L'immagine del piccolo Eylan

Tristezza infinita

Commozione, rabbia, indignazione, sono  i sentimenti  che, assieme a  milioni  di  persone nel  mondo, ho  provato  nel  vedere  il  poliziotto  che ha  raccolto  il  piccolo  bambino morto  sulla  spiaggia  di Bodrum, località  turistica  della Turchia (l'antica Alicarnasso con il Mausoleo considerato allora una delle sette meraviglie del mondo - ndr).
Aylan  era  un  bambino  di  tre anni, proveniva  dalla  città curda  di Cobane ed  era  diretto  all’isola  greca  di  Cos, prima  di  morire  annegato  insieme  alla  mamma  e  al fratellino Galip, di  cinque  anni.  Unico  superstite il  papà,  che  ora ha annunciato  di  voler tornare  nel  suo paese martoriato  dalla guerra, per  seppellire i  suoi  cari.  
La foto  drammatica, pubblicata sulle prime  pagine di  tutti i  giornali,  ha fatto il  giro  del mondo sul  web,  nello  spazio di una  mattina, divenendo simbolo  della  tragedia  dei  migranti   e  dello  sdegno  della  gente di fronte     all’indifferenza della  Comunità Europea verso  questa  strage  silenziosa.
Da ogni  parte  sono giunti  messaggi di  cordoglio per  il bambino  e   la sua famiglia, ma  anche per le  migliaia  di  minori morti in mare.
“Lo  dico  da  padre prima  ancora  che  da capo del  governo ha  dichiarato il premier  Matteo Renzi  in una  conferenza  stampa  col primo ministro di Malta, Joseph Muscat. “L’Europa  non può  perdere  la faccia, ha  aggiunto,”bisogna  recuperare un  ideale  europeo  che non è  di  accogliere  tutti  indiscriminatamente, perché non è  possibile,  ma  del  tentare  di  salvare  tutti  e  questo è un dovere.
Come? dico  io, è  tutto  da  vedere  e  verificare vista  l’inerzia  con cui  si  muove  l’Europa.
Da  parte  sua, Valerio Neri jl  direttore  generale della  onlus  Save  the  Children, ha  dichiarato:  “Aylan, il  bambino  siriano annegato e approdato sulle  coste  turche  e quelli che  sulle  coste  libiche sembrano  dormire  sull’acqua. I bambini  ammassati al  confine ungherese, con  le vite bloccate  da  un  muro e  il  filo  spinato  riflesso  negli occhi. I bambini  “segnati”  dalla guerra da cui scappano e  da un  pennarello  indelebile al  confine  ceco e  macedone. I  bambini  che vengono  allontanati  con i  gas lacrimogeni, nonostante  abbiano  già  pianto  tanto durante  le  loro  giovani vite.  Sono  fotogrammi che  popolano le  pagine  dei  giornali e i  social media,   che animano  il dibattito di oggi.  E’ la  sofferenza  silenziosa dei  tanti  piccoli e  dei loro  genitori che  ogni  giorno  incontriamo  sul  campo, nelle  aree  di  crisi.”
Sono immagini di inaccettabili violazioni  dei  più elementari  diritti dei  bambini  che  riflettono l’inadeguatezza e  il  fallimento degli interventi sino ad oggi messi  in atto  per  rispondere ad una  crisi  umanitaria  di dimensioni  bibliche. “E’ questa,-aggiunge-, la  risposta  che  l’Europa è  riuscita  a  dare  a  chi fugge da  guerre, violenza e  fame,  una risposta  tardiva e inadeguata.”
Infine, padre  Bernardo Cervellera, sulle pagine di  AsiaNews di  cui  è  direttore, scrive: “E’  tempo  che si  dica  basta ai finanziamenti allo  Stato islamico da parte dei governi del  Medio Oriente ; che  si  attui una  pace negoziata  in  Siria e in Yemen, che il  consiglio di  sicurezza  dell’ONU faccia  il  lavoro per cui  è  stato fondato: lavorare  per la pace fra le  nazioni, non per la  supremazia  di uno o dell’altro”.
Se  non c’è  un impegno contro  le cause  di  tutte  le  morti di  bambini  e non solo, in Siria, Iraq e sulle coste  della  Libia, quella  di  piegarsi sul dolore  dei  profughi in Europa rischia  di apparire  come un volersi  nascondere da  responsabilità mondiali.    Ma  intanto  tutto  il  Medio Oriente rischia di  esplodere, producendo  non 200  mila ma 100 milioni  di  profughi. E  se il Medio Oriente esplode , né l’Europa, né tutto il mondo potrebbero  salvare  se stessi.
Alla  paventata  catastrofe di cui sopra occorre  aggiungere il  contenuto di  un rapporto  dell’Unicef. Sono oltre  13 milioni  i  bambini in Medio Oriente  privati  dell’istruzione  a  causa  dei conflitti  che  agitano la  regione, sottolineando che le speranze di  una  intera generazione  vengono schiacciate.
I 13,7  milioni  di  bambini privati del diritto  allo studio, rappresentano circa il 40% dell’intera  popolazione  scolastica  di Siria, Iraq. Yemen, Libia, Giordania,Turchia, territori Palestinesi e Sudan, e l’Unicef teme  che la cifra possa  raggiungere il 50%  entro  pochi mesi. In Siria in modo particolare , una scuola  su  quattro  ha  chiuso i  battenti da marzo 2011 ad oggi, con effetti immediati su oltre  2 milioni  di  bambini studenti.
Nel  rapporto Unicef si  denuncia inoltre che “L’uccisione,  il sequestro, e gli arresti  arbitrari” di educatori e personale  scolastico sono  diventati episodi comuni nella  regione. Per questo motivo miglia di insegnanti sono fuggiti  e  stanno  fuggendo dai  Paesi d’origine.
Riflettiamo  bene prima  di fare critiche gratuite nei confronti  dei migranti e del fatto  che  ci  invadono.
Cosio Valtellino 6 settembre 2015

Valerio Dalle Grave
Società