L'accoglienza e il rispetto delle regole
Migranti, perseguitati, rifugiati, Rom, Sinti, parti di uno stesso universo, ma distanti e differenti tra loro, una umanità non convergente ma spesso diametralmente opposta e contraria. Come operatore sociale ho visto, ho ascoltato, ho toccato con mano il degrado umano, quello con l’alzo zero nei riguardi di una dignità colpita a morte. Come uomo della strada ho osservato il cambiamento indotto nelle persone dalla miseria, fino a farle diventare marionette in balia del più prepotente. Come cittadino abituato a leggere la realtà che vivo, non posso non obiettare ogni forma di letteratura analfabeta, che vorrebbe sindacare l’indicibile, programmare il vuoto di valori e progettare futuro, senza però fare i conti con il passato.
Popoli migranti con tradizioni e culture, con il proprio carico di disperazione e violenza insita nei bisogni disattesi, popoli e persone non meno malavitose di altre, in guerra tra poveri non meno di altri.
Fare sociologia di comodo è affermare che i migranti, come i rifugiati, sono tutti vuoti a perdere, corpi da rifiutare, che tutti i Romeni rapinano, che i Sinti sono tutti ladri, che i Rom sono l’ultima linea non più sanabile della convivenza civile, una etnia a parte, esclusa dai soliti esclusi.
Chissà, forse è davvero così, ma quando i fatti di sangue scatenano la caccia all’uomo, sono accadimenti gravi non perché commessi da un miserabile, straniero o meno che sia, sono gravi perché si tratta di reati incomprensibili e quindi inaccettabili, sono gravi perchè partoriti nel degrado, deprivato di ogni valore umano. Quando si legano e torturano a morte due anziani pensionati inermi per estorcere loro del denaro, quando si “ butta via “ a morte una donna indifesa, quando si violenta brutalmente una bambina, quando si costringe l’innocente al suicidio, l’infamia è identica, non cambia di una virgola, con la differenza che a seconda dei protagonisti coinvolti si scatenata la voglia pazza di rogo, oppure poco più di una alzata di spalle.
Da uomo avvezzo al vicolo cieco, debbo dire che l’ingiustizia sta tutta nel dimenticare che non esiste preferenza o privilegio per quanti agiscono senza possedere neppure un vago senso della dignità, per quanti non conoscono traccia di compassione. In questo tempo ove c’è grande sperpero di parole valigia, è necessario sfatare i luoghi comuni, non cadere nella pratica del licenziare un problema, lasciandone aperti altri peggiori, come l’accettazione di campi e baracche del crimine, o altre “periferie” esistenziali dove nascondere l’irripetibile. Risolvere la questione significa rimuovere le cause, forse occorre non rimanere indifferenti fino a quando la prossima tragedia ci toccherà nuovamente da vicino, forse occorre non consentire più forme di segregazione sociale, e fare accoglienza dove è davvero possibile, costruendo promozione umana nel riconsegnare autorevolezza alla norma scritta, quella che tutela la persona, con la propria dignità, e colpisce chi non s’adegua al rispetto degli altri.
Vincenzo Andraous