I tempi sono cambiati di Cristina Cattaneo

I tempi sono cambiati

Una cosa è certa. I tempi sono cambiati. Colpa della bomba atomica, come si diceva una volta? Non so, ma niente è più come prima. Prendiamo la Quarta A, per tradizione la classe dei “bravi”.

Secchioni? Forse, ma secchioni anomali. Prima di tutto nessuno ha più gli occhiali. Solo lenti a contatto. Poi nessuno è più pallido o brufoloso. Tutti giustamente coloriti e anche un po’ abbronzati, tutto l’anno. Timidi? Silenziosi? Tranquilli? Certamente no.

La politica di socializzazione portata avanti ad oltranza secondo le indicazioni del PEI (Progetto Educativo di Istituto) ha dato i suoi frutti. Più che una classe è una cooperativa non so se di consumo, certamente scolastica. C’è una forma di solidarcompetizione, ormai profondamente radicata. Fatto questo evidente dai compiti in classe. Anche l’errore è frutto della cooperazione.

L’inglese però è una lingua dispettosa, a suono infatti non corrisponde segno e molti sono gli omofoni, così quando una parola viene spedita via etere, i risultati sono spesso sconcertanti. . Può capitare infatti che uno pensi di scrivere “pace”, ma scrive “pezzo” , “incontrare” e scrive ”carne” , “freni” e “rompe” . Oppure pensa di scrivere che ha i capelli neri e si scopre invece che ha una lepre nera in testa. Aspetta la posta e riceve un maschio . Peggio sarebbe se aspettasse un maschio nero e ricevesse un ricatto. Infinite le possibilità di barzellette in questo campo. E barzellette devono sembrare gli errori dei miei ingenui studenti a un lettore di lingua madre.

Queste inezie possono turbare il linguista, certo non i miei bravi scolari. In fondo c’è la voglia di far bene, di prendere un bel voto a tutti i costi. E nessuno in Quarta A è insufficiente!

Il rovescio della medaglia però c’è. Consci delle proprie capacità, gli educandi si permettono di fare tutto quello che vogliono.

Sono sostenuti dai genitori, che per primi non collaborano. Sorvoliamo sul fatto che anche loro masticano la cicca con la bocca aperta quando vengono ai colloqui. Sorvoliamo sul fatto che la scorsa settimana sembrava che ci fosse un’epidemia. Preoccupata ho chiesto notizie. Allora: Lapo è in Venezuela, Sinué (sic!) in Argentina, Christoff alle Barbados e Sebastian più modestamente a sciare, mi ha riferito il resto della classe. Notare come siano tutte destinazioni risparmiate dallo tsunami o da attentati terroristici. E poi la scelta dei nomi!

Christoff è particolarmente discolo, devo purtroppo richiamarlo spesso, ma se lo faccio con tono acceso la mia esortazione potrebbe suonare come una bestemmia all’orecchio distratto del direttore che passasse proprio in quel momento in corridoio. Il fatto è che il cognome è anche peggio. Kalchenbrenberger. Se provassi a dirlo da arrabbiata perderei in un attimo tutta la mia credibilità.

Ripiego allora su “Disentis!”, amena località nel Canton Grigioni dove resiste un collegio con internato, spauracchio ancora efficace per ragazzini discoli. Sembra che i genitori glielo ricordino spesso. Evoca la minaccia di mandare i prigionieri politici francesi in Cayenna. Altri tempi.

Ma i tempi sono proprio cambiati. Il Rispetto. Quello proprio non c’è più. Il dilemma è se far pesare la mia età o far finta di essere più giovane per non sembrare troppo rimbambita. Opto per questa seconda soluzione. Mi limito quindi a dire: “Non posso essere vostra nonna, ma vostra zia sì, e a una zia si deve rispetto!” Suona strano.

I tempi sono cambiati. Il professore non ha mai ragione. Il cliente – lo studente in questo caso che paga – invece ha sempre ragione. E’ proprio così. Noi non osavamo far notare una piccola svista ai nostri docenti per timore di rappresaglie feroci. Adesso no. Se in un compito in classe c’è qualcosa che non capiscono ecco che mi chiamano e gridano con soddisfazione, “ma qui c’è un errore!” “Dove? chiedo io preoccupata. “ Che cosa ci fa qui questa “i”, chi è Giacomo “i” (scritto Giacomo I)?

Ancora più straordinaria la prontezza con cui replicano ad un richiamo. Esibiscono una capacità dialettica degna di politici inveterati. Ora, bisogna sapere che ho in classe alcuni ragazzi che grazie a lezioni private, babysitter inglesi, soggiorni all’estero, madre straniera, parlano già molto bene l’inglese e devo dar loro lavori più interessanti dei soliti esercizietti per principianti. Così l’altro giorno commentavamo una lettura di carattere storico su Enrico VIII, in italiano perché tutti potessero beneficiarne. Ecco che un giovane pensa bene di mettersi a sfogliare una rivista illustrata commentando le fotografie col compagno di banco. Al mio richiamo ha replicato: “Tanto non si parlava inglese”.

E’ suonato il campanello.

La notte ho meditato a lungo e il giorno dopo gli ho chiesto, “Sebastian, la tua rivista era in inglese?”

“No, vede, così siamo pari.”

Sono rimasta senza parole.

Cristina Cattaneo

Cristina Cattaneo
Società