Il velo islamico, una mina vagante della politica europea
La miccia
Jacques Chirac, in piedi dinanzi a una bandiera francese
all'Eliseo, poco prima del Natale 2003 (il 18/12/2003) ha
pronunciato il suo discorso, trasmesso in diretta da tutte
le tv, incentrato sulla difesa della laicità, a favore del
rafforzamento del secolarismo nel Paese con una legge che
proibisca l'uso di tutti i simboli religiosi visibili nelle
classi delle scuole pubbliche, riferendosi, in modo
particolare, ai simboli che esprimono intenzioni
propagandistiche e tradiscono la "neutralità" del servizio
pubblico circa l'educazione nazionale. Altrettanto è
successo in Germania per le dichiarazioni del presidente Johannes Rau, che in un'intervista televisiva ha equiparato
il velo islamico al crocifisso cristiano sostenendo che, se
si vieta a una insegnante l'uso del primo in classe,
bisognerebbe vietare allora anche l'affissione del secondo.
Il Cdu, Friedbert Pflueger, lo ha accusato di un "passo
falso". dicendo che avrebbe commesso un grosso errore nel
considerare il velo islamico un simbolo religioso ,
ponendolo sullo stesso piano del saio o della croce. Per lui
il fazzoletto in testa non è un simbolo religioso ma un
simbolo politico dell'Islamismo": dalla rivoluzione iraniana
del 1979, ha osservato, il chador è diventato un segno di
riconoscimento del fondamentalismo. Secondo Johannes
Singhammer, relatore per le Chiese della Csu al Bundestag, a
differenza di Usa e Francia, la Germania non é un paese
religiosamente neutrale: la Bundesrepublik ha sempre
assegnato al cristianesimo un posto particolare, la croce in
classe è oltretutto un simbolo di pace e tolleranza che si
rivolge a tutti gli uomini.
Ma torniamo alla Francia.
Senza tanto nascondersi, seppure vi sono stati mesi di
dibattito sul ruolo della religione nella società francese e
sulle difficoltà di integrazione dei cinque milioni di
musulmani, Chirac ha esortato il Parlamento ad agire
rapidamente e proibire il velo islamico, la Kippah e la
croce, di dimensioni eccessive, perché: non c'è posto per
loro nei confini della scuola pubblica. Esse rimarranno
laiche, per legge.
La laicità, è per Chirac una "pietra miliare della
Repubblica e non negoziabile".
Ovviamente, anche se ha parlato della kippa ebraica, e di
croci cattoliche, è evidente che l'obiettivo principale e'
il velo islamico che sta diventando un'ossessione per tutti
i francesi( e anche di altri paesi europei)
L'alto clero cattolico, protestante e ortodosso ha preso
posizione comune sulla questione affermando che ben
difficilmente le leggi risolveranno positivamente le
difficoltà attuali.
Secondo loro , il velo islamico è soltanto la spia di una
problematica molto più ampia e che l'estremismo musulmano
trova le sue radici nei ghetti che si sono sviluppati come
un bubbone maligno nelle periferie delle grandi città
francesi. I nodi dovrebbero venire una volta per tutte al
pettine dopo che la Commissione Stasi, espressamente
istituita, indicherà nel suo rapporto finale se considera o
no opportuna una legge contro il velo islamico.
Infatti …
1) La commissione Stasi incaricata dal presidente Chirac di
studiare la “laicità” in Francia, ha lavorato cinque mesi,
ascoltando centinaia di testimoni. In parole povere, le
ragazze musulmane sono vittime di un insopportabile sessismo
che si traduce in violenze verbali, psicologiche e fisiche.
Gruppi di maschi impongono loro di portare abiti coprenti e
asessuati, di abbassare lo sguardo di fronte agli uomini. Se
non agiscono così, sono immediatamente insultate come
puttane... Alle adolescenti il velo viene imposto. spesso
con violenza. Solo le ragazze velate possono andare per
strada senza prendersi sputi e insulti: il velo dà loro,
paradossalmente. la protezione che la République non sa più
offrire.
Inoltre, le ragazze sono vittime anche di altre forme di
violenza: mutilazioni sessuali, poligamia, ripudi... In
alcune comunità turche, maghrebine, pakistane. africane il
matrimonio viene imposto facendo arrivare lo sposo
direttamente dall'estero. Le famiglie tentano così di
bloccare l'emancipazione delle loro figlie. Spesso le
ragazze vengono sposate di forza durante le vacanze nei
Paesi d'origine il che significa sempre la fine degli studi.
I loro diritti elementari vengono quotidianamente calpestati
in Francia. Una situazione, a dir poco, assolutamente
inaccettabile, in un Paese che si vanta della sua laicità.
Nelle banlieues parigine, piuttosto degradate, le prime
vittime sono donne. Le ragazze musulmane accusano la
République di non difendere le sue figlie, anche se si
sventola ai quattro venti che i cittadini francesi sono
uguali( maschi & femmine) davanti alle leggi (Cfr. Specchio,
10 gennaio 2004).
2) La protesta del mondo islamico contro la decisione del
governo francese di mettere al bando il velo, così come
altri simboli religiosi cristiani ed ebraici, dalle scuole
pubbliche, sta montando a dismisura. Ultimamente, durante la
preghiera del venerdì, il potente ex presidente iraniano, Akbar Hashemi Rafsanjani( il ricchissimo produttore dei
pistacchi), ha preannunciato la “maledizione” di centinaia
di milioni di musulmani, se la Francia non farà retromarcia.
Ed ha predetto “conseguenze” nei rapporti bilaterali tra
Teheran e Parigi.
“Spero che il governo francese, il presidente Jacques Chirac
e lo stesso parlamento comprendano che hanno insultato un
miliardo e mezzo di musulmani”, ha tuonato Rafsanjani, nel
suo sermone ai fedeli, che è stato anche radiotrasmesso.
Sebbene Chirac abbia tentato di giustificare la decisione
con la necessità di mantenere distinta la separazione tra
Stato e religione in Francia, i musulmani francesi si sono
sentiti nel mirino del provvedimento, percepito come
discriminatorio soprattutto nei confronti delle loro
ragazze.
“La Francia si è imbarcata in un avventura che fallirà e, se
ciò non avvenisse, provocherà la maledizione di milioni di
persone contro quella Nazione, e macchierà i rapporti tra
Parigi e i paesi islamici”, ha scandito Rafsanjani.
Come se non bastasse il velo islamico continua a non dar
pace alle scuole di Francia: una ragazza tredicenne di
origine marocchina è stata appena espulsa da un liceo vicino
a Lione.
In barba a richiami e ammonizioni si presentava in classe
con la testa imbacuccata.
Dall'inizio dell'anno scolastico: fino ai giorni scorsi
Dominique Augé, preside del liceo Theodore Rosset a
Montreal- la - Cluse, ha negoziato con Sheyma e la sua
famiglia perché la studentessa rinunciasse al foulard
musulmano almeno durante le lezioni di educazione fisica,
scienza naturale e tecnologia (“per ragioni di sicurezza e
compatibilità con gli insegnamenti”) ma ha fatto un buco
nell'acqua.
Ad un certo punto ha persino esplorato la possibilità che la
teen-ager maghrebina timorata di Allah sostituisse il velo
con un berretto per le ore di ginnastica ma niente:
le trattative sono fallite su come il cappello andasse
esattamente indossato.
Sheyma insisteva perché il copricapo le nascondesse orecchie
e nuca. Dopo quattro mesi di tira - e - molla la direzione
del liceo, frequentato da 713 allievi di dieci diverse
nazionalità, non ha visto alternative: ha convocato il
consiglio di disciplina che ha. deciso la cacciata di Sheyma,
alla luce degli “scompigli” provocati alla scuola e in
forza del “regolamento interno” (Cfr.: Il Gazzettino, 10
gennaio 2004).
Il velo della discordia
Ai due lati del Mediterraneo il "foulard di Allah" che si
chiami hijab, burka, chador o più genericamente velo
islamico, si trova in mezzo alla bufera. Di qua e di là dal
Mediterraneo c'è aria di burrasca e se le autorità francesi
invocano la "laïcité de la République" per vietarne l'uso,
in Germania la Corte costituzionale ha stabilito
recentemente che recarsi a scuola e fare lezione col capo
coperto dal foulard è lecito. Anche se aggiunge che spetterà
poi ai singoli Länder la decisione di vietarlo o meno.
Insomma, non c'è pace intorno al velo e le autorità di molti
Paesi si trovano spiazzate davanti a un fenomeno che si
estende a macchia d'olio.
Ma chi pensa che la controversia riguardi esclusivamente i
Paesi europei si sbaglia di grosso. Non sono solo le
musulmane in Europa a lottare per il diritto di indossare l'hijab.
In Egitto il governo è impegnato in una campagna di
laicizzazione del Paese, nel tentativo di allontanare il
pericolo di una recrudescenza dell'integralismo che
minerebbe la stabilità interna. Per le autorità, mostrare in
televisione il velo islamico potrebbe convincere gli
attivisti islamici a utilizzare questo simbolo per
rafforzare l'attaccamento alla sharia, la legge islamica, in
tutti i settori della vita pubblica.
“ Nelle terre dell'Islam - scrive Fawzia Zouari in un saggio
pubblicato recentemente in Francia e intitolato "Il velo
islamico" - il velo è sempre stato oggetto di infiniti
dibattiti. Innanzitutto non è l'Islam ad averlo inventato.
Esisteva già tra i Persiani, Greci, Romani e Cristiani.
Designava la donna di alto rango, la moglie legittima, la
madre ed era un segno di distinzione sociale”.
Cosa c’è scritto nel Corano, parola increata di Dio a
proposito del Hijab, o
CHADOR - BURQA - PURDAH (PARDE') - HAIQ - JELABA - FOULARD -
THAWB - KHUMUR - KHIMARA - NIQAB - MILAYA LAFF …?
"... Oh Profeta, dì alle tue spose, alle tue figlie e alle
donne dei credenti di coprirsi dei loro veli, così da essere
riconosciute e non essere molestate..."
(Corano 33,59)
"... Di' ai credenti di abbassare il loro sguardo e di
essere casti. Ciò è più puro per loro. Allah ben conosce
quello che fanno e Di' alle credenti di abbassare i loro
sguardi e di essere caste e di non mostrare, dei loro
ornamenti (zinetahunna), se non quello che appare; di
lasciare scendere il loro velo (bi-khoumourihinna) fin sul
petto e non mostrare ornamenti ad altri che ai loro mariti,
ai loro padri, ai padri dei loro mariti, ai loro figli, ai
figli dei loro mariti, ai loro fratelli, ai figli dei loro
fratelli, ai figli delle loro sorelle, alle loro donne, alle
schiave che possiedono, ai servi maschi che non hanno
desiderio, ai ragazzi impuberi che non hanno interesse per
le parti nascoste delle donne. E non battano i piedi sì da
mostrare gli ornamenti che celano. Tornate pentiti ad Allah
tutti quanti, o credenti, affinché possiate prosperare ...."
(Corano 24,30-31)
L'Hijab è una forma di protezione verso le fedeli dalle
possibili conseguenze dell'eccitazione maschile nel vedere
le loro forme, oltre che essere un atteggiamento di rispetto
verso il proprio marito o i propri genitori e fratelli, gli
unici autorizzati a vedere le nudità della donna.
L'Hijab è una modello di rispetto e protezione sia verso la
donna ma anche nei confronti dell'uomo, perchè limita e
controlla il naturale intenso desiderio della creatura umana
e allontana i rapporti sessuali illeciti.
Un uomo deve desiderare una donna prima per il suo carattere
religioso, per le sue qualità religiose e per l'intelletto e
poi anche per il suo corpo: allora è amore halaal(puro,
santo)fin dall'inizio, altrimenti è haram(cattivo,
proibito).
E' da tener presente che per Hijab si intende la copertura
della donna (con qualsiasi tipo di copertura non aderente)
dai polsi alle caviglie, lungo tutto il corpo, coprendo
anche la zona del petto, dal seno fino al collo e la
copertura della testa e i capelli; in pratica si lasciano
scoperte le mani, il viso ed eventualmente i piedi.
Altre forme sciite di "chador", "burka" (copertura totale di
colore nero, guanti compresi), "niqab" (velo sul volto) sono
eccessive, e non sono obbligatoriamente previste della
Sunnah e dal Corano.
L'Hijab esalta la femminilità perché la conserva e la
preserva e la limita solo al proprio marito.
Non è obbligatorio l'uso dell'hijab per le donne non più
giovani, oltre la menopausa.
Il velo islamico e la legge italiana
In Italia, gli unici vincoli dell'ordinamento giuridico
verso l'abbigliamento sono:
la pubblica decenza (art. 726 cod.pen. che prevede
l'esclusione della rilevanza penale dell'esibizione pubblica
del seno femminile), l'obbligo di indossare abbigliamento
come elemento idoneo ad indurre comunque una corretta
individuazione sociale e professionale della persona (artt.
498 e 640 cod.pen.); nel caso sia prevista un'uniforme,
oppure un "abbigliamento aziendale richiesto" non è
possibile utilizzare il chador se non espressamente previsto
o consentito, l'obbligo di indossare abbigliamento non
idoneo ad occultare o ridurre la riconoscibilità della
persona (art. 85 del r.d. 18 giugno 1931, n.773, art.5 della
1,22 maggio 1975, n.152), vietando il mascheramento ( il
Ministero dell'Interno ha autorizzato l'utilizzo del
copricapo nelle fotografie destinate alle carte di identità
di cittadini professanti culti religiosi diversi da quello
cattolico: Min. Interno - Direzione generale
dell'amministrazione civile. Circolare n.4(95) Rilascio
carta d'identità a cittadini professanti culti religiosi
diversi da quello cattolico - uso del copricapo, 14 marzo
1995, in "Quaderni di diritto e politica ecclesiastica",
1996, n.2, pag.475).
L'Hijab, il velo islamico, e la copertura del capo nei paesi
occidentali e nella realtà moderna occidentale
In una realtà occidentale, nei paesi non a maggioranza
musulmana, ove non vi siano particolari condizioni, (come ad
esempio ambienti prettamente musulmani), la copertura del
capo, il portare vestiti tipici islamici non è obbligatoria,
anzi è vivamente sconsigliata, in quanto tale modo di
vestirsi risulta motivo di attrazione della curiosità degli
uomini, abituati invece ad un abbigliamento libero e molto
“spogliato”( si tengano presenti i molti spettacoli
televisivi, compresi quelli pomeridiani visti dai bambini,
dove le donne sono quasi nude e risultano essere delle
“cose” al servizio del divertimento grossolano).
Restano valide sempre le regole di non indossare un abito
succinto, aderente, che possa comunque attirare l'attenzione
sessuale degli uomini, ma e' tranquillamente possibile
indossare abiti occidentali senza peraltro farsi notare più
di tanto.
La copertura del capo, in ambito occidentale, è notoriamente
fonte di attrazione, ma anche indice di non integrazione nel
suo tessuto sociale.
Non permette, inoltre, alla donna che si copre il capo, di
trovare lavoro facilmente.
Vi sono cose molto più importanti del rispettare
correttamente il modo di vestire musulmano, ad esempio: il
comportamento, il modo di essere, di presentarsi, il
pensiero....
Nella realtà occidentale un vestito, pantalone o gonna,
maglietta, camicia, o altro, maniche corte (per il caldo) o
pantalone corto o altro possono tranquillamente considerarsi
in Hijab (solo non per la preghiera) in giro, sempre purché'
il suo atteggiamento, il suo modo di comportarsi ed il suo
pensiero sono consoni alla propria fede, nel rispetto di Dio
Nostro Signore( Cfr::http://www.islamitalia.it).
Conflitto di sistemi politici
Ciò che stiamo vivendo in questo periodo, più che uno
scontro di civiltà, è un conflitto di sistemi politici: da
una parte gli estremisti fanatici, dall'altra le democrazie.
Il fanatismo islamico ci richiama tre problemi fondamentali:
a) mancanza di libertà istituzionale; b) esclusione del 50
per cento della popolazione, cioè delle donne, dal
progresso; c) la voragine educativa e tecnologica dei popoli
mediorientali.
Dei tre il problema delle donne rappresenta sicuramente lo
steccato che divide in modo più profondo il nostro mondo
occidentale da quello islamico. Il velo, infatti, ha
carattere “provocatorio e di proselitismo”, giacché esso è
visto come indizio di un atteggiamento che coinvolge un'idea
di vita per certi aspetti in contrasto con le libertà
occidentali e della donna.
In pratica esso è il sintomo di un disagio grave, come
dimostrano gli esempi addotti. Rispetto all'Europa del Nord,
in Italia con l'esplosione dell’immigrazione, il problema
del chador potrebbe essere sollecitato da un eccesso di zelo
cattolico, secondo cui il velo dà un'immagine della persona
che mal si accorda con la dignità individuale e con il
nostro retaggio ebraico- cristiano.
Quindi, più che disciplinare l'immigrazione, bisognerà
regolare l'integrazione. Però la domanda di fondo, anche
rispetto alla questione del velo, è sempre la stessa: i
diritti della persona sono compatibili con l'Islam?. Secondo
la scrittrice iraniana Chahdortt Djavann, 35 anni, residente
a Parigi, “il velo è una forma di barbarie, esso non è un
problema di fede religiosa - sottolinea Djavann - ma una
questione di diritti umani, di discriminazione fra i sessi,
di maschilismo applicato alla religione, di umiliazione
della donna e dei minori al pari dei maltrattamenti fisici,
psichici e sessuali. Il mondo - aggiunge - dovrebbe
condannare il velo come l'infibulazione. Non è un caso che
nel Corano il paradiso sia in realtà un paradiso maschile,
dove le donne sono eternamente belle, eternamente vergini,
ed eternamente a disposizione per realizzare il sogno
dell'orgasmo infinito”.
Purtroppo c'è una grande confusione sui diritti. Noi siamo
d'accordo con la scrittrice iraniana, perché tollerare che
la metà della società sia nascosta alla vista, come una
vergogna, equivale ad accettare, per contrasto, che la gente
circoli nuda per strada o che gli anelli al naso delle tribù
africane siano un diritto dell'uomo. Come si vede il
terrorismo islamico ci mette con forza sotto gli occhi tutti
questi problemi che prima o poi saremo chiamati a risolvere.
Maria De Falco
Marotta
GdS 20 I 04 www.gazzettadisondrio.it