Rosmini compie una approfondita analisi storica sull'evoluzione del problema e critica i concordati moderni con cui la S. Sede ha ceduto la nomina al potere statale, per avere compensi economici. Rimedi: propone un ritorno all'elezione dei fedeli come al tempo della chiesa apostolica.

Quinta piaga

La servitù dei beni ecclesiastici. Rosmini sostiene la necessità di offerte libere, non imposte d'autorità con l'appoggio dello Stato, rileva i danni del sistema beneficiale, propone la rinuncia ai privilegi e la pubblicazione dei bilanci.

(Cfr.: http://it.wikipedia.org/wiki/Antonio_Rosmini)

Chi é

Antonio Rosmini, secondogenito di Pier Modesto e di Giovanna dei Conti Formenti di Biacesa del Garda, compì gli studi giuridici e teologici preso l'Università di Padova dove ricevette, il 21 Aprile 1821 l'ordinazione sacerdotale. Iniziò a mostrare una profonda inclinazione per gli studi filosofici, incoraggiato in tal senso dal Papa Pio VII.

Dal 1826 si trasferì a Milano dove strinse un profondo rapporto d'amicizia con Alessandro Manzoni che di lui ebbe a dire: «è una delle sei o sette intelligenze che più onorano l'umanità». Manzoni assistette Rosmini sul letto di morte, da cui trasse il testamento spirituale "Adorare, Tacere, Gioire". Gli scritti di Antonio Rosmini destarono l'ammirazione, tra gli altri, anche di Niccolò Tommaseo e Vincenzo Gioberti dei quali divenne amico.

Nel 1830 fondò al Sacro Monte Calvario di Domodossola la congregazione religiosa dell'Istituto della Carità, detta dei "rosminiani". Le Costituzioni della nuova famiglia religiosa, contenute in un libro che curò per tutta la vita, furono approvate da Papa Gregorio XVI nel 1839.

Egli elaborò tesi filosofiche atte a contrastare sia l'illuminismo che il sensismo. Sottolineando l'inalienabilità dei diritti naturali della persona, fra i quali quello della proprietà privata, polemizzò con il socialismo ed il comunismo , postulando uno Stato il cui intervento fosse ridotto ai minimi termini. Nelle sue teorie il filosofo seguì le concezioni di Sant'Agostino, e di San Tommaso rifacendosi anche a Platone. Il suo pensiero, in ogni caso, non è da meno dei grandi citati.

I suoi scritti filosofici più conosciuti sono:

Nuovo saggio sull'origine delle idee 1830

Principi della scienza morale 1831

Filosofia della morale 1837

Antropologia in servizio della scienza morale 1838

Filosofia della politica 1839

Filosofia del diritto 1841-1845

Teodicea 1845.

Dopo la sua “riabilitazione” ecclesiale, non posso assolutamente fare a meno di ricordare che Antonio Rosmini rappresentò nel XIX secolo la più alta espressione dei cattolici che si impegnarono per una soluzione, non traumatica ma positiva del rapporto tra il potere temporale della Chiesa e la nascente nazione italiana. Nei mesi drammatici del 1848 se fosse prevalsa, presso Pio IX, la posizione del Rosmini invece di quella del Card. Antonelli, la storia della Chiesa sarebbe stata diversa e di conseguenza anche quella del Risorgimento e del nuovo Stato italiano. Da una parte invece ci fu l’involuzione che portò all’enciclica Quanta Cura con il Sillabo contro la democrazia ed al Concilio Vaticano I (ed indirettamente alla enciclica Pascendi contro il modernismo), dall’altra ad uno Stato elitario, autoritario e guerrafondaio lontano dal migliore pensiero democratico e federalista che percorse in quel secolo il nostro paese. Rimase aperta la “questione romana” che fu risolta solo nel 1929 con i Patti Lateranensi che stabilizzarono e rafforzarono il fascismo. Il filosofo pensava ad una democrazia intesa come giustizia sociale, fondata sulla centralità della persona, della sua libertà, dei suoi diritti. La sua posizione che fu definita “conciliatorista” apriva al confronto tra fede e ragione, tra fede e scienza ed introduceva la Chiesa al confronto con la modernità. In questo contesto importanza fondamentale aveva il rapporto tra Stato e Chiesa. Egli auspicava la valorizzazione dei diritti della religione e della libertà di coscienza ma in una condizione in cui non ci fosse confusione tra le materie soggette alle due differenti giurisdizioni con la libertà per ognuna di esse di operare nel proprio ambito. Ciò significava che “la religione cattolica non ha bisogno di protezioni dinastiche, ma di libertà. Ha bisogno che sia protetta la sua libertà e non altro”. Inoltre, egli ha lasciato una ampia proposta di riforma della Chiesa, che è contenuta soprattutto nel “Delle cinque piaghe della Santa Chiesa”. Essa verrà recepita in buona parte solo al Concilio Vaticano II. Questo testo “è sostenuto da un grande amore alla Chiesa ed insieme da una grande audacia e da un forte spirito profetico” (Card. Martini). In esso Rosmini denuncia i mali della Chiesa indicando in un ritorno alle fonti (Vangelo, Padri della Chiesa e prassi dei primi secoli) la possibilità per essa di “risorgere” e di essere nuovamente testimone credibile del messaggio evangelico. Tutta la storia della Chiesa viene analiticamente coinvolta nella denuncia, indicando gli errori via via commessi, da quello della subordinazione al potere civile o della commistione con esso, allo spirito di guadagno e di potere fino ad una pratica dei riti lontana dal popolo e a tanti altri. Vengono anche proposti alti valori spirituali di comunione e di unità nella Chiesa che sono esistiti nei primi secoli ed il cui abbandono ha contribuito alle lacerazioni(la Riforma protestante, la separazione con la chiesa ortodossa…).

Anche la nomina dei vescovi era per lui un problema. Si richiamava ai Santi Padri che dicevano che i vescovi dovevano essere eletti “a clero e popolo secondo l’antica consuetudine” “con diversi procedimenti e il definire quali siano i più opportuni dipende in gran parte dalle circostanze differenti in cui si trovano le diverse province”. Forse non è questo un problema anche dell’oggi a causa della totale assenza della partecipazione del popolo di Dio alla scelta del vescovo che viene decisa dal potere burocratico del Vaticano, molto centralizzato, e del quale non si conoscono mai i criteri (si veda in questi giorni il caso del trasferimento di Mons. Bregantini)? L’unico criterio che si intuisce è quello dell’assoluta fedeltà alle direttive gerarchiche e della disponibilità ad obbedire, anche se abbastanza spesso questa non appare essere una virtù evangelica ? L’ecclesiologia di Rosmini introduce alla valorizzazione della sinodalità come via ordinaria della prassi decisionale. Egli sosteneva “il principio che il governo della Chiesa quali lo esigono i nostri tempi e le nuove forme correlative dello Stato, debba essere collegiale piuttosto che individuale” ed auspicava la valorizzazione degli organi collegiali esistenti e ne proponeva di nuovi. Circa i beni della Chiesa propone che le offerte siano spontanee, i beni siano gestiti in comune, e destinati ai poveri ed al clero ma in quanto povero solo per il necessario , la Chiesa non accumuli i beni ma li distribuisca con criteri ben definiti , le risorse siano amministrate “con ogni vigilanza” e pubblicando “un annuale rendiconto” “con un’estrema chiarezza sicché l’opinione dei fedeli di Dio potesse apporre una sanzione di pubblica stima o di biasimo all’impiego di tali rendite” Concludo riesponendo un suo brano a proposito del silenzio troppo prudente di molti all’interno della Chiesa sui suoi gravi problemi. E’ un duro monito, quasi scritto per la Chiesa italiana di oggi (in cui tanti, a partire dai vescovi, hanno paura di parlare). Il brano dice : “Tutto va bene, a giudizio de’ prudenti di questo secolo. A giudizio d’altri ancor più prudenti, è necessario che i cattolici non abbiano la temerità di parlare: conviene osservare perfetto silenzio per non eccitare inquietudini e rumori disgustosi: e tutto quello che può recar turbazione, non è che imprudenza e temerità. Tale specie di prudenza è l’arma più terribile di que’ che minano la Chiesa; essi la minano sordamente: e chi denunzia la loro mina, chi rivela il tradimento, sono i turbolenti, sono i perturbatori della società. Intanto la Chiesa geme, e con troppa ragione può dire le parole del Profeta «che nella sua pace la sua amarezza s’è fatta amarissima». Indi è, che se qualche voce, interrompendo il silenzio di morte, s’innalza a parlare de’ mezzi di salute che restano alla Chiesa, mirate onde viene: essa esce da qualche semplice fedele” .

E adesso, non crediate che abbia paura per essere stata temeraria nel descrivere quell immenso genio profetico che fu Rosmini e di avere più volte volontariamente ripetuto il suo pensiero, nella speranza che possa migliorare qualche cosa nella Chiesa che amo, indegnamente come Lui, seppure ne veda le miserie e non ho alcuna preoccupazione nel mostrarle. L’amore non è mai acquiescenza.

Maria de Falco Marotta

Maria de Falco Marotta
Società