In un mondo che…. come uscire dall'odio tra le culture?
In un mondo che….
Come orientarsi in un mondo sempre più complicato dove ad agire non ci sono più solo Stati, ma anche comunità fanatiche transnazionali, soggetti finanziari, gruppi ideologici, e dove un intervento ha più probabilità di fallire che di riuscire? E che si pensa dello scontro tra una cultura che mette al primo posto il benessere dei propri cittadini e una fondata sull’onore e il sacrificio, anche della vita?
E’ terribile, ma oggi- sebbene i progressi scientifici e tecnologici ci trasportano in altre dimensioni, assistiamo ancora all'odio tra culture e religioni. I conflitti dilagano mentre le diverse fedi si trasformano in uno strumento di violenza e morte. Negli ultimi mesi si è registrata una nuova ondata di attentati con autobombe ed esplosioni nelle città europee e in molti altri luoghi del mondo. Invece l’armonia tra i popoli nasce solo da una visione di eguaglianza che può rendere più facile apprezzare le differenze. Le religioni possono dare una valida mano perché hanno delle basi comuni, anche se ognuna ha un proprio rituale, percorrono la stessa strada del vivere in modo retto ed etico. Tutte promuovono la tolleranza come sviluppo di comprensione e amore, capace di accogliere anche il diverso.
Perché allora non è sempre possibile l’accettazione e la coesistenza pacifica? Quello che manca è la necessità di progredire in termini spirituali e riconoscere il pluralismo delle religioni, che affermino la legittimità di ciascuna. Esaminare ciò che crea unità e fratellanza. Riconoscere per imparare ad ascoltare e informarsi per stabilire nuovi principi lontani dai vecchi sistemi mentali e razziali. Con l’obiettivo di avere una visione globale più liberale, per dare valore e rispetto al pensiero degli altri, con la consapevolezza che questa è manifestazione di libertà. ffettiva umanità.
Allora, come uscire dall'odio tra le culture?
Nel caos geopolitico in cui siamo, nella confusione virtual in cui diventa sempre più difficile distinguere la realtà dalla finzione e di fronte a fenomeni inquietanti come gli scontri razziali negli Stati Uniti e in Europa e il successo in Medio Oriente dello Stato islamico, (Isis), si fa sentire potente la voce di Papa Francesco, che vuole aiutare l’umanità a ritrovarsi come fratelli e sorelle liberandosi assieme dalle tenebre esistenziali in cui siamo precipitati, tanto che sullo sfondo della deflazione e di fronte all'ascesa della disoccupazione, non solo in Italia, si profila lo spettro del razzismo. L’Isis lo pratica quale strategia primaria per rendere la società il più omogenea possibile, una tattica che facilita la raccolta del consenso all'interno del territorio controllato dal Califfato. La pulizia etnica e religiosa viene amministrata con atti barbari e disumani che a noi europei richiamano le atrocità commesse dai Nazisti e dai Fascisti appena un secolo fa. L’accanimento contro il diverso, chi non è come noi, è un segno di debolezza, tutte le più famose civiltà al loro vertice erano multietniche e lo scambio di idee tra popoli diversi, tra culture diverse, tra religioni, usi e costumi diversi, arricchivano la popolazione. Da Babilonia a Roma fino al Califfato del Nono e Decimo secolo questo era il modello. Tutt'altra cosa è lo Stato islamico, un’organizzazione armata che vuole strutturarsi come Stato attraverso una guerra di conquista classica, condotta quasi porta a porta, in trincea. Un processo che dal 2011 viene attuato usando tecniche terroristiche, barbare per terrorizzare i nemici, tra cui anche noi occidentali, ed ingigantire l’immagine di potere dell’Isis. Una strategia che allo stesso tempo presenta agli abitanti abilitati a far parte del nuovo Stato – sunniti salafisti radicali – vantaggi mai avuti in passato sotto la gestione statale di regimi sciiti ostili. La debolezza di questa realizzazione sta nell'assenza di un processo di edificazione dello Stato basato sulla volontà ed il consenso della popolazione di unirsi, farsi Stato e condividere la cosa pubblica. Al suo posto, infatti, vi è una guerra di conquista, da qui l’assenza del riconoscimento da parte della comunità internazionale che invece ha deciso di combattere con una nuova guerra per procura il nuovo nemico che pratica pulizia etnica e giustizia barbaramente gli ostaggi occidentali. Poi, obiettivamente, la debolezza dell’Occidente è tutta economica. La lunga onda recessiva si è trasformata in una marea deflazionista che minaccia il cardine primario della società occidentale: la crescita. Sullo sfondo dell’impoverimento della classe media e dell’assenza di mobilità sociale, quel 99 per cento di poveri e potenziali poveri hanno iniziato a lottare tra di loro. In questa guerra tra mendicanti c’è anche lo Stato, anch'esso affetto dal piaga della povertà, uno Stato che non riesce a contenere la rivolta dei poveri e che invece finisce per farne parte. Contro tutto questo infame divenire, si leva una voce potente: quella del papa Francesco. Le sue parole sono preziose perché ci ricordano che gli uomini sono tutti uguali, il primo sacrosanto diritto umano. Sono parole fermissime, pronunciate in Turchia, un Paese a stragrande maggioranza musulmano, e che incitano all'apertura non alla chiusura attuale nei confronti dell’Islam, che suggeriscono la necessità di fare uno sforzo per intavolare un dialogo informale, con chi è vicino allo Stato islamico, per capire e trovare una soluzione non bellica, ma pacifica a quanto sta accedendo in questa parte del mondo.
Discorso analogo vale per la guerra tra i poveri, lo Stato deve avere il coraggio di Francesco per fermarla redistribuendo la ricchezza a favore di quel 99 per cento. La parola ‘nazionalizzazione’ dovrebbe essere rispolverata dal vocabolario della politica e pronunciata pubblicamente. Ma per ora, sono solo chiacchiere.