CHI CI SALVERÀ DAI "PURI" DI OGNI RELIGIONE?
Si è da poco conclusa la tragica vicenda di Mumbai con circa 200 morti( perlopiù civili occidentali ed ebrei), mentre quella della Nigeria con 400 vittime( cristiani e musulmani) lascia trasparire un clima di odio e di terrore soprattutto tra gli affiliati religiosi. Sono i cosiddetti "puri" , coloro che vogliono che la loro cultura sia la sola ad essere predominante, la sola a dettar legge, scavalcando i continui sforzi per un dialogo( anche se Benedetto XVI ha onestamente detto che non vi può essere un dialogo- per esempio, tra l'islam e il cristianesimo- altrimenti si rischia di omologarsi, di appiattire la propria fede) di cui non ce n'è traccia nel nostro orizzonte contemporaneo. E fuori da ogni metafora, occorre dire che l'attivismo politico per la dominazione culturale esiste in tutte le principali religioni. Non se ne salva alcuna.
Qualche dato
Negli Stati Uniti gli estremisti cristiani mettono bombe nelle cliniche che praticano l'aborto. In India quelli indù fomentano la violenza contro i musulmani nel Gujarat, proprio come gli estremisti musulmani prendono di mira i cristiani. Il gruppo ebreo Gush Emunim, formato da coloni militanti, si propone di ricreare l'Israele biblica e usa la violenza per espellere i palestinesi. In Algeria il Gruppo Islamico Armato(GIA) minaccia di uccidere coloro che non pregano o le donne che decidono di non indossare il velo. In Giappone la setta Aum Shinrikyo, che si dichiarava legata al Buddhismo, nel 1995 avvelenò i pendolari all'interno della metropolitana di Tokyo. La religione non è neppure l'unica fonte dell'estremismo. Tra le brutalità commesse sulla base dell'appartenenza etnica o della razza vi sono il tentato sterminio degli ebrei da parte dei nazisti in Germania e il massacro dei tutsi condotto dagli hutu in Ruanda. I movimenti per la dominazione culturale hanno in comune alcuni elementi fondamentali: si distinguono per la loro identità culturale - sia essa etnica, razziale o religiosa - e cercano di imporre la loro ideologia con la coercizione o addirittura lo sterminio. Essi credono nella superiorità della loro cultura e rifiutano tutte le altre. In base a tale convinzione operano in modo da imporre la loro ideologia sulle altre e creare una società «pura». Spesso, anche se non sempre, ricorrono alla violenza per raggiungere i loro obiettivi, sono sostenitori della supremazia di un gruppo sugli altri e hanno un atteggiamento predatorio. Sposano un'ideologia che demonizza le altre identità per giustificare la creazione di una patria «pura», sacra e omogenea. Considerano chiunque non appartenga alla comunità principale inferiore, indesiderato e immeritevole di rispetto. Il gruppo Jemaah Islamiyah dà la colpa dei problemi dell'Indonesia ai «kaffir cinesi e cristiani»- questa è la sua giustificazione al tentativo di creare uno stato islamico a spese del secolarismo indonesiano. La National Alliance - la più vasta organizzazione neonazista degli Stati Uniti - vuole dare vita a un nuovo governo «che risponda solo ai bianchi». I movimenti per la dominazione culturale sono esclusivi e tentano di imporre la propria ideologia sulle altre. Si costruiscono un supporto generando negli individui il timore che i loro valori e la loro identità siano minacciati . Uno studio sui partiti estremisti di destra in Europa ne ha rivelato alcune caratteristiche comuni: essi fomentano la xenofobia, stimolando richieste di creare società monoculturali, di escludere gli «stranieri» dalle politiche assistenziali e di forgiare uno stato forte che sia in grado di proteggere la nazione dalle «forze del male»( naturalmente che esistono sempre e solo negli altri). I movimenti per la dominazione culturale, inoltre, prendono di mira anche membri della loro stessa comunità denigrandoli, sopprimendo le opinioni divergenti e mettendone in discussione l'integrità e la lealtà (purezza di fede o patriottismo).Vi possono poi anche essere altre motivazioni. Molti conflitti etnici s'incentrano anche sul potere politico ed economico( che oggi sembra essere il fattore predominante in molti paesi del terzo mondo come la Cina) e in tal caso l'identità etnica è un modo per mobilitare alleanze. Il genocidio ruandese, ad esempio, è stato una manifestazione della lotta per il potere politico ed economico tra i tutsi emarginati sotto il governo dominato dagli hutu, e gli hutu, esclusi durante il dominio coloniale.(Cfr.: Fonte: SATP 2004).
Un'attenzione particolare ai "puri" dell'islam
Rimango stupita che ancora oggi, ci si meraviglia che i "terroristi islamici" siano tanto giovani( la setta Lashkar-e-Toiba implicata nel massacro di Mumbai). Anni fa, dopo l'11 settembre 2001, a livello divulgativo si è tentato di far comprendere il perché tanti giovani delle regioni mediorientali fossero cooptati nella spirale del terrore, accentuando - in modo particolare- il ruolo delle Madrasse: "Esse - scuole islamiche della setta deobandita - diventano centri di raccolta, assistenza ed addestramento politico militare. In questo senso rappresentano un vero elemento innovativo della strategia di penetrazione del fondamentalismo islamico. Il Deobandismo, l'ideologia edificante dei taliban, è una setta sunnita, nata alla metà del XIX secolo nella città indiana di Deoband (da cui il nome) a nord di Delhi. E' caratterizzata dal rigorismo basato sulla lettera delle scritture (simile al wahabbismo saudita) con un'impronta decisamente conservatrice. La struttura della setta si sviluppa attraverso le scuole (madrassa - scuola e taliban - studente) che hanno lo scopo di formare ulema capaci di esprimere fatwa sui diversi aspetti della vita. Inoltre la formazione degli ulema avviene attraverso il sistema convittuale per cui il giovane viene immerso completamente nella madrassa e nella sua socializzazione e sradicato dal suo ambiente sociale. In Afghanistan, dove vi sono stati migliaia di orfani, la prospettiva deobandita ha rappresentato una forma di assistenza e di integrazione sociale.(Da:La mitritadizzazione della guerra, la Gazzetta di Sondrio, 20 marzo 2004). Inoltre è da dire che esiste un legame intrinseco tra islamismo e salafismo, insieme alla differenza fra i due. Il pensiero salafita è radicato nel Corano e nella Sunnah, cioè trova la sua giustificazione ed elabora il suo pensiero e il suo modo di vivere a partire dal Corano e della Sunnah. Il pensiero salafita non è nato all'epoca moderna, ma risale ai primi secoli dell'Islam. Esso è una delle tradizioni interpretative del Corano e della Sunnah. La corrente islamista si appoggia all'interpretazione salafita dell'Islam e la radicalizza, facendone delle applicazioni concrete, con propaganda intensa, presentandosi come l'unica interpretazione autentica dell'Islam. Essa estremizza il salafismo, prescrivendo regole precise che vanno applicate a decine di atti della vita quotidiana. Ad esempio si regola il modo di mangiare o di digiunare, di vestirsi, di pregare con le regole della purezza rituale; si danno indicazioni nelle relazioni del musulmano con gli altri (secondo che si tratta di uomini o di donne, di musulmani o di non-musulmani, ecc.), nella scelta del mestiere e nel modo di condurlo, nell'uso che si fa del denaro e nel modo di metterlo in banca, nel sesso (come e quando si può fare, con chi) come naturalmente nel matrimonio: insomma in una infinità di gesti della vita quotidiana. L'islamismo penetra tutto e alla fine lascia poco spazio alla libertà umana e alle scelte personali.
Una conseguenza caratteristica di questa sua concezione, è il fenomeno sociale ormai invadente delle fatwa. In questo quadro, il fedele musulmano si sente ignorante della sua religione, incapace di discernere il giusto del falso, di scegliere tra il "bene islamico" e il male, e ha paura di divenire un cattivo musulmano come chi lo circonda, proprio perché gli islamisti hanno inculcato nel credente l'idea che lui è l'unico vero musulmano. Allora, per ogni particolare, si rivolge agli ulema, chiedendo una fatwa. Per esempio, in Egitto, il fenomeno è arrivato a un punto estremo: ci sono centinaia di migliaia di fatwa all'anno su tutto e su niente. Le fatwa si fanno tramite telefoni specializzati, oppure per domande dirette ai muftì, o ancora tramite internet, o attraverso la radio e la televisione. La conseguenza è una dipendenza totale della fede e del fedele che impedisce al credente musulmano di riflettere per se stesso e di assumere da adulto la sua vita spirituale e religiosa. Il pensiero islamista forma delle persone che hanno rinunciato al loro diritto a pensare e a giudicare, per seguire ciecamente gli insegnamenti di chi le indottrina. Riduce il credente a un docile seguace, incapace di usare di pensiero critico. Alla fine, questo docile seguace può facilmente diventare anche un terrorista: basta convincerlo che ciò che sta per compiere è un dovere religioso, che piace a Dio e salverà la Comunità (ummah) islamica. Da parte delle società occidentali è necessario difendere i musulmani contro l'islamismo degenerato. Per questo, cedere anche minimamente a qualunque loro richiesta è una regressione che apre a nuovi scenari terroristi. La gente semplice musulmana crede che il terrorismo islamico non è né violenza , né brutalità, ma una ideologia religiosa. Esso è vissuto come un bene, un dovere sacro essendo l'applicazione concreta della volontà divina, espressa con chiarezza in alcuni brani del Corano, in alcune pratiche del Profeta dell'Islam e dei suoi detti. Per gli islamismi e i terroristi, la maggioranza dei musulmani che non la pensano così, sono solo degli ipocriti (munâfiqûn), come le ha definito Dio stesso nel Corano, che non meritano il nome di musulmani. E gli Stati musulmani? Non sono islamici, sono una caricatura dell'Islam: meritano ancora più il termine d'ipocriti, perché hanno copiato le loro costituzioni su quelle occidentali aggiungendo qualche elemento musulmano. Così facendo hanno "ingannato" i loro popoli. Sono peggio ancora degli Stati occidentali e dei governi occidentali che almeno non ingannano i musulmani. Questa "degenerazione" dell'islam è ciò che osserviamo tutti i giorni in tanti Paesi musulmani. I Salafiti algerini, i Talebani afgani non sono che alcune delle forme di questa piovra gigantesca, che non ha solo otto braccia, ma decine: in Pakistan, Somalia, Nord Nigeria, Egitto, Marocco, Arabia Saudita, Iran, Malaysia, Indonesia ... e in Europa. Non intendo affatto essere allarmista. Voglio solo dire che è un movimento tentacolare che si diffonde per natura sua ove trova un terreno propizio, un humus preordinato.
Come affrontare questo immenso pericolo?
Ci sono due modi di considerare il fenomeno terroristico, soprattutto da quando esso ha assunto una dimensione planetaria nella sua versione salafita, incarnata dal modello di Al Qaeda: accordargli un'estrema importanza, giustificata dal suo impatto psicologico, dall'ubiquità e dalla tangibile mobilitazione dei mezzi posti in essere per prevenirlo o fronteggiarlo, e questo è il caso, con varianti significative, in rapporto ai media, di chi popola quegli Stati dalle tendenze contrastanti, per esempio, fra gli Stati Uniti e l'Europa occidentale. Ultimamente l'India , l' Afghanistan ed altri che per gli occidentali, rappresentano la periferia, ma nell'ottica dei regimi interessati ciò costituisce una minaccia che va presa sul serio. Spinti dalla frustrazione e da una rinata volontà di potenza, gli jiandisti( da: Jihad (ǧihād جهاد) è una parola araba che deriva dalla radice <"ǧ-h-d> che significa "esercitare il massimo sforzo" o "combattere". La parola connota un ampio spettro di significati. Usata nel Corano per definire principalmente la lotta interiore spirituale al fine di attingere una perfetta fede, essa viene comunemente confusa con la guerra santa. Durante il periodo della rivelazione coranica, allorché Maometto si trovava alla Mecca, il jihād si riferiva essenzialmente alla lotta non violenta e personale. In seguito al trasferimento (Egira) dalla Mecca a Medina nel 622, e alla fondazione di uno Stato islamico, il Corano (22:39) autorizzò il combattimento difensivo. Il Corano iniziò a incorporare la parola qitāl (combattimento o stato di guerra), e due degli ultimi versi rivelati su questo argomento 9:5, 29 suggeriscono) hanno come programma da una parte la ricostituzione della Umma, comunità dei fedeli, al di là di quelle frontiere createsi in gran parte nel periodo coloniale, dall'altra la restaurazione del califfato. Del resto, essi progettano di ritornare alla purezza, reale o supposta, dell'Islam dei primi secoli. A tal fine, esibiscono un'ostilità dichiarata verso l'Occidente, la Russia (Cecenia), l'India (Kashmir), la Cina (Xin Jiang) e verso l'insieme dei regimi di quei paesi musulmani considerati empi. Questo programma utopistico ha il punto debole di non contenere alcun rimando al problema dello sviluppo economico e di essere fondato soltanto su di un moralismo totalitario, dove le donne sono le principali vittime, al pari degli oppositori. Occorrerebbe inoltre, per impadronirsi del potere, essere in grado di passare da una jihad di gruppi clandestini ad una di massa. Mentre la maggior parte del mondo che si estende dall'India alla Cina s'impegna con successo per assicurarsi un rapido incremento economico, gli jihadisti s'ingegnano, forse senza saperlo, e con la sensazione di vivere un'epopea, a far perdere venti o trent'anni a un mondo musulmano che non avrebbe alcun bisogno di vedere ulteriormente accresciuto il proprio ritardo. La tendenza rappresentata dal terrorismo jihadista possiede la doppia caratteristica di poter durare per almeno una generazione e di trovarsi nell'assoluta incapacità di rimettere in discussione lo status quo mondiale. Quest'ultimo si va trasformando, dalla caduta dell'URSS, in seguito alla sistematica azione di rimescolamento delle carte esercitata dagli Stati Uniti alla periferia di una Russia (Georgia, Ucraina ecc.) che essi vogliono indebolire, e dalla rapida ascesa della Cina. Il fenomeno terroristico è più complesso a concettualizzarsi di quanto non sembri a prima vista. Le interpretazioni ideologiche e la volontà d'introdurvi, quando siano in particolare gli Stati a far uso del termine, una connotazione demonizzante, contribuiscono a confondere le carte. Forse bisognerebbe cominciare ricordando che il terrore serve a terrorizzare. Storicamente, questo era il ruolo della forza organizzata: Stato oppure esercito, almeno quando si trattava di regimi dispotici. È ancora questo il caso dei paesi non democratici. Negli altri, in tempo di guerra, il terrore può essere considerato legittimo, compreso quello contro i civili. In epoca contemporanea, si possono citare i bombardamenti di Coventry, Dresda, Tokyo e l'uso della bomba atomica su Hiroshima e Nagasaki.
Il terrore in nome della religione
Il terrore dei fanatici, è un fenomeno storico ricorrente. Nel giudaismo l'esempio più noto è quello degli Zeloti, chiamati anche Sicari, nel primo secolo. Questa setta assassina contribuì a provocare una ribellione contro l'occupazione romana, la quale portò alla distruzione del secondo Tempio (70 d.C.). Dal canto suo, la setta ismaelita degli Assassini si mise in luce in seno all'Islam. Lungo quasi due secoli (1090-1272) essa praticò l'assassinio politico all'arma bianca contro i dignitari musulmani. Nessuna setta cristiana ha utilizzato il terrore con risultati così clamorosi; ma si possono citare i taboriti di Boemia (XIV sec.) o gli anabattisti (XVI sec.), senza parlare delle derive dell'Inquisizione. Allo stesso modo, i movimenti messianici veicolano il terrore e se ne alimentano. Il messianismo postula che, in un giorno non troppo lontano, il mondo sarà totalmente trasformato da un evento destinato a sancire la fine della storia. Nel Cristianesimo dei primi secoli, la credenza in una prossima fine che segnasse la seconda venuta del Cristo (parusia) è stata frequente. L'idea di «apocalisse» è intimamente legata ai diversi messianismi, e ciò non solo fra le religioni rivelate. Gli Aztechi credevano che quattro soli (quattro mondi) si fossero estinti. Erano spaventati dal terrore di una prossima fine, secondo loro inevitabile: a meno che essi non donassero al sole il sangue dei sacrifici umani. Lo spirito messianico si è mantenuto vivo in seno al giudaismo (il movimento di Sabbattai Zevi nel XVII secolo). Il ritorno alla «Terra promessa» ha prodotto, all'indomani della vittoria nella guerra del 1967, un revival messianico, con la creazione del Gush Emunim, e non è estraneo al dinamismo del movimento di colonizzazione della Giudea e della Samaria (Cisgiordania). In seno al Cristianesimo, il messianismo è oggi manifesto in certe sette protestanti fondamentaliste le cui origini risalgono al XIX secolo. Fra queste, il potente movimento evangelico è particolarmente sensibile alle vittorie di Israele, i cui passi avanti sono, ai suoi occhi, il prerequisito necessario per la parusia. Anche l'Islam conosce movimenti di questo genere, soprattutto in relazione all'attesa venuta del Mahdi (l'equivalente del Messia cristiano). Nello scisma duodecimano (Iran), con l'attesa di un dodicesimo imam, il messianismo è centrale. Benché si tratti di un conflitto politico, gli avvenimenti e gli antagonismi che attualmente alimentano le violente opposizioni fra gli islamisti radicali e gli Stati Uniti, come lo scontro israelo- palestinese, hanno anch'essi una dimensione messianica. Gli antagonismi sono egualmente vivi all'interno delle singole società, come dimostra, per esempio, l'attacco condotto nel 1979 dai sunniti radicali, in maggioranza sauditi, alla Grande Moschea in occasione del pellegrinaggio annuale; oppure, nel 1995, l'assassinio - ad opera di un membro della setta Gush Emunim - di Ytzak Rabin, colpevole di acconsentire all'abbandono della Giudea e della Samaria (Cisgiordania). Il terrorismo religioso è concepito come un atto di carattere trascendentale. Giustificato dalle autorità religiose, offre ogni licenza ai suoi protagonisti, che divengono strumenti del sacro. Il numero delle vittime, la loro identità, non ha più importanza. Non c'è un giudice al di sopra della causa per la quale il terrorista si sacrifica. Gli autori del primo attentato contro il World Trade Center, riuscito solo in parte (1993), avevano prima ottenuto una fatwa dello sceicco Omar Abdel Rahman. Il lettore contemporaneo, è veloce a giudicare il terrorismo islamico. Ricordiamo a tale riguardo che l'Islam lega strettamente problemi teologici e problemi politici. La ragione della sua specificità attiene alla sua genesi. Il capo supremo, era al tempo stesso dirigente religioso e politico. In seguito, questo modello ideale non fu seguito. Si sono costituiti, fino a un certo punto, un apparato politico e uno religioso e giuridico, ma nell'animo dei musulmani l'ideale rimaneva quello di una struttura unica, l'Islam, attraverso il Corano, inteso come religione e organizzazione politica (Dar we Dawla). Le condizioni della nascita della Chiesa sono state differenti. Anche quando nel IV secolo il Cristianesimo diviene la religione dell'Impero, i due apparati, il religioso e il politico, restano distinti, benché per un breve periodo nel Medioevo ci sia stata la tentazione, per la Chiesa, di imporsi sui detentori del potere temporale. Una costante dei movimenti religiosi è quella di frammentarsi in sette. I movimenti scismatici si sono sempre proclamati possessori della vera interpretazione del credo originale. Le correnti settarie che si ricollegano all'islamismo radicale, dopo aver fatto ricorso alla guerriglia, si mettono oggi in luce con azioni di carattere terroristico, nutrendosi di una religiosità interpretata in modo tale da suscitare mobilitazione e impegno al servizio di scopi politici. L'importanza della componente culturale è attualmente in evidenza nei movimenti terroristici di ispirazione religiosa, più ancora che in quelli nazionalistici, o in movimenti che si richiamino in senso stretto a un'ideologia politica. Sono questi i movimenti che fanno più parlare di sé. Hamas e Al Qaeda, in particolare, mescolano le aspirazioni politiche, o pseudo-politiche (la distruzione di Israele o degli Stati Uniti), con una base religiosa che serve anzitutto per il reclutamento, e che si apparenta, in tal modo, ai principi ideologici di altri movimenti. Ricordiamo che il terrorismo degli esordi praticato dai palestinesi era essenzialmente politico e laico, e che uno deviazione religiosa si è operata dopo la rivoluzione iraniana, nel corso degli anni Ottanta.
La nascita dell'islamismo radicale
Nel 1979 l'islamismo radicale, nella sua versione sciita, fa una dirompente apparizione in Iran. Lo stesso anno, la guerra d'Afghanistan, grazie agli Stati Uniti, all'Arabia Saudita e al Pakistan, favorisce la sua ascesa. Tale corrente, alla quale prendono parte elementi venuti per lo più da paesi musulmani, con l'eccezione dell'Africa nera, si rivolge, dopo la ritirata dell'URSS dall'Afghanistan, contro gli Stati Uniti. Fin dalla metà degli anni Novanta, l'ostilità contro gli USA si materializza in una serie di attentati. Quello dell'11 settembre 2001 ne segna l'apice e determina la spedizione punitiva, condotta da Washington, contro il regime dei talebani e contro quanto sia contraddistinto dal marchio di Al Qaeda. Su iniziativa dell'amministrazione Bush( che proprio in questi giorni ha fatto mea culpa dell'inutile guerra condotta in Iraq, con tanti giovani morti per la sua stupidità ), l'Iraq viene accusato di detenere armi di distruzione di massa, di avere legami con Al Qaeda e di rappresentare una minaccia per la pace nel mondo e la sicurezza degli Stati Uniti. La guerra, decisa in modo unilaterale, con l'appoggio quasi esclusivo della Gran Bretagna, condotta in principio contro il terrorismo, dopo la caduta del regime baathista, é stata fonte di difficoltà che il Pentagono non aveva previsto(e neanche il popolo americano e gli europei). Non vi può essere condanna unidirezionale del fenomeno terroristico, a meno che non si condanni ogni violenza, quale essa sia. Bisogna almeno esaminare perché e da chi venga praticato. Come in guerra, e forse ancor più, il terrorismo fa leva sugli stati d'animo e le volontà. Al primo impatto, le democrazie si rivelano singolarmente vulnerabili. Ma se la sfida si fa grave, o radicale, la capacità di far fronte a una strategia come questa, fondata sulla tensione psicologica, si rivela ben più grande nella gente di quanto non lascino presupporre le prime reazioni. In quanto ultima spiaggia, il terrorismo è giustificato: nel mondo attuale, il debole non ha altre armi contro il forte. Nel passato, vi hanno fatto ricorso molti movimenti, in seguito legittimati. Detentori della violenza legale, gli Stati hanno il dovere di difendersi, sono chiamati a farlo. Su di un piano generale, l'uso del terrorismo, come tecnica di pressione da parte di un movimento che abbia un certo spessore sociale, mira a strappare allo Stato delle concessioni e una soluzione negoziale. Nel caso dell'islamismo combattente, la caratteristica peculiare che distingue questo orientamento da tutti i movimenti che lo hanno preceduto è il fatto che non ci sia nulla da rendere oggetto di un negoziato: si tratta in realtà di una lotta fino alla morte. In quanto fenomeno internazionale, il terrorismo è più un notevole fattore di danno che una forza veramente destabilizzatrice, salvo sotto l'aspetto psicologico. Il terrorismo è il prezzo che l'Occidente, e più nello specifico gli Stati Uniti, pagano per la propria egemonia. Con una certa dose di intelligenza politica, occorre cercare di non alimentarlo nell'intento di combatterlo.
Maria de Falco Marotta