"CHI HA CUCINATO L'ULTIMA CENA"?GIÀ CHI???
Anch'io, spesso da bambina come Rosalind Miles , mi sono chiesta chi avesse preparato con tanto amore l'agnello pasquale, assieme agli altri cibi prescritti dal rituale della Pasqua ebraica, l'ultima volta( per i cristiani, il giovedì santo) che Gesù mangiò assieme ai suoi discepoli di cui uno- Giuda- poi lo tradì e diede inizio alla storia non irta di spine di quel movimento carismatico ed inarrestabile del cristianesimo tuttora spesso messo sotto processo, specie per le questioni etiche( in Italia, poi!).
Quello che scrive Rosalind Miles
Secondo l'autrice, per secoli, all'inizio dei tempi, sino all'Età del ferro, la donna non era trascinata per i capelli come ci illustrano le famose strip di BC firmate da Hart, ma era adorata e tenuta in gran conto, proprio perché dipendeva da lei la continuazione della specie, e la sopravvivenza quotidiana, tanto che poi si arrivò a venerare la Grande Madre (Alma mater). E' quando la popolazione cresce e le necessità organizzative e soprattutto di procacciamento e utilizzo del cibo si modificano sostanzialmente, passando da familiari a sociali, che pian piano i ruoli si ribaltano e la forza fisica diventa un valore. E poi la vera mutazione avviene per la scrittrice quando ci si rese conto di come avvenisse la riproduzione e del ruolo che vi aveva anche il maschio. E dalla Grande Madre si passa a Priapo, in una specie di rivincita che annulla tutto il passato. Naturalmente, come e' stato fatto, nella storia della nostra cultura, quella occidentale in particolare, la Miles utilizza molto citazioni letterarie antifemministe o di documenti storici sul posto che spetta alla donna, partendo dai classici greci e latini, passando per i grandi libri religiosi o pensatori della chiesa, per arrivare sino ai nostri giorni: ''Perché i maschi sono i maschi, e in nessun luogo ciò e' vero come nell'universo tutto americano del cinema di Hollywood, ma non dimenticando l'Iran degli Ayatollah''. E notevoli sono in particolare le pagine sull'emancipazione femminile, specie nel mondo del lavoro, a partire dal Settecento. Ogni capitolo ha una ricca bibliografia e chiude il volume un indice dei nomi.
(Cfr.: ROSALIND MILES, Chi ha cucinato l'Ultima Cena? , Elliot, pp. 446 - 18,50 euro)
Chi è Rosalind Miles
Rosalind Miles é scrittrice e autrice di programmi divulgativi per la Bbc, che dice di essersi chiesta, sin da bambina, chi avesse mai cucinato l'Ultima Cena. Certo non un uomo, che altrimenti sarebbe stato fatto santo con un suo devoto seguito di chef. E' molto schiva ed è una studiosa della storia, fin dalla sua infanzia in Inghilterra. All'età di quattro anni riuscì a salvarsi dalla polio dopo avere passato molti mesi in un polmone di ferro. I suoi primi ricordi sono connessi a questo tempo trascorso tra strumenti medici ed isolamento meccanico Vedeva la faccia di sua madre attraverso il vetro. Grazie anche ai medici, conquistò una salute robusta e le fu permesso di errare liberamente in un grande terreno boscoso vicino la sua casa nel Warwickshire di Shakespeare. Questo terreno boscoso era una volta un parco di caccia medievale, mantenuto poi dalla Corona. Il legno era il paradiso di Arcadia per lei bambina che vagò i sette laghi del parco e le varie foreste dall'alba all'imbrunire. Questo parco le offrì la sicurezza ed una libertà rara, generalmente negata ai bambini, allevati nel mondo caotico che ci circonda. Rosalind era nata in una famiglia dove le storie e i libri erano un tesoro. Erano tre figli, ma lei divise una stanza con una sorella, che aveva l'abitudine di raccontarle una storia prima di andare a letto a dormire. Era una specie di variante delle Mille e una Notte . Ciò influì non poco sul suo modo di pensare e poi di scrivere. Infatti, all'età di dieci anni cominciò a registrare per iscritto queste storie e gli altri pensieri, un'abitudine che mai ha più abbandonato da allora. Il suo libro, tradotto in molte lingue del mondo, compreso il cinese, ha il merito di aver indotto di nuovo le donne, anche quelle occidentali, a riflettere sulla loro storia e di come sono oggi arrivate ad alti posti di prestigio.
Storia femminile del mondo.
La storia dell'umanità è iniziata con la donna. In principio, era lei la sostenitrice divina, depositaria del cromosoma originale, esperta nella coltivazione della terra, capace di leggere i cicli lunari e di costruire la casa per la propria famiglia. Per millenni ha gestito il potere, ucciso, nutrito esseri umani e animali, si è presa cura dei vivi e dei morti. Ma di ciò difficilmente abbiamo finora sentito parlare perchè generazioni di storici, archeologi, antropologi e biologi hanno sempre posto l'uomo come principale Forza Motrice dello sviluppo umano: l'Uomo Cacciatore, l'Uomo Fabbricatore di Utensili, l'Uomo Signore della Creazione. Ora, grazie al libro della Miles, possiamo leggere una Storia Nuova del mondo, che rimette nella giusta prospettiva la presenza e il contributo della Donna, di tutte le Donne, all'evoluzione della nostra specie.
Senza ideologismi e polemiche, con linguaggio serrato e pieno di umorismo, il documentatissimo saggio coinvolge il lettore in un viaggio nel tempo alla scoperta di fatti mai narrati, di episodi volutamente esagerati, di verità drammatiche e miti ingannevoli, fino a riscoprire il ruolo centrale della donna come artefice ineludibile nel progresso della tecnologia, nella religione, nella guerra e nella pace.
Molti di noi hanno assistito, sconvolti, al dilagare dei "fast food( polpette, patate fritte e coca-cola) distribuiti in tavole sempre più numerose, dilaganti nei centri delle città e dei borghi. Sale al neon che, sostituendo librerie, gallerie d'arte, botteghe artigiane, propongono un nuovo stile di nutrizione. Appunto lo stile "fast food".
Qualcosa di simile conoscevamo anche noi, e i nostri padri e i padri dei padri. La ciriola imbottita di cicoria, a Roma, è stata attraverso i tempi il "fast food" dei muratori. La "schiscetta" piena di minestrone, nelle officine lombarde, era certo il "fast food" degli operai prima che esistessero le mense aziendali. E quando stava nascendo a Taranto il quarto Centro siderurgico, molti manovali morti nei cantieri avevano nello stomaco solo pane e olive.
Mentre molti di noi non si davano pace su questo veloce modo di assumere cibo, ecco che arriva il "Gambero Rosso" ad annunciare la nascita dello "slow food": che in italiano significa cibo lento, lento mangiare, in provocatoria contrapposizione alla frenetica moda del "fast food".
Il Gambero Rosso che non è l'osteria dove malauguratamente si fermò Pinocchio, ma un elegante supplemento del Manifesto, ci comunicò che in ben trenta capitali del mondo era nato il movimento internazionale dello "slow food", con un progetto che ha come base la riscoperta del piacere del cibo, della saggezza del vivere, del rispetto della cultura del territorio, a cominciare dalla cultura materiale delle sue genti. Slow food, dunque, contrapposto, anche culturalmente, a fast food. Slow food come rifiuto di un certo stile di vita, come riscoperta di radici. Perché nel cibo e nel ritmo dei cibarsi noi abbiamo almeno una parte delle nostre radici. Cibo lento, cibo come ricerca di radici, come cultura, come rito. E non c'è giornale o rivista che vi dedichi intere pagine. Se ci rifacciamo al passato, non possiamo fare a meno di richiamare le nozze di Cana, ad esempio. Gesù interviene, a un certo punto del banchetto, e dice alla madre: "non c'è abbastanza vino". E si dice che l'acqua fu trasformata in vino: probabilmente perché il pasto potesse continuare allegramente e senza fretta.
Come dimenticare - poi- il grande pranzo che apre la saga del Buddenbroock? Thomas Mann narra l'ascesa e il declino di una famiglia di ricchi mercanti dell'Ottocento, e in quel pranzo che dà l'avvio alla storia, e che deve celebrare le fortune della famiglia, ci sono già tutti i segni della decadenza. Perché tanti sentimenti erano intorno a quel tavolo, tranne forse l'amore. Compreso quello confidente e paziente per il cibo.
Un racconto di Karen Blixen, famoso anche per un film di successo, è incentrato su una cena ("Il pranzo di Babette"). E tutta la cronaca mette in risalto l'importanza del cibo in quella cena, nonostante che nessuno dei commensali parli di Cibo, malgrado sappiano valutarne la raffinatezza. La storia si svolge in Norvegia, in un piccolo paese arroccato su un fiordo: Beverlaag, dove vivono due anziane sorelle, figlie del pastore protestante ormai morto da molti anni. Un giorno arriva a Beverlaag Babette Hersant, sfuggita alla repressione della Comune di Parigi nella quale sono stati fucilati suo marito e suo figlio. Karen Blixen racconta la storia del rapporto fra le due sorelle e Babette, fino allo snodo della vicenda. A quando Babette, che ha vinto del denaro in una antica lotteria, chiede di poter preparare una cena francese in onore del centesimo anniversario della nascita del pastore. Tutti gli abitanti del paese sono invitati alla cena: è gente semplice, abituata a mangiare stoccafisso e zuppa di birra, gente che considera peccato indulgere ai piaceri, compreso quello del cibo. La cena si svolge in una perfetta sequenza di cibi e di vini. E i convitati "si sentivano alleggerire di peso e di cuore più mangiavano e bevevano". E' il trionfo di Babette, e anche, se volete, dello "slow food". Babette non ha cucinato la sua costosissima e laboriosissima cena francese per sfamare una decina di vecchi inaspriti, e i vecchi del paese non sono lì per la cena, ma solo per onorare la memoria del loro decano. La giovane donna ha cucinato per amore del cibo, nel quale ha le sue radici. Infatti, prima di fuggire da Parigi, era grand chef del più famoso ristorante parigino. Considerata, nonostante fosse donna, e la sola donna chef, il più grande genio culinario del suo tempo. Una donna, dicevano i suoi avventori, "che sapeva trasformare un pranzo in una specie di avventura amorosa".
Alla fine di questo straordinario "slow food", i vecchi ospiti sono felici, gli ostili fanno pace, i nemici si vogliono bene. E, come dicono le due anziane sorelle, "le stelle sono venute più vicino". Come a confermare il significato rituale del cibo assaporato in compagnia, una maniera di mangiare che non tollera la fretta. Come generalmente non tollera fretta mangiare cibi preparati lentamente, che richiedono cura e attenzione, che in qualche caso coinvolgono un gruppo. Come, ad esempio, lo zighinì che si prepara fra le capanne di un villaggio all'interno della Guinea. Ore di lavoro per tagliare in piccolissimi pezzi bue e montone e verdure. Altre ore per mescolare le salse e controllare il fuoco di sterpi. Tutte le donne del villaggio si avvicendano in questo lavoro, fino al momento in cui, arrivata la sera, ci si siede per terra, in circolo, intorno alla grande ciotola comune dalla quale si attinge con piccoli pezzi di una sottilissima focaccia. Noi diciamo qualche volta, di chi non sa stare a tavola o di chi giudichiamo selvaggio, che "mangia con le mani". Ma il mangiare con le mani, può avere il ritmo affascinante di una preghiera.
In Africa, come nei paesi orientali, non esiste quella che noi definiamo "abbuffata", scorpacciata. Non solo per ragioni economiche. Si può immaginare una cena cinese dove il tavolo è una tavolozza sulla quale ogni scodellina porta un colore, e dove le bacchette consentono di assaporare piccolissime quantità di cibo, quindi senza problemi di orologio.
E a proposito di orologio: una volta l'orario dei pasti era una regola da non mettere in discussione. Occorrevano buone o gravi ragioni per ritardare o mancare all'ora di pranzo o di cena. Ora la regola vale sempre meno, e gli orari dei posti sono spesso segnati da individuali tonfi dello sportello del frigorifero, dal ronzio del frullatore, dallo sfrigolio del forno a microonde. Ma c'è ancora, la domenica, in molte famiglie, la tradizione di riunirsi. Con la pastasciutta, l'arrosto e l'insalata e il dolce: che sono qualcosa in più di un cibo, sono un modo per stare insieme. E stare insieme significa non avere fretta. Anche perché non si possono mangiare in fretta quei cibi che sono stati preparati con cura e con lentezza: dal pesto alla genovese, tanto basilico pestato nel mortaio di marmo, al ragù napoletano che, Eduardo insegna, deve cuocere per ore, ed è prova di affetto cucinarlo bene, alle orecchiette pugliesi, quelle piccole forme di pasta dove la mano lascia l'impronta della sua umanità scavandole col dito, una per una. E, ancora, i tortellini che le donne emiliane arrotolano diligentemente alla vigilia delle feste, e si dice ripropongano la forma dell'ombelico di Venere.
Ho scritto "le donne": ma spesso sono gli uomini, a gestire la preparazione dei piatti per le occasioni importanti. Mio padre era bravissimo a pulire il pesce che ogni domenica andava a "recuperare" da qualche suo amico pescatore sulla spiaggia, poco lontana dalla nostra casa.
Non avevamo il gas, si cucinava con il carbone, e in fondo alla cucina c'era il riverbero della fiamma sulla grande padella dove la mamma friggeva- controllata a vista- quei pesci che sapevano tanto di mare blu pulito e profumato. Ci si sedeva a tavola, tutti insieme, con piatti, posate, bicchieri e tovaglioli. E si mangiava adagio, parlando fra noi di come stavano andando le cose in famiglia e nel grande, terribile mondo di fuori. E questo rito, poi, si ripeteva nelle grandi Feste: onomastici, compleanni, Natale, Pasqua.
Sarebbe bello, bellissimo che ogni famiglia ritrovasse il clima affettuoso e amoroso di quei pranzi dell'infanzia e che ciascuno si ricordasse della mamma e delle mamme che- nel silenzio delle proprie case e con tanta fatica in cucina- cercano ancora oggi di tenere il loro insieme familiare, unito attraverso il legame saporito del cibo, alla storia dell'umanità che avanza- sebbene tra lampi oscuri- verso il futuro e verso Dio che ci riunirà tutti in un grande Banchetto come così spesso è narrato nei Vangeli.
Maria de Falco Marotta