Sani, matti o delinquenti?

Alcune riflessioni sul tema della capacità di intendere e di volere degli autori di reato.

Il problema della responsabilità degli autori di reato, quando
vengano ritenuti infermi di mente ed incapaci di intendere e di
volere, si ripropone periodicamente all’attenzione dell’opinione
pubblica in occasione di efferati ed incomprensibili delitti:
anche nella nostra provincia negli ultimi anni gravissimi reati,
compiuti da soggetti con problemi attinenti a patologie mentali,
come un uxoricidio, un omicidio “di gruppo” ed un infanticidio,
hanno sconvolto la popolazione scatenando una reazione a catena
di dubbi e di perplessità.


Nella storia già il diritto romano prevedeva un trattamento
particolare per gli autori di reato che fossero considerati
malati di mente: il “furiosus”, l’ “insanus”, il “mentecaptus”,
ritenuti non punibili, erano comunque passibili di custodia “in
vinculis ad securitatem proximorum”. Già allora era quindi
evidente la distinzione tra pena e misura di sicurezza, quest’ultima
riservata ai rei infermi.


E al giorno d’oggi?

Il nostro codice penale, così come avviene nella maggior parte
degli altri paesi, prevede che possa essere punito solo chi, al
momento della commissione del fatto-reato, fosse capace di
intendere e di volere e che invece non sia imputabile e punibile
chi per infermità di mente non lo era.

Dobbiamo subito capire una cosa fondamentale:

LA CAPACITA’ DI INTENDERE E DI VOLERE è da considerarsi LA
NORMA, L’INCAPACITA’ E’ UN’ ECCEZIONE.


Questa va sottolineato perché le cronache giornalistiche dei
vari fatti e relativi processi, spesso approssimative od
inesatte, ingenerano nella gente dubbi e false convinzioni: “è
troppo comodo farsi passare per matto, così uno se ne torna a
casa”, oppure all’opposto, “un delitto così terribile non può
che essere stato commesso da un pazzo”.

Dubbi che meritano almeno un primo chiarimento: da un lato non è
affatto facile “farsi passare per matto” davanti ad un perito o
ad un collegio di periti, (tralasciamo ovviamente i casi di
corruzione o di falsità ideologica che si sono verificati in
ambienti legati alla criminalità organizzata ). Dall’altro deve
essere ricordato, ad esempio, che i “serial killers”, personaggi
tristemente famosi, sono generalmente non infermi di mente e
quindi devono essere ritenuti capaci di intendere e di volere,
(sanno ciò che fanno e potrebbero non farlo): non infermi di
mente anche se spesso, ma non sempre, malati di mente.


Questo introduce un altro punto fondamentale:
LE MALATTIE DI
MENTE E L’INFERMITA’ DI MENTE PREVISTA DAL CODICE PENALE come
motivo di non punibilità, NON SONO LA STESSA COSA.


Spesso le cronache confondono malattia di mente e infermità di
mente, come se tutti i malati di mente fossero da considerarsi
infermi, quindi incapaci, quindi non punibili: niente di più
inesatto.

Solo poche e gravissime malattie di mente, e a volte neanche
quelle, o casi assolutamente sporadici di “discontrollo degli
impulsi” danno infermità di mente. Non è raro il caso, ad
esempio, in cui un soggetto affetto da schizofrenia, malattia
che viene considerata “vulgo” la più grave, sia da considerarsi
imputabile per un reato commesso, abbia quindi il “diritto” di
essere punito come tutti gli altri…


Per cui il giudizio di infermità di mente va visto in modo
attento, severo e perlomeno restrittivo. L’infermità di mente va
“dimostrata” con sufficiente convincimento in ogni singolo caso,
anche se questo pone spesso allo psichiatra forense enormi
difficoltà.


Altro punto caldo, LA PERICOLOSITA’ SOCIALE: la legge prevede
infatti che per l’imputato prosciolto per infermità totale di
mente si aprano due strade: se ritenuto socialmente pericoloso
egli verrà inviato in ospedale psichiatrico giudiziario (OPG)
per un periodo di tempo da stabilirsi e comunque non inferiore
ad un minimo o comunque, in seguito ad una recente sentenza
della Corte Costituzionale del 2003, verrà sotto posto a misure
di sicurezza, tipo libertà vigilita; se invece ritenuto non
socialmente pericoloso verrà lasciato libero.

E questo colpisce l’opinione pubblica: l’autore di un reato a
volte gravissimo, commesso in stato di totale infermità di
mente, viene prosciolto e rimesso in libertà dal Giudice, cui
ovviamente spetta la decisione finale, se la perizia
psichiatrica conclude che non è un soggetto socialmente
pericoloso, che non vi sia quindi “probabilità” che lo stesso
commetta a causa della sua infermità nuovi fatti previsti dalla
legge come reati. (questo è il concetto di pericolosità sociale
pre infermità).

Il riconoscimento della pericolosità sociale, che si basa sulle
conclusioni dello psichiatra forense, sembrerebbe richiedere a
quest’ultimo capacità quasi divinatorie, vista l’imprevedibilità
del comportamento umano (perfino quello dei cosiddetti sani),
anche se esistono criteri e parametri clinici e criminologici su
cui basarsi.


La legge distingue tra punizione e necessità di cura, lasciando
però una serie di gravi dubbi: il manicomio giudiziario è
terapeutico e riabilitativo, oltre che punitivo? (Infatti si
parla di misure di riforma di questo istituto); le misure di
sicurezza alternative al manicomio giudiziario previste dalla
recente sentenza della Corte costituzionale sono applicabili ed
utili? Chi garantisce le cure necessarie ad soggetto infermo di
mente prosciolto e non sottoposto a misure di sicurezza? E chi
garantisce in questo caso la sicurezza e la difesa sociale?

Il dibattito è tuttora aperto sia a livello scientifico che a
livello politico.

Claudio Marcassoli (x)


(x)

Psichiatra forense perito del Tribunale di Sondrio


GdS 30 IV 2005 - www.gazzettadisondrio.it

Claudio Marcassoli (x)
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