Culle sempre più vuote

Continua a diminuire la popolazione: al 1° gennaio 2020 i residenti
ammontano a 60 milioni 317mila, 116mila in meno su base annua.
Aumenta il divario tra nascite e decessi: per 100 persone decedute arrivano
soltanto 67 bambini (dieci anni fa erano 96
).
Positivi ma in rallentamento i flussi migratori netti con l’estero: il saldo
è di +143mila, 32mila in meno rispetto al 2018, frutto di 307mila iscrizioni e
164mila cancellazioni.
Ulteriore rialzo dell’età media: 45,7 anni al 1° gennaio 2020.

85,3 anni la speranza di vita alla nascita per le donne È di 81 anni per gli uomini

La popolazione residente prosegue il suo trend di diminuzione
Alla luce dei primi risultati provvisori, l’anno appena concluso non risulta contrassegnato, per quanto
concerne il quadro demografico nazionale, da significativi cambiamenti, inversioni di tendenza o
improvvisi quanto temporanei shock di periodo. Il 2019 è, infatti, un anno nel quale le tendenze
demografiche risultano da un punto di vista congiunturale in linea con quelle mediamente espresse
negli anni più recenti. Le evidenze documentano ancora una volta bassi livelli fecondità, un regolare
quanto atteso aumento della speranza di vita, cui si accompagna, come ormai di consueto, una vivace
dinamica delle migrazioni internazionali.
Il riflesso di tali andamenti demografici comporta nel complesso un’ulteriore riduzione della popolazione
residente, scesa al 1° gennaio 2020 a 60 milioni 317mila. La popolazione, che risulta ininterrottamente
in calo da cinque anni consecutivi, registra nel 2019 una riduzione pari al -1,9 per mille residenti. La
riduzione si deve al rilevante bilancio negativo della dinamica naturale (nascite-decessi) risultata nel
2019 pari a -212mila unità, solo parzialmente attenuata da un saldo migratorio con l’estero ampiamente
positivo (+143mila). Le ordinarie operazioni di allineamento e revisione delle anagrafi (saldo per altri
motivi) comportano, inoltre, un saldo negativo per 48mila unità. Nel complesso, pertanto, la popolazione
diminuisce di 116mila unità.
In crescita demografica solo alcune regioni del Nord
Il calo della popolazione si concentra prevalentemente nel Mezzogiorno (-6,3 per mille) e in misura
inferiore nel Centro (-2,2 per mille). Al contrario, prosegue il processo di crescita della popolazione nel
Nord (+1,4 per mille).
Lo sviluppo demografico più importante si è registrato nelle Province autonome di Bolzano e Trento,
rispettivamente con tassi di variazione pari a +5 e +3,6 per mille. Rilevante anche l’incremento di
popolazione osservato in Lombardia (+3,4 per mille) ed Emilia-Romagna (+2,8). La Toscana, pur con
un tasso di variazione negativo (-0,5 per mille), è la regione del Centro che contiene maggiormente la
flessione demografica e comunque l’ultima a porsi sopra il livello di variazione medio nazionale (-1,9).
Totalmente contrapposte le condizioni di sviluppo demografico nelle quali versano le singole regioni del
Mezzogiorno, la migliore delle quali – la Sardegna – viaggia nel 2019 a ritmi di variazione della
popolazione pari al -5,3 per mille. Particolarmente critica, infine, la dinamica demografica di Molise e
Basilicata che nel volgere di un solo anno perdono circa l’1% delle rispettive popolazioni.
Il ricambio naturale della popolazione appare sempre più compromesso
Nel 2019 si registra in Italia un saldo naturale pari a -212mila unità, frutto della differenza tra 435mila
nascite e 647mila decessi. Preannunciato dall’antitetica dinamica prospettiva di nascite e decessi
nell’ultimo decennio, si tratta del più basso livello di ricambio naturale mai espresso dal Paese dal 1918.
Ciò comporta che il ricambio per ogni 100 residenti che lasciano per morte sia oggi assicurato da
appena 67 neonati, mentre dieci anni fa risultava pari a 96.

 

L’analisi in serie storica delle nascite pone in evidenza come il dato relativo al 2019, appena 435mila,
risulti il più basso mai riscontrato nel Paese. Per contro, il numero dei decessi, 647mila, pur di poco
inferiore al record riscontrato nel 2017 (649mila), rispecchia in pieno le tendenze da tempo evidenziate.
Nel lungo termine, i guadagni conseguiti di sopravvivenza allargano la base di coloro che vivono molto
più a lungo di un tempo e fino alle età più avanzate dell’esistenza, portando a far crescere il numero
annuale di decessi e accentuando oltremodo, in senso fortemente negativo, il bilancio del saldo
naturale.
Pur nella varietà dei diversi contesti territoriali, più o meno marcati anche in relazione al diverso livello
di invecchiamento, la dinamica naturale è ovunque negativa, eccezion fatta per la Provincia di Bolzano,
l’unica dove il ricambio della popolazione risulta ancora più che in equilibrio (+1,3 per mille residenti).

 

Stabile il numero medio di figli per donna
Nonostante l’ennesimo record negativo di nascite, la fecondità rimane costante al livello espresso nel
2018, ossia 1,29 figli per donna. Ciò in quanto il numero annuale di nascite è vincolato non solo ai livelli
riproduttivi delle madri ma anche alla loro dimensione assoluta e strutturale.
Nell’ultimo biennio, in particolare, tra le donne residenti in età feconda (convenzionalmente di 15-49
anni) si stima una riduzione di circa 180mila unità. In aggiunta a tale fattore va poi richiamato che i tassi
specifici di fecondità per età della madre continuano a mostrare un sostanziale declino nelle età giovanili
(fino a circa 30 anni) e un progressivo rialzo in quelle più anziane (dopo i 30). L’età media al parto ha
toccato i 32,1 anni, anche perché nel frattempo la fecondità espressa dalle donne 35-39enni ha
superato quella delle 25-29enni. Non solo, fanno più figli le donne ultraquarantenni di quanti ne facciano
le giovani sotto i 20 anni di età mentre il divario con le 20-24enni è stato quasi del tutto assorbito.
Rilevante il contributo alla natalità delle immigrate
Circa un quinto delle nascite occorse nel 2019 è da parte di madre straniera. Tra queste, pari a un
totale di 85mila, 63mila sono quelle prodotte con partner straniero (che quindi incrementano il numero
di nati in Italia con cittadinanza estera), 22mila quelle con partner italiano. I nati da cittadine italiane
sono invece 349mila, di cui 341mila con partner connazionale e circa 8mila con partner straniero.
Al pari di quella generale, la natalità risulta in calo per tutte le tipologie di coppia.
Le donne straniere, che usualmente evidenziano un comportamento riproduttivo più marcato e che
sono favorite da una struttura per età più giovane, hanno avuto in media 1,89 figli (contro 1,94 del
2018). Le italiane, dal canto loro, con 1,22 figli sono rimaste all’incirca allo stesso livello dell’anno
precedente (1,21). Nel frattempo, l’età media al parto sale di un ulteriore punto decimale sia per le
straniere sia per le italiane. Le prime, abitualmente precoci, procreano in media intorno ai 29,1 anni di
età. Le italiane, come noto più tardive, hanno come riferimento centrale i 32,6 anni.
Fecondità più alta al Nord
Nel 2019, come ormai da qualche anno, la fecondità più elevata si manifesta nel Nord del Paese
(1,36 figli per donna), ben davanti a quella del Mezzogiorno (1,26) e del Centro (1,25). Il primato della
zona più prolifica spetta alla Provincia di Bolzano con 1,69 figli per donna, che precede Trento con
1,43. A parte queste due specifiche realità del Nord-est, la zona dove la propensione ad avere figli
risulta più alta è nel triangolo Lombardia (1,36), Emilia-Romagna (1,35) e Veneto (1,32), evocando una
discreta correlazione tra intenzioni riproduttive e potenzialità garantite da un maggior sviluppo
economico e sociale di tali regioni.
 

La speranza di vita alla nascita si allunga di un mese
Nel 2019 migliorano le condizioni di sopravvivenza della popolazione e si registra un ulteriore aumento
della speranza di vita alla nascita. A livello nazionale gli uomini sfiorano gli 81 anni, le donne gli 85,3.
Per gli uni come per le altre l’incremento sul 2018 è pari a 0,1 decimi di anno, corrispondente a un mese
di vita in più.
Dopo decenni di costanti e consistenti incrementi è da sottolineare, tuttavia, come la speranza di vita
abbia iniziato a rallentare il suo ritmo di crescita. Il fenomeno è particolarmente accentuato tra le donne.
Basti pensare che il genere femminile impiegò 18 anni, ovvero dal 1972 al 1990, per portarsi da 75 a
oltre 80 anni di speranza di vita alla nascita. Invece, per raggiungere il successivo traguardo degli
85 anni occorse circa un quarto di secolo, dal 1990 al 2014. Venendo poi all’analisi di quanto avvenuto
più di recente, nel solo decennio 2009-2019 le donne conseguono un incremento di sopravvivenza pari
a 1,5 mesi in più all’anno, quando nel decennio precedente, 1999-2009, fu pari a 2,5.
Gli uomini presentano più ampi margini di guadagno in termini di sopravvivenza. Margini, peraltro, che
finora hanno di fatto consentito loro di recuperare parte dello svantaggio sulle donne, oggi pari a 4,3
anni di speranza di vita in meno, contro i circa 7 di 40 anni fa. Tuttavia, anche per gli uomini i ritmi di
crescita appaiono in calo; a fronte di un guadagno medio annuale di circa 3,5 mesi nel decennio
1999-2009, si è passati a 2,5 mesi all’anno nel decennio 2009-2019.

 

 

 

 

 

 

Società