IL CAMOSCIO BIANCO: IL VOLO DEL CUORE

Il vero protagonista del romanzo di Tito Di Blasi…

“Il camoscio bianco” era un sogno relegato nel fondo di un cassetto di Tito di Blasi. Un sogno che prende vita attraverso una rievocazione appassionata e appassionante di una figura paterna che aderisce perfettamente all’anima di un figlio che incarna il suo desiderio d’immortalità, testimone di un esempio indiscusso di forza e lealtà, ma anche di irreprensibile onestà mentale e grande generosità d’animo.

Papà Rocco, commissario di polizia addetto all’accoglienza dei confinati politici in Valtellina, non esita, pur ligio ai propri doveri, a schierarsi dalla parte dei perseguitati politici sottratti ad una Shoà inimmaginabile nel suo orrore, a rischio della propria vita.

La sua è la storia di un eroismo silenzioso che dona senza aspettarsi nulla in cambio, di un uomo semplice e schivo, salvifico per alcuni deportati ebrei salvati in un angolo remoto di Albosaggia.

E Alfred Haar sa essergli riconoscente ritornando al termine della guerra a casa Di Blasi per recare un gioiello troppo prezioso, di quelli con cui puoi sistemarti per tutta la vita. Ma, nonostante le ristrettezze economiche della famiglia, Rocco è irremovibile nel suo rigore morale che non ammette alcuna sorta di gratificazione. Uomini d’altri tempi. Ma Tito, il figlio, ne ha seguito fedelmente le orme e, in una progressione simbolica sull’asse del tempo, ne continua l’opera, completa quella missione interrotta da guide malfide che si sono macchiate del più odioso dei crimini depredando e abbandonando nel bel mezzo di una tempesta i due fuggiaschi che cercavano scampo oltre frontiera. Sarà lui allora a compiere l’opera iniziata dal padre e a diventare depositario dell’ardore femminile della giovane Muna che gli si dona con tutta la sua esuberanza della sua giovane età.

Il camoscio bianco che appare all’improvviso è la visione ineffabile dell’infinito oltre la siepe, è l’estremo viaggio nei segreti del cuore dell’uomo, è il sogno vagheggiato del bambino che alberga nell’animo di chiunque sappia come Tito Di Blasi snudarsi delle umane sembianze per trasfigurarsi nel fuggitivus errans in cima alla vetta, come una corda tesa sul baratro, che inconsapevolmente anela a Dio, un dio che lo bracca nel fondo dei suoi pensieri senza lasciargli tregua. Il camoscio bianco è l’eroe solitario e romantico che sfida se stesso, i limiti umani, per librarsi in volo verso il cielo, oltre le vette alpine di Retiche e Orobie, nella ricerca di un linguaggio nuovo, più puro, per descrivere il progressivo superamento dell’umano. Alla ricerca di chissà che o solo di sé. E’ l’uomo che conosce la voce mugghiante della bufera che incombe dall’alto, che sa bene l’angoscia delle notti passate all’addiaccio in bilico sull’abisso, sopraffatto dall’urlo straziato del vento infido che gli soffia sul collo il suo algido alito di morte. Lassù, assiso dinanzi al destino, dove Eros e Ares si contendono il passo.

Il vero protagonista del romanzo di Di Blasi è dunque la montagna, la creatura misteriosa e seducente che lo richiama dall’alto, lo invita a seguirlo sui suoi crinali immacolati e insidiosi. Ma Tito ha imparato a conoscerla e ad amarla, a farla sua, nella fusione estatica con la natura amica e selvaggia, per farsi tralcio silvano, lutea ginestra, muschio e licheno, ghiaccio tra i ghiacci, addormentato ai piedi di un masso erratico sospeso sull’infinito, sereno, sulle sommità di Dio.

Nello Colombo

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