LA RUSSIA È UNA SEVERA MAESTRA: ATTO QUARTO
Molti degli amici che mi leggono sanno che dal 2006 mi sono appassionato alla Russia, collezionando in circa due anni qualcosa come oltre 130 giorni di permanenza in quella Federazione.
Pochi, pochissimi per comprendere a fondo la realtà del Paese più grande del mondo ma pur sempre qualcosa per entrare in contatto con aspetti di quelle terre, ancor oggi pressoché ignote alla gran massa degli italiani.
Anche perché l'italica letteratura, generalmente molto "vicina" alle posizioni di sinistra, non ha ancora completamente digerito i cambiamenti in atto in Russia, così come le scomode notizie che ci giungono da Mosca e dal resto di quel territorio su molte realtà sovietiche sinora ignorate.
In questi giorni nel nostro paese si ricorda l'olocausto ebraico con grandi manifestazioni, spettacoli e programmi televisivi. Non nego di essere talora un poco perplesso di come su questo argomento si parli in modo costante e continuo, mentre su altri olocausti -non meno duri e selvaggi- il silenzio domini.
Su questa stessa testata, non senza sollevare qualche polemica, ho indicato l'olocausto armeno che solo oggi viene a galla e di cui si parla finalmente anche e soprattutto in seguito al suo mancato riconoscimento da parte della Turchia. Se la Turchia non avesse fatto domanda di ingresso nella EU, certo l'interesse per quella strage sarebbe inferiore.
E non citiamo neppure altri genocidi come quello perpetrato da Stalin nell'Ucraina centro orientale, ove milioni di contadini furono fatti letteralmente morire di fame.
Concordo pienamente con quanto scrive l'ormai celeberrima guida turistica Lonely Planet, probabilmente oggi in questo campo la serie più nota al mondo, quando parlando degli spaventosi campi di deportazione di Magadan e Kolymà -nell'allora oriente sovietico- afferma a chiare lettere che questi orrori "aspettano ancora" un film come Schindler's list.
Ma cosa a che vedere tutto ciò con la Yakutia?
Per i lettori distratti ricordiamo che la Yakutia, oggi ufficialmente Repubblica di Saha, è una delle entità autonome della Federazione russa, anzi ne è la maggiore. Basti pensare che la sua estensione è di ben 3.100.000 km quadrati, cioè poco meno dell'India. Ma se l'India ha oltre 1.100.000.000 di abitanti, la Yakutia ne ha solo 1.000.000!
Ma questa scarsa densità è abbondantemente compensata da una incredibile ricchezza del sottosuolo: oggi la Russia è al quarto posto nella produzione dei diamanti al mondo. Ebbene il 90% viene dalla Yakutia che offre pure enormi quantità di oro, carbone, petrolio e altre pietre preziose. Chi non è impiegato nelle attività estrattive, sfrutta le immense risorse forestali od alleva animali da pelliccia, renne e cavalli yakuti.
Noi siamo andati in Yakutia, in gennaio, per raggiungere il Polo del Freddo, un altipiano con un paio di Comuni, forse 3000 residenti in tutto, ove si registrano le più basse temperature del globo in luogo abitato. Siamo stati fortunati: giunti a Yakutsk con "solo" - 43°, durante il viaggio verso Tomtor, uno dei due centri del Polo, il termometro era ormai sceso a - 55°. E poi, ben due giorni a - 66° ! Un vero record, a quanto pare, invidiatoci persino da molti yakuti.
Bisogna dirlo, eravamo ben attrezzati ed adeguatamente preparati; i nostri accompagnatori vegliavano su di noi ma il diavolo non era brutto come lo si dipingeva!
Ma tutto ciò che c'entra con quanto può insegnarci la Russia?
Ad Oymyakon, che tradizionalmente è considerata la capitale del freddo, leggiamo una sorta di "libro degli ospiti" e ad Alessandro Vitale, uno del nostro gruppo e gran studioso della realtà russa, non sfugge che, alla metà degli anni '50, qui fosse giunto, certo ben sponsorizzato dal Partito, Giuseppe Boffa, scrittore comunista e giornalista dell'Unità. Scrisse di questa spedizione un lunghissimo articolo che fu puntualmente tradotto in russo; ne abbiamo sotto gli occhi le pagine. Ebbene la strada che si percorre da Jakutsk a Oymyakon e di qui a Magadan sul Pacifico, oltre 2000 km di boschi, fiumi, montagne, paludi fu costruita da centinaia di migliaia degli ospiti dei gulag staliniani. Oggi è tragicamente indicata come "Strada delle Ossa"e i deportati sono ricordati da una sala del Museo di Tomtor e da un' isolata baracca a pochi metri dalla strada, in un deserto paesaggio di montagna. Ma a metà degli anni cinquanta, a breve distanza dalla morte del tiranno georgiano, è difficile credere che il nostro giornalista fosse giunto sin qui senza nulla sapere e senza nulla vedere. E neppure senza chiedersi chi mai avesse aperto un simile tracciato. Ma, quasi inutile rammentarlo, nel suo articolo non si trova traccia di questa immane tragedia.
Che tragedia fu: i nemici dello stato proletario venivano arrestati casa per casa e perfino rastrellati per le strade, in base a semplici sospetti o addirittura ad abiti "troppo borghesi". Accatastati in carri bestiame, in condizioni di vita non certo migliore da quelle imposte dalle SS ai deportati ebraici, si facevano un viaggetto sino a Vladivostok o dintorni. Per intenderci 8 o 9000 km. Qui, quelli
giunti vivi, venivano nuovamente accatastati nelle stive di navi che li sbarcavano a Magadan. Quando li sbarcavano, che in un caso una rivolta fu sedata con getti d'acqua e la nave sbarcò 3000 cadaveri congelati. In un altro caso la nave, presa dai ghiacci, giunse alla primavera successiva con altri 3000 cadaveri morti di fame e di freddo. Da Magadan si partiva a piedi per i cantieri sovente lontani centinaia e centinaia di km ove, con pochissimo cibo, un freddo terribile e spesso maltrattati dalle guardie, si era fortunati (o sfortunati) se si resisteva qualche anno. Solo pochissimi, che per qualche ragione venivano addetti alle infermerie, ai comandi, ai magazzini o che avevano eccezionali caratteristiche fisiche, riuscivano a sopravvivere.
Come sappiamo la distruzione di massa operata da Stalin sui resti della borghesia pre-sovietica, sui contadini "ricchi", nello stesso apparato militare sovietico, nei quadri del partito, nelle minoranze non russe, tra gli ecclesiastici e tra cento gruppi ancora, eliminò -a seconda delle stime degli stessi storici russi- dai 10 ai 20.000.000 di persone solo negli anni trenta. Ma il nostro Boffa descrive solo le luminose opere del regime sovietico, senza scorgere nessun segno di tutto il resto.
E' credibile tutto ciò? Francamente credo di no. Parafrasando un motto di moda durante Mani Pulite non poteva non vedere.
Ma il nostro scrittore è in buona compagnia.
Durante le purghe staliniane Togliatti viveva a Mosca. Era anzi uno dei massimi collaboratori stranieri di Stalin. Tra loro la strage fu spietata; basti pensare al rivoluzionario ungherese Bela Kun e ai tanti altri (compresi molti italiani) che furono freddamente fucilati come trotskisti, deviazionisti, borghesi, traditori, ecc. Il gruppo degli esuli italiani attorno a Togliatti gradatamente calava di numero. Oggi sappiamo, da alcune testimonianze rese dagli stessi familiari, che la polizia politica di Stalin giungeva di notte, facendoli sparire poi di fronte a plotoni di esecuzione o in qualche gulag.
Togliatti passò indenne in questa bufera.
Sin qui nulla da obiettare: lo spirito di conservazione umano talora è più forte dei sentimenti. Ma quando Togliatti tornò in Italia, non una parola di questi orrori fu pubblicata. Quando il dittatore georgiano morì, l'Unità (e a dire il vero pure l'Avanti) ne tessero le lodi sperticate come del più grande amico del popolo.
E Togliatti taceva. E continuò a tacere su questi crimini di cui non poteva aver avuto almeno notizia, sinché i russi stessi a metà degli anni cinquanta denunciarono le violenze staliniane. Solo allora il PCI, adeguandosi al nuovo vento che spirava da Mosca, ammise ciò che era avvenuto.
Ma nessuno della sinistra, salvo qualche intellettuale e pochi altri, si sognò mai di chiedere a Togliatti dove fosse e cosa facesse quando succedeva tutto questo. E perché, rientrato in Italia, non avesse denunciato le orrende mostruosità staliniane.
Credo che l'uomo politico Togliatti valesse a dir poco una dozzina degli attuali "politici" italici. Inutile dire che sarebbe assurdo addebitare agli attuali eredi del PCI una qualsivoglia responsabilità in quei genocidi. Molti di loro sono sicuramente passati a una visione social-democratica della realtà e dell'economia lontanissima dal governo staliniano.
Ma dalla Russia d'oggi, dalla "Strada delle Ossa" che collega Jakutsk a Magadan giunge un invito, specie alla cultura di sinistra, a rivedere coraggiosamente senza pregiudizi la propria storia.
Nemo Canetta