Vigile custode delle leggi, ma con equilibrio. Ascoltiamo il Questore dr, Massimo Alberto Colucci

Dalla verde Irpinia, alle fredde praterie e le acque annuvolate dalle nebbie del Nord, dagli aspri contrafforti dell’Aspromonte al Supramonte dell’arcaica Barbagia, dalle sponde isolane del ferro, al capoluogo sardo disteso sul Golfo degli Angeli; dalle ridenti valli trentine all’operosa terra degli uomini di Valtellina. E’ questa la parabola dell’intenso viaggio di Massimo Alberto Colucci, questore di Sondrio. Fedele servitore dello Stato, gentiluomo d’altri tempi, garbato ed accorto, che misura le parole con la saggezza dei savi e la determinata e determinante determinazione di chi è avvezzo al comando, stemperato, però, da un’affabile pacatezza e un sorriso che conquista. Classe ’58, primo rampollo della famiglia Colucci che dall’avita Torella De’ Lombardi in Irpinia, figlia dell’ultima emigrazione meridionale del Dopoguerra, si sposta nella metropoli lombarda. Fulgido esempio di vita mamma Gemma e papà Domenico, rigido, ma non austero, “di quella severità che imponeva rispetto e ammirazione”, che gli aveva trasmesso il seme di una passione calcistica diventata un credo, per un Napoli che allo stadio sfidava alla pari la grande Inter, o lo portava ad assistere alle mirabilie dello chapiton di un circo. I ricordi dell’infanzia si accendono sulle bramate estati a Torella, un crocicchio di case abbarbicate sul monte, da nonna Maria Grazia. Una dolce anabasi alla terra natia dei suoi avi, in quel contesto rurale ed umano in cui si respirava aria di serena vicinanza, e si godeva di quel millenario respiro della tradizione che ogni anno rinnovava il suo canto tra i cieli che allampavano la notte di Sant’Anna durante il corteo votivo per le vie del paesello. “Allora giungevano nella piazzetta i venditori dalle vicine campagne con il loro carico a dorso di umili ciuchini, legati a robusti anelli ficcati nelle pareti delle case del borgo antico. Ed era un unico raglio!”, ricorda Colucci che con la mente e il palato va alla dolce pastiera pasquale o ai morbidi mostaccioli natalizi. Una madeleine proustiana che evoca ancora il tempo dell’età fiorita.  Gli anni della scuola procedono in un lampo, senza scossoni, dalle Elementari alle Medie, solo maschili, fino alla boccata d’ossigeno dell’agognato Liceo Scientifico. “Non sono mai stato un secchione, ma ho sempre fatto il mio dovere coscienziosamente, per godermi le fresche estati irpine, o l’incanto della costiera amalfitana”, ricorda Colucci che si avvia poi ai suoi studi universitari di Giurisprudenza nella cosmopolita Perugia, “con il suo magnifico Corso Vannucci, un vero spettacolo con studenti di mezzo mondo che facevano la fila lungo la scalinata che portava al centro”.  Poi qualcosa scatta all’improvviso. Quasi una vocazione. “Non riesco a focalizzare il momento in cui ho scelto di servire fedelmente lo Stato, ma avevo le idee chiare perché non cercavo un impegno impiegatizio, quanto compiti di responsabilità, totalizzanti e coinvolgenti, per cui, senza alcun tentennamento, tentai la via del concorso a Roma per una carriera amministrativa nello Stato. Un concorso tra test fisici e psico-attitudinali, prove scritte, esami orali, che lo conduce poi in Sardegna al centro di addestramento di Abbasanta, pronto per il suo primo incarico come vice commissario a Milano nella Squadra Volante.  “E’ lì che ho imparato a conoscere gli angoli più remoti di una città da vivere, a contatto spesso con la vivacità aggressiva dei Centri Sociali o con le manifestazioni del mondo sindacale e operaio”, racconta il questore di Sondrio.  Singolare l’aneddoto relativo ad una estenuante e turbolenta protesta che aveva portato nel cuore della metropoli lombarda trattori e ogni genere di animali. Alla fine, in un silenzio quasi irreale, una placida mucca solitaria, pascolava tranquillamente in un’aiuola della centralissima Piazza della Repubblica. Qualcuno se l’era scordata lì! “Occorre sempre avere l’umiltà di apprendere dalla voce dell’esperienza il valore del colloquio, della mediazione, per contenere gli ardori di alcuni irriducibili nei cortei, con senso d’equilibrio, senza mai raccogliere le provocazioni sul campo”, è la lezione di Colucci. Poi, quasi un salto nel buio, viene inviato nella Locride, terra calda di sequestri della ‘Ndrangheta, tra le grotte fonde e impervie dell’Aspromonte. Una dura battaglia che dà esiti investigativi lusinghieri, come nel caso “Casella”. Quasi d’obbligo il passo successivo in Barbagia a combattere una nuova emergenza: il banditismo sardo. “Negli anni ’90 nell’entroterra sardo si respirava aria di “ribellismo”, ed erano in tanti ad essere refrattari ad imposizioni statali che minavano talvolta un sistema sociale atavico, incarnato in un codice d’onore millenario. Episodi di insofferenza sfociati talvolta in bieche intimidazioni, un modo di regolare i conti a modo proprio, tra faide, sequestri e rapine ai furgoni portavalori”, spiega Colucci che si è visto catapultato nella realtà onnivora del Centro Criminalpol per la Sardegna, e successivamente a fare la spola tra Cagliari e Carbonia. Quasi inaspettato il richiamo nell’isola d’Elba, dove i migranti stagionali si moltiplicavano nella bella stagione, ma “l’amministrazione aveva bisogno” e viene rinviato in Sardegna, quasi una seconda pelle per lui, nella Squadra Mobile di Nuoro, a contrastare il dilagante fenomeno degli  assalti ai furgoni portavalori, sgominati grazie ad indagini che si estendevano anche al “continente”, e perciò coordinate dal Servizio Centrale Operativo della Polizia di Stato. La promozione a primo dirigente era già nell’aria e si concretizza con l’invio nella sede di Sassari, alla Divisione Anticrimine, a cui segue quella di vice questore ad Oristano. Quasi inaspettata la stessa carica per lui tra le valli di Trento, cuore caldo tra l’altro della famigerata università in cui si erano formati e annidati i germi delle Brigate Rosse. Forte e organizzato qui il comparto anarchico, attivo nel settore anti Tav, anticarcerario, nell’occupazione abusiva di stabili, con virulente manifestazioni d’irruenza tra opposti estremismi, dure da arginare. Nel maggio del 2015 giunge infine la sua nomina a questore di Sondrio. “Una valle che mi è apparsa incantevole sin dal primo giorno in cui sono arrivato seguendo il corso del lago di Como, evitando il Passo d’Aprica dove si correva il Giro d’Italia, e mi sono ritrovato dinanzi a queste cime innevate e questi incredibili terrazzamenti frutto dell’operosità e della tenacia degli abitanti della Valle sin dai tempi remoti”, confessa Colucci che poi ha avuto modo di conoscere la sua gente alacre e sincera, frutto di una società salda e scevra da compromessi etici, dal cuore pulsante economico scandito da due floride banche. Un’isola felice, pur tra i suoi chiaroscuri, quella dipinta dal questore di Sondrio. Anzitutto sul piano dei migranti il cui flusso nello scorso dicembre contava 530 richiedenti lo status di profughi. Poi il fenomeno allarmante dei furti nelle abitazioni che, dopo le opportune contromosse messe in atto, e con la collaborazione diretta dei cittadini e un decalogo diramato attraverso i sindaci dei comuni della Valle, sembra aver in parte arginato questo flusso di latrocini inaccettabili che violano la privacy delle case. Fenomeno in calo con i 469 furti in abitazioni del 2014 passati ai 392 dello scorso anno, ma con concentrazioni maggiori nel capoluogo e nei centri della Bassa Valle (a Sondrio i furti in casa dai 76 del 2014 sono passati ai 93 del 2015). Dei 42 arresti effettuati, 17 hanno riguardato lo spaccio di stupefacenti e alcuni casi di violenza sessuale, mentre 311 sono state le denunce a piede libero.  Grande lavoro da parte delle Forze dell’Ordine, anche se c’è ancora tanto da fare. Sondrio, umile e solerte città nel cuore delle Alpi, lontana dall’opulenza ostentata delle metropoli del Nord, mostra il suo volto generoso verso le nuove povertà, soprattutto di chi affida a miseri barconi la speranza di un mondo migliore. Ma chiede sicurezza. Tocca allora proprio a Colucci essere vigile custode delle leggi, sotto il cui scudo vive e vige ogni sovrana libertà - “sub lege libertas” – reggendo l’umana semenza “fatta non a viver come bruti”, ma per seguir quella “virtute e canoscenza” che distinguono sul campo chi della propria vita ha fatto un impegno al servizio degli altri. E dello Stato.  

 

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