Vodka Lemon, ovvero la grazia della disperazione

Premio San Marco - La storia - Il regista - Le domande & le risposte

PREMIO
SAN MARCO


Il film di Hiner Saleem, insignito del premio San Marco come
miglior film della sezione Controcorrente che, secondo gli
organizzatori, ha pari dignità con Venezia 60, presto lo
vedremo nelle sale cinematografiche italiane. Vodka Lemon
sarà distribuito a gennaio- febbraio prossimi, ci dice il
produttore.

La storia

VODKA LEMON è un film dalla struttura semplice, molto
elegante, a tratti divertente, presenta la storia ambientata
in un villaggio curdo del Caucaso dove la gente sopravvive
ai limiti estremi della miseria con dignità, senza mai
lamentarsi.

Il film inizia con un letto trainato sulla neve. Un¹immagine
abbastanza insolita( ma che ricorda Kusturica).

Hamo il personaggio principale del film è un ex ufficiale
dell¹armata rossa, vedovo di circa sessant’anni: i suoi
unici averi sono un vecchio armadio, un televisore dell’era
sovietica, la divisa militare ed una pensione mensile di
sette dollari. Ogni giorno Hamo si reca al cimitero a
spazzare via la neve dal ritratto della moglie inciso sulla
tomba. Rimane a lungo a parlare con lei e poco distante,
Nina una bella cinquantenne, anche lei vedova, toglie la
neve dalla tomba del marito. Nel vecchio autobus che li
riporta al villaggio Hamo e Nina intrecciano gli sguardi.

Hamo ha un figlio che vive a Parigi, tutti nel villaggio
sperano che possa fare fortuna nella ricca Europa ed inviare
per posta un po’ di dollari per la comunità.

Il paesaggio intorno è sempre perennemente bianco, la vodka
sempre presente nel film, attutisce la disperazione. Il
secondo figlio di Hamo è un alcolizzato che “cederà” la sua
giovane figlia per la promessa di un lavoro, di un futuro,
parte questa interpretata con molta intensità da Ivan Franek,
presente con il regista a Venezia. Dopo aver ceduto la
figlia, Ivan scoprirà con delusione e rabbia di essersi
ancora illuso di sfuggire ad un destino fatto di povertà e
sparerà al marito della figlia che gli aveva prospettato una
vita diversa. Alla fine, ogni cosa torna nel lento fiume del
destino, in cui le loro misere, ma quiete esistenze si
intrecciano e si compongono per darsi conforto, amicizia,
amore.



Il regista


Hiner Salem racconta: sulla mia carta d¹identità c¹è scritto
che sono nato nel 1964 nel Kurdistan irakeno. Rifugiato
politico, ho dovuto abbandonare il mio paese che non vedo da
20 anni, per sfuggire alla dittatura di Saddam Hussein. Da
10 anni vivo a Parigi. VODKA LEMON è il mio quarto film.

Oggi esiste un Kurdistan iracheno, e anche un Kurdistan
siriano, ma non esiste un Kurdistan curdo.

Mio nonno si divertiva molto a raccontarci la sua storia:
era nato curdo in una terra libera. Ma gli ottomani sono
arrivati e gli hanno detto: tu sei ottomano. E lui è
diventato ottomano. Alla caduta dell’impero, è diventato
turco. Poi i turchi se ne sono andati e lui è diventato di
nuovo curdo sotto il regno dello Sceicco Mahmoud, il re dei
curdi.

Sono arrivati gli inglesi e mio nonno è diventato suddito di
sua Maestà. Gli inglesi hanno creato l¹Irak e lui è
diventato iracheno.

Mio nonno non ha mai capito l¹enigma di questa nuova parola
“Irak”. Suo figlio, mio padre, Shero Selim Malay, neanche.

Si potrebbe quasi dire che VODKA LEMON è un film
disperatamente ottimista

Diciamo che per me l¹umorismo è la grazia della
disperazione.



Le domande &
le risposte


-
All¹inizio del film, entra in campo un letto, alla fine del
film un pianoforte esce dal campo quasi in un movimento
parallelo, inverso. Un modo per chiudere il cerchio?

Certo, mi sarebbe piaciuto girare VODKA LEMON in Kurdistan,
ma era impossibile. Gli artisti, gli intellettuali curdi
sono stati tutti costretti all¹esilio. Sterminati con le
armi chimiche in Irak, cacciati e torturati in Turchia,
nessun riconoscimento della nostra identità in Siria.
Possiamo solo scegliere tra la peste ed il colera...Mio
nonno diceva : “Il nostro passato è triste, il nostro
presente catastrofico ma per fortuna (ed apriva le braccia)
non abbiamo futuro”.

La scena del letto annuncia una storia in un paese
devastato.

La scena finale del pianoforte incarna l¹ottimismo,
l¹assoluta fierezza dei sopravvissuti. Il non vendere il
pianoforte significa resistere, resistere, resistere,
qualunque cosa accada.

-
Nel suo film si vede tanta neve…

Ho immaginato questo film sulla neve perché mi ricordava
senza dubbio la mia infanzia. Sherko Bejkas ha scritto: “mi
ricordo della mia infanzia tutta bianca, bianca a perdita
d¹occhio, bianca ...tranne il vestito nero di mia madre”.

Nei villaggi curdi, quando nevica, tutto è bloccato. Ora le
strade sono distrutte. Prima c¹erano i trasporti statali.
Oggi non c’è più il socialismo ma non hanno ancora costruito
il capitalismo. Ognuno fa per sé. Gli abitanti dei villaggi
apprendono l¹arte della sopravvivenza. Per trasportare
viveri e uomini usano degli slittini, spesso costruiti solo
con una tavola di legno, trainati a braccia o da cavalli. Ho
visto anche un carro funebre trainato in questo modo!

-
Hiner Saleem, cosa pensa degli armeni?

Ho sempre creduto che gli Armeni fossero dei “maghi”: non
capisco come facciano a sopravvivere. Forse non lo sanno
nemmeno loro. Più i giorni passavano, mentre giravamo più
ero affascinato dalle persone e dai paesaggi che mi
circondavano. Un paese così simile al mio, il Kurdistan,
dove mi si impediva di rientrare e che dopo tanti anni di
assenza desideravo rivedere.

Ottimismo, fede, miseria, contraddizioni, ironia, amore,
vite che passano dalla tragedia alla commedia. È questo che
c’è in Armenia.

-
Il titolo del film “Vodka Lemon” come è nato?

Quando si pensa alla Vodka, naturalmente associamo
l¹immagine della Russia, ma da nessuna parte del mondo si
beve così tanta vodka come lì! Poi quando si dice vodka uno
subito si immagina i paesi dell¹est europeo; con il mio
produttore, mentre discutevamo sul titolo, avevamo bevuto un
sacco di vodka... così abbiamo deciso che Vodka Lemon per la
nostra storia era il titolo più adatto.

Quanto influisce l¹alcolismo, la vodka in questi paesi, a
livello di rapporti sociali, nella vita di tutti i giorni?

Lì al mattino arrivando sul set , la gente ci proponeva di
bere una vodka: era faticoso rifiutare il loro generoso
gesto, però dovevamo lavorare... Lì hanno molto la “cultura
del tavolo”: si mettono intorno e svuotano il bicchiere. A
qualsiasi ora. Stanno insieme intorno al tavolo e si fanno i
complimenti, socializzano, dicono tra loro: sei mio amico,
mio fratello, ti amo etc e poi continuano a bere. Dopo
mezz’ora sono già ubriachi, parlano di tutto e dicono:
beviamo in onore dei nostri alberi, un altro per le nostre
pietre, un altro per i nostri defunti etc... Semplifico un
po’ ma questa è la situazione.

-
Questo succede per la disperazione, per dimenticare o non
vivere abbastanza la realtà?

Un poco dipende dalla loro cultura, poi effettivamente oggi
esiste una fortissima disoccupazione, la vodka è quasi
accessibile, da loro non costa nulla perchè si può comprare
con meno di mezzo euro, 20-30 centesimi una bottiglia
intera. Questo insieme al fatto che non c’è lavoro, è anche
un modo di socializzare, un modo di convivere. Il problema
diventa quando insorge l¹alcolismo.. La vodka insomma,
rimane l¹unico elemento popolare nei beni di consumo dato
che nel film vediamo che è difficile comprare qualsiasi
cosa, avere un telefono in casa?

La gente può rinunciare al telefono ma non può rinunciare
alla vodka. Vodka Lemon è diventato il titolo anche perché
non volevo qualcosa di troppo serio, patetico. La gente
armena prende la vita con molta filosofia, è fiera, è legata
alle sue tradizioni, specie religiose.

Nel film è quasi assente la presenza giovanile, le nuove
generazioni cosa pensano in proposito, emigrano, come
reagiscono?

Un vero problema è quello dell'emigrazione, l¹Armenia è un
paese che è diventato ufficialmente indipendente nel ‘90;
aveva 3,5 milioni di abitanti circa, oggi è meno della metà.
Tutti sognano di andare in America, Los Angeles, sognano di
venire in Europa perché lì non c¹è il lavoro. Le porte si
sono aperte, quindi il sogno di tutti è di partire.
Certamente c¹è molta disoccupazione in molti paesi dell'ex
blocco sovietico, come l¹Albania, la Georgia, l¹Armenia. Il
Soviet, il sistema socialista è finito, però non sono
riusciti ancora a creare uno stato capitalista, un apparato
vicino all'Europa Occidentale, quindi adesso è quasi un
paese politicamente “No Man’s Land”, ognuno per conto
proprio. In alcuni paesi abbiamo il 3, 4% della popolazione
che detiene tutta la ricchezza e tutti gli altri vivono
quasi alla soglia della miseria, della povertà!

-
Quanto è forte l¹illusione del benessere occidentale,
dell'Europa?

Nel film ci sono dei momenti molto forti di illusione ,
disillusione, quando il figlio scrive ancora al padre dalla
Francia ma invece di spedire dei soldi, li chiede...

Il padre che sperava che il figlio avrebbe fatto i soldi a
Parigi ed avrebbe potuto aiutare tutto il villaggio, riceve
invece una richiesta di soldi! Così l’anziano perde ogni
speranza, ogni sogno.

L’occidente non è tutto paradisiaco.

L¹illusione che si perde comunque con una forte dignità, è
sempre presente durante il film.

Le persone sebbene siano nella povertà più assoluta, hanno
sempre una dignità ed una eleganza notevole. Quello che
sorprende è che non si piangono mai addosso, non si
lamentano mai, cosa che non accade da noi dove tutti si
compiangono molto spesso anche per problemi inutili...

Quanto influisce il sentimento religioso in queste
popolazioni, nel film si vede un rapporto molto stretto tra
le persone ed i loro cari defunti. Il cimitero, sembra un
“parlatorio”, dove ci si incontra per raccontarsi le vicende
accadute. Cosa ne pensa?

Personalmente sono laico e ateo profondamente. Il cimitero è
la seconda vita per loro. Infatti, molti mettono i simboli
religiosi.

Io rispetto ovviamente tutte le religioni. Tranne quelli che
le politicizzano, che le sfruttano per farne politica.
Qualsiasi persona che crede nel suo Dio, nella sua
religione, pacificamente, nel rispetto degli altri, io li
rispetto assolutamente.

Io sono laico e per me il cimitero non rappresenta un
simbolo religioso.

-
Raffigura però un altra vita, un altra speranza?

Sì ma io non considero la morte con gli occhi religiosi, la
vedo piuttosto come un fatto biologico, tuttavia è bello
come gli armeni conservano nei loro cuori la certezza che li
aspetta una vita migliore. Forse è proprio la speranza del
dopo, fa accettare loro un’esistenza così stentata, così
miserabile.

-
Però le popolazioni dei villaggi, e le relazioni tra le
varie etnie si basano spesso sul religioso.

Esiste un certo ritorno al religioso, specie nell’ex Unione
Sovietica, dove vi sono alcuni aspetti positivi. In realtà,
questo non creava realmente diversità tra le minoranze ed i
vari popoli altrimenti non sarebbe mai potuta sopravvivere.
Era un peccato ed un errore parlare di “minorizzare” una
etnia, un popolo, in base alle sue credenze. Ritengo che
l¹Unione sovietica fosse un impero abbastanza onesto con le
minoranze, esisteva una vera uguaglianza. Certamente però
era uno stato laico e quindi le chiese, la fede e le
pratiche religiose non erano tollerate. Adesso come dicevo
c’è un certo ritorno ed anche una certa strumentalizzazione
della religione anche se a mio avviso 70-80 anni di
socialismo hanno influito sulla fede e la religione.

Diana Barrows

GdS 8 X 03  www.gazzettadisondrio.it

Diana Barrows
Società