FAMIGLIA, UN TENACE FIL ROUGE TRA LE CIVILTÀ. E I DICO?
Più della metà degli italiani è convinta che "il matrimonio non è un'istituzione superata"; altrettanti considerano la convivenza una valida possibilità di vivere in coppia (dati Istat). Mai come in questi ultimi tempi, si sono accese tante polemiche sulla famiglia provocate dai DICO - il riconoscimento delle unioni di fatto approvato dal governo –. Come era prevedibile (e per molti legittimo) contro il disegno di legge Bindi- Pollastrini la Chiesa cattolica è scesa in campo. Anzi, in piazza, il 12 maggio con il Family Day, una manifestazione a difesa dei "valori della famiglia" che i promotori considerano minacciati dalla legge sulle unioni civili. Ma perché la normativa sulle "dichiarazioni di convivenza", i DICO appunto, spaventa tanto una parte dell'opinione pubblica? E perché lo Stato sente il bisogno di disciplinare una forma "soft" di matrimonio civile? Per rispondere a queste domande occorre capire nel dettaglio che cosa prevede la nuova legge.
Quattordici articoli in quattro pagine disciplinano i "diritti e i doveri delle persone stabilmente conviventi", dall'ambito di applicazione alle esclusioni, fino alle sanzioni e ai diritti successori. E' il ddl approvato ultimamente dal Consiglio dei ministri, che introduce in Italia i DICO: i diritti dei conviventi, nuovo istituto dell'ordinamento civile del nostro Paese. E prima possibilità per le coppie gay di vedersi riconosciuti diritti in virtù del loro legame affettivo.
I SOGGETTI DEI DICO
I DICO - si legge nel testo approvato dal Consiglio dei Ministri - possono essere stipulati solo da "due persone maggiorenni e capaci, anche dello stesso sesso, unite da reciproci vincoli affettivi, che convivono stabilmente e si prestano assistenza e solidarietà materiale e morale, non legate da vincoli di matrimonio, parentela in linea retta entro il secondo grado, affinità in linea retta entro il secondo grado, adozione, affiliazione, tutela, curatela o amministrazione di sostegno, sono titolari dei diritti, dei doveri e delle facoltà stabiliti dalla presente legge".
Che cosa, allora, ha allarmato la Chiesa e molti laici?
Il fatto che venivano riconosciuti alle coppie omosessuali gli stessi diritti dell’uomo e della donna uniti in matrimonio. Qui non si tratta più di diritti personali su cui non si discute, ma di un’istituzione sociale che è esistita nel tempo e che anche tra i popoli etnici ha un certo valore. L’idea che la famiglia sia una creazione del cristianesimo è una vecchia tesi dell'Ottocento, sostenuta dagli studiosi di quel tempo con molta fantasia e poche o nulle informazioni scientifiche. La scopriamo in Marx e in tanti altri pensatori. Le scienze sociali dell'ultimo secolo hanno constatato che non c'è società senza famiglia, e che la famiglia non è soggetta a leggi evoluzionistiche lineari, in qualsivoglia direzione.( Cfr. Pierpaolo Donati, Manuale di sociologia della famiglia,Laterza, Bari 2006, pp. 296, euro 24,00). Il sociologo afferma che «Il fatto storico della famiglia è documentato sin dalla notte dei tempi., dalle tombe sepolcrali dove venivano riposte un uomo e un donna, e magari i figli. A livello scientifico, esiste un archivio etno- antropologico presso l'università della California che ha schedato le informazioni empiriche relative a quasi tutte le società conosciute, da quelle primitive sino al Novecento. Il risultato delle analisi condotte è che la famiglia - concepita come unione stabile di un uomo, una donna e i loro figli (così la definisce l'antropologo francese Claude Lévi-Strauss) - è presente in tutte le società, ovviamente con delle variazioni dovute a fattori culturali e ambientali. Si ha notizia di due sole tribù in cui non si riscontra la famiglia nucleare, ma esse sono scomparse proprio perché non avevano una struttura familiare capace di rigenerare la società».
Invece la civiltà occidentale sembra voler rinnegare oggi uno dei suoi pilastri come la famiglia. Ma non è da oggi, da almeno due secoli la famiglia è oggetto di teorie che sostengono che essa è un retaggio del passato, una necessità strumentale delle economie arcaiche. Però oggi l'attacco è più forte perché la società contemporanea tenta un esperimento inedito, quello di liberare l'individuo da tutti i legami sociali, pensando che le persone possano vivere più libere e felici. La società postmoderna vuole vaccinare gli individui dalla famiglia. Questo sogno, che in passato è stato tentato su piccola scala, oggi guida la globalizzazione occidentale, spinto in avanti soprattutto da enormi interessi economici. Oggi più che mai la famiglia è una realtà "naturale", se con questo termine non si intende una cosa fissa, scritta sulla pietra, ma il senso profondo di una relazione fra i sessi e fra le generazioni che costituisce il momento in cui la natura si fa cultura. Il punto è che il diritto naturale deve essere sviluppato su basi culturali appropriate, che oggi mancano perché si preferisce pensare che la famiglia sia solo una costruzione artificiale, che ciascuno può scegliere e fare a piacimento. Un grande inganno, come sanno tutti coloro che fanno questo esperimento(Cfr. Pierpaolo Donati, Manuale di sociologia della famiglia, Laterza, Bari 2006). Dal Seicento ad oggi, a partire da alcune correnti del mondo protestante insediato nel Nord America, si è sostenuto che, poiché il Vangelo dice che in cielo non ci saranno né mariti né mogli, tanto vale abolire il matrimonio già su questa terra. Nel Novecento, il tentativo più grandioso di eliminare il matrimonio è stato fatto nell'Unione Sovietica dopo la rivoluzione del 1917. Nello stesso periodo storico qualcosa di simile è stato tentato nei Kibbutz in Israele. È risaputo che questi tentativi sono falliti. La connessione fra matrimonio e famiglia è riemersa ovunque. Oggi la novità viene dalle società che hanno un welfare più avanzato (come nei Paesi scandinavi), dove sembra che il matrimonio non abbia più valore. In Italia, la pressione più forte sul governo affinché mantenga la legge sui Pacs proviene dalle associazioni omosessuali: perché? E’ quella di rendere il matrimonio indifferente all'identità sessuale. Il principio che viene invocato è il seguente: il matrimonio è un bene del quale tutti debbono disporre con uguali opportunità, a prescindere dall'identità sessuale personale. Si invoca questo principio di uguaglianza per evitare "discriminazioni" verso gli omosessuali: ma qui c'è un grande equivoco, perché un conto è discriminare,quando si trattano diversamente cose uguali e un conto è trattare e rispettare ciascuno per quello che è (i sessi sono differenti). Se si afferma il principio per cui la differenza sessuale non ha più né senso né valore, si arriva a quanto proprio oggi propongono alcuni disegni di legge regionali in Italia, i quali prevedono che ogni individuo possa stabilire e dichiarare alla pubblica amministrazione la propria identità sessuale a piacimento. Ma se le persone cambiano identità sessuale a piacimento, in quale mondo vivranno? Chi si troveranno di fronte? E perché chiedono il matrimonio? Perché vogliono sentirsi uguali agli altri. Se si ragiona sulla uguaglianza dei diritti si sbaglia strada. Bisogna guardare alla natura della relazione, che è diversa. L'omosessualità potrà essere una relazione di affetto, amicizia, aiuto reciproco e altre cose ancora, ma non è per sua natura sponsale. È un altro tipo di relazione. A difesa della famiglia c'è un'inedita alleanza tra cattolici e intellettuali laici. Che frutti potrà dare?
«I frutti che vedo possibili sono quelli di una nuova razionalità capace di offrire delle ragioni nuovamente illuminanti sul senso della vita umana quando le vecchie ragioni non tengono più. Una ragione post-illuministica che trova il suo significato in esperienze e pratiche di vita capaci di vedere che la sponsalità e la genitorialità sono le prime, più originarie e più fondamentali ragioni di vita per la persona. Non dimentichiamo che il valore della famiglia è e rimane al primo posto in tutte le nazioni, anche in quelle dell'Unione Europea. E non dimentichiamo che la società ha bisogno del matrimonio non per opprimere le donne e i bambini, le persone socialmente deboli, ma per dare loro una migliore tutela. L’auspicio é che i problemi sul tappeto possano trovare risposte in una legislazione di ampio respiro che non si fermi ai problemi settoriali, ma rilanci la famiglia mentre riconosca quei diritti individuali di chi persegue, in altre formazioni sociali, non già dei meri desideri privati, ma dei beni meritori degni di essere tutelati dalla intera comunità politica(Cfr.: Pierpaolo Donati, Manuale di sociologia della famiglia, Laterza, Bari 2006).
E questo sono teorie politiche di cui tutti si adontano: laici e cattolici. Si tralascia, in questo scontro che trovo riDICOlo il fatto più importante: quello economico. Nella nostra società quale tutela esiste realmente per le giovani coppie che vogliono fortissimamente una famiglia?
Zero, direi. Senza possibilità di essere smentita. So, per esempio, che persino nelle regioni a statuto speciale(Val d’Aosta, Trentino- Alto Adige…), non vi sono contributi particolari per agevolare nelle strutture pubbliche( a volte del tutto inesistenti) l’esistenza di asilo- nido, dove la madre lavoratrice che vuole conservare il suo piccolo lavoro, possa lasciare in mani esperte il suo bambino/a.
Da qui il dramma: come fare, se non si hanno altre possibilità economiche? Rinunciare al proprio lavoro, costato magari anni di studio e di specializzazioni costose, oppure pagare l’intero stipendio percepito per il mantenimento del proprio figlio/a al nido? Molte mamme optano per sacrificare tutto il loro guadagno pur di poter mantenere il loro lavoro. Così una vita che si prospettava ricca di affetti, diventa un rincorrere giorno dopo giorno, la banalità quotidiana di combinare il pranzo con la cena( per fortuna, oggi molte giovani mamme per mantenersi “stylyng” non pesano sulla bilancia dell’economia domestica: che tristezza).
Signori e signore che vi accapigliate su principi su cui nessuno vuole discutere, battetevi se potete, sulle strutture pubbliche che lo Stato deve offrire alle famiglie, cioè dove vi sono uomini e donne che hanno bambini da allevare e dove poter lasciare con serenità, senza dover sempre rincorrere l’euro per pareggiare il loro magro bilancio mensile.
E’ inutile, poi, sconsolarsi se poi nel nostro Paese non nascono più bambini/e.
E per precisare, senza offendere alcuno desideriamo che sia chiaro che:
1) é confermato dai più recenti studi psicologici, che mettono in luce come la dualità corporea si accompagni e si esprima necessariamente in una dualità di codici simbolici:
Maschile è ciò che ha la caratteristica del penetrare, di una forza che rompe la circolarità, di ciò che dà impulso, di ciò che spinge a focalizzarsi su un preciso oggetto e solo secondariamente sulle sue connessioni con il resto del reale; richiama uno stile di pensiero più attento all’essenza dell’oggetto che alle sue relazioni, è legato a modalità di azione improntate ad un uso mirato della forza (fisica o intellettuale), all’avventurosità audace, alla competitività.
Femminile è ciò che ha la caratteristica di avvolgere, di prendersi cura dell’oggetto nelle sue relazioni con il resto del mondo, focalizzandosi non tanto sull’essenza dell’oggetto, quanto piuttosto sui suoi confini e sui rapporti che persone e cose hanno fra loro; in breve, diversamente dalla linearità penetrante propria del maschile, il femminile è relazionale, cioè circolare e connettivo, capace di mantenere l’attenzione a più oggetti contemporaneamente, diversamente dal maschile che concentra forza e operatività su un aspetto del reale alla volta.
Quando si verifica una inversione di questi codici simbolici, e delle identità e ruoli corrispondenti, si generano sovente delle patologie. L’obiettivo di una cultura sana non è quello di fare sì che si realizzi una uniformità dei sessi davanti ai compiti e agli impegni della vita quotidiana. L’obiettivo non è che la donna possa fare quello che fa l’uomo o, viceversa, che l’uomo possa fare quello che fa la donna. Ciò provoca un circolo vizioso e senza fine in cui entrambi i sessi perdono qualcosa della loro ricchezza. L’obiettivo, semmai, è la conquista della libertà di poter fare le cose della vita quotidiana in modo diverso, con sensibilità e stili propri. Infatti, la donna ha i suoi vissuti, legati alla sua struttura corporea, e tende a valorizzare le persone e le cose in rapporto a questa struttura, che ha - volenti o nolenti - nella maternità la sua peculiarità. Ha una funzione giudicante di tipo "avvolgente", cioè interviene dentro la relazione con gli altri, non è mai disposta alla rottura totale, è incline a ricomprendere tutto nell'affetto( per fortuna).
L'uomo ha i suoi vissuti, correlati alla sua struttura corporea, e tende a valorizzare persone e cose a suo modo, cioè facendo riferimento alla forza delle attività e dei loro risultati. Ha una funzione giudicante di tipo "penetrante", caratterizzata dal fatto di seguire una logica che persegue delle mete, e non è disposta a scambiarle con l'affetto o una relazionalità avvolgente( con tristezza).
I due sessi hanno processi interpretativi diversi, che assolvono anche funzioni diverse.
Però, diciamolo francamente, viva la famiglia: quella dove c’è un papà, una mamma e dei figli e poi…magari un Diego che ad appena due anni dice alla mamma che lo rimprovera per un lancio di pappa inappropriato:- Sei una strega, al che la poveretta dove avergli chiesto spiegazione, si sente rispondere “che è cattiva”!
Questo è, in realtà il mondo familiare dei nostri giovani.
Maria de Malco Marotta & Team