UN "CAMPO DELLA VERGOGNA" ANCHE NELLA "ITALIANA" LIBIA

Finalmente raccontata la triste vicenda del campo di concentramento per ebrei di Giado in Libia durante la seconda guerra mondiale in un libro del giornalista scrittore Eric Salerno.

Per caso alcuni giorni fa ho sentito - solo per metà - alla radio svizzera la segnalazione di uno dei troppi episodi della seconda guerra mondiale che rischiano di cadere nel dimenticatoio.

Si tratta di un fatto che fino ad ieri ignoravo, ma che mi sembra doveroso divulgare, sia in segno di rispetto per le vittime, sia perché non si deve mai smettere di esercitare la memoria, come ci ricorda la prossima giornata ad essa dedicata.

Poche le parole udite, Libia, ebrei, campo di concentramento. Si parlava di un libro.

Con queste poche parole sono però riuscita a trovare il libro di cui penso si stesse parlando e a capire di quale campo si trattasse.

Libia, meglio Tripolitania, ancora colonia italiana in tempo di guerra. Nord Africa, zona di residenza di numerose comunità ebraiche sefardite da sempre, prima e dopo la cacciata dalla Spagna voluta da Ferdinando e Isabella di Castiglia. Si trattava di comunità ben integrate e cosmopolite, che aiutavano anche a tenere vivi i rapporti con la parte settentrionale del Mediterraneo, con le loro attività, con le loro parentele, con i loro viaggi di studio Durante la guerra alcune hanno forse sofferto meno di altre, almeno là dove prevalevano gli alleati, inglesi, francesi americani.. In Africa inoltre si combatteva su tutta la linea, con alterne fortune.

Gli ebrei libici invece avevano adottato l'Italia come loro patria, imparato e insegnato l'italiano ai figli, aderito al fascismo come tanti altri. Avevano accolto trionfalmente lo stesso duce in occasione di una sua visita in Libia.

Ma la Libia era italiana e Mussolini, alleato dei tedeschi, aveva fatto applicare le odiose leggi razziali.

Nel maggio del 1942, in un momento favorevole alla Germania e all'Italia, il console tedesco si preoccupava della "sistemazione" da dare ai numerosi ebrei residenti in Cirenaica e in Tripolitania, questi ultimi troppo numerosi per essere trasferiti in Italia e in Germania.

Doppio tradimento nei confronti di questa comunità, fu quindi la decisione presa all'inizio del 1942 di trasferire gli ebrei libici in campi di concentramento o di lavoro, decretando inevitabilmente la fine prematura di troppi di essi per le malattie, le privazioni e gli stenti.

Chi ha cercato di ricostruire queste vicende è lo scrittore giornalista Eric Salerno, voce nota agli ascoltatori della radio per le sue corrispondenze dal Medio Oriente, autore del volume "Uccideteli tutti". Libia 1943: gli ebrei nel campo di concentramento fascista di Giado (ed. Il Saggiatore).

Racconta dei crimini commessi dai militari italiani e di un ordine finale terribile che solo il caso lasciò incompiuto. Un esclusivo dossier storico che aggiunge un'altra pagina al già terribile libro dello sterminio degli ebrei voluto dai nazisti.

In particolare parla del campo di Giado, grazie anche alle testimonianze di sopravvissuti raccolte in Israele, in Italia, negli Stati Uniti e nella stessa Libia, nel quale furono internati duemilaseicento ebrei, più o meno, e di questi quasi seicento morirono per maltrattamenti, malattie, tifo e febbre tifoidea, fame. Uomini, donne e tanti bambini di cui, però, non esiste un elenco dei nomi. Cinquecento, tra gli internati, furono poi deportati in altri campi in Italia (Civitella del Tronto e Bagno) e successivamente a Bergen-Belsen e Biberach in Germania e un campo a Innsbrück in Austria.

Eric Salerno è riuscito a parlare con un testimone oculare, il 92enne Khalifa Massoud Eidoudi, che è tra i pochi abitanti di questa località sulla montagna, 240 chilometri a sud di Tripoli, a ricordare quando il "campo Priore", una vecchia caserma italiana, venne trasformata in un campo di detenzione e di lavori forzati per ebrei libici.

Riporto qui uno stralcio dell'articolo di E. S. apparso su Il Messaggero del 7 dicembre 2005, pag. 1:

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Eidoudi, passo svelto, stretta di mano forte, voce sicura come la memoria, racconta. «All'inizio li portarono dalla Cirenaica, li accusavano di complottare con gli inglesi, poi arrivarono anche altri arabi yehudi ». Arabi ebrei, li chiama. A Sidi Aziza, più vicino a Tripoli, i fascisti allestirono un altro campo dedicato soprattutto agli ebrei tripolini. Lavori forzati e maltrattamenti. Trecento di loro furono deportati nella regione di Tobruk per riparare le difese tedesche e italiane contro l'avanzata degli Alleati. Nell'albo delle vittime dell'Olocausto a Yad Vashem, a Gerusalemme, non ci sono molti nomi di ebrei periti nell'Olocausto in Libia. Ne ho trovati una decina, tra cui quello di tale Morthchi Lachmish, nato a Tobruk, data sconosciuta, morto a Giado all'età di 42 anni, nel 1943. La prima generazione di sopravvissuti non ha lasciato molte testimonianze. Tra gli ebrei libici, in Israele e in Italia, si parla di uno strano «senso di vergogna» per i tormenti subiti, e soltanto ora qualcuno comincia ad aprirsi. «In generale gli italiani non erano antisemiti crudeli - spiega uno di loro - ma i due ufficiali comandanti del campo di Giado lo erano». «Soldati italiani e arabi pattugliavano il campo e chi si avvicinava al reticolato veniva fucilato. Ogni giorno ci davano 120 grammi di pane. E una volta la settimana, l'equivalente di cinque grammi di riso al giorno, tre grammi d'olio, tre di salsa di pomodoro, cinque di zucchero e altrettanto di caffè». E ancora: «Dovevamo lavorare dodici ore di seguito, senza alcun riposo. Era chiaro che con quel ritmo e la poca alimentazione, eravamo destinati tutti a morire». Bastonate, torture, sofferenze di ogni genere, riaffiorano dal fondo della memoria. «Erano pronti a ucciderci tutti», sono le parole di un anziano ebreo. Le truppe italiane avevano avuto l'ordine di massacrare i malati, quasi quattrocento. La notizia dell'avvicinarsi dei britannici bloccò l'operazione, i soldati se ne andarono.

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Il campo di Giado oggi non esiste più, a ricordo di questa tristissima vicenda rimane solo il cimitero. C'è quello musulmano e, sulla destra, quello degli ebrei. Racconta ancora Eric Salerno: Non vedo lapidi. Haj Ibrahim - un altro vecchio libico - mi prende per mano e con la sua indica. «La gente moriva nel campo e gli ebrei venivano sepolti qui. Senza grandi cerimonie. Senza lasciare traccia».

Inoltre in questa occasione mi sembra giusto ricordare che sono ancora molti i "campi"italiani sui quali non si è ancora fatta piena luce e che meriterebbero fossero oggetto di studi più approfonditi. Io stessa ho visitato Fossoli, vicino a Modena, campo per lo più di "passaggio", ma vale la pena citare Cairo Montenotte , Castel Sereni, Chiesanuova nel Veneto vicino a Padova, Colfiorito, Ellera, Gonars nel Friuli a ovest di Palmanova (provincia di Udine), Monigo nel Veneto vicino a Treviso, Pietrafitta, Renicci in Toscana vicono ad Anghiari, in provincia di Arezzo, Tavernelle, e Visco nel Friuli. (Informazioni queste ultime per le quali ringrazio lo studioso, Dott. Gennaro Stammati, autore anche di interessanti articoli per il Notiziario della Banca Popolare di Sondrio).

Cristina Cattaneo

• Titolo: «Uccideteli tutti». Libia 1943: gli ebrei nel campo di concentramento fascista di Giado. Una storia italiana

• Autore: Salerno Eric

• Editore: Il Saggiatore

• Data di Pubblicazione: 2008

Cristina Cattaneo
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