I racconti di Cristina: 9 – Gita scolastica numero uno
Non avrei mai
pensato che avere un’allieva sofferente d’asma fosse una
fortuna. Certo non per lei, poveretta, ma per me lo è stato.
Quando si va a scuola si sa, per gli insegnanti ci sono dei
momenti di crisi. Il primo è all’inizio della scuola, il secondo
è a Natale, il peggiore è alla fine dell’anno. All’inizio si è
tutti pieni di entusiasmo, i ragazzi e noi, ma soprattutto i
direttori, che vorrebbero sempre far qualcosa di nuovo. Quindi
riunioni, programmazione, buoni propositi, decalogo per
l’insegnante, sperimentazioni interdisciplinari e
transdisciplinari, tutte cose che si dimenticano dopo due
giorni, come l’oroscopo dopo il primo dell’anno. Quel direttore
però voleva essere più creativo e ci imponeva con malagrazia le
sue Idee Brillanti, dal ritiro in montagna proprio in occasione
della “tempesta delle due Madonne”, quando la prima neve scende
fin verso i mille metri, a gite scolastiche di inizio anno un
po’ diverse. Di quel ritiro non voglio nemmeno parlare, perché
anche a posteriori provo un grande senso di disagio solo a
pensarci, mentre sorrido ancora pensando alla gita.
Durante un’interminabile riunione fu presa la decisione, certo
non in modo democratico, di portare le quarte medie a fare una
passeggiata in montagna, con pernottamento al rifugio Pairolo.
Non è lontano da Lugano il rifugio Pairolo, un’ora circa di
macchina o corriera fino a Cimadera in Valcolla, un’altra ora a
piedi da Cimadera lungo un sentiero largo e comodo in un bel
bosco di faggi. Questa almeno la strada che feci io quando ci
andai in avanscoperta non appena seppi di essere stata
condannata ad andarci.
Non so che cosa mi spinga in certi momenti ad offrirmi
volontaria. Mi sembra che sia la Voce del Destino che mi dice,
sei tu che devi andare, sei proprio tu. Mi capitava da ragazza,
quando i professori chiedevano se c’era qualcuno che voleva
farsi interrogare. Se non vado io si arrabbia, se non vado io ci
castiga, forse mi conviene, la Giovanna è meno preparata di me,
poveretta; o la va o la spacca, perché no, fra mezz’ora sarà
comunque tutto finito, così non devo più studiare per la
prossima volta, e poi vedevo il mio braccio che si alzava e
sentivo la mia voce che diceva vengo io.
Ho letto da qualche parte che è tipico dell’adolescente avere
certi comportamenti suicidi, quindi forse allora ero nella
norma. Ma adesso che neanche i miei figli sono più adolescenti
non lo spiego.
Bene, chi sono gli insegnanti disponibili ad accompagnare le
classi? Bianchi, Don Fausto e la Riva per la quarta A.
Bernasconi, Don Fausto e Castelli per la quarta B. Don Fausto,
Antonucci e.. chi altri per la quarta C? Ci vorrebbe una donna,
non si sa mai le ragazze potrebbero aver bisogno… L’Anna ha i
bambini piccoli, la Carla aspetta un figlio, Rosa non cammina,
la Riva va già con l’altra quarta, la Mariuccia neanche
pensarci, ha sempre una scusa per tutto, rimango solo io. Se
proprio non può andare nessuno, allora forse, ma sì, andrò io.
Colombo uno, Colombo due, Colombo tre, aggiudicato. Bene, allora
con la quarta C andrà la professoressa Colombo. Don Fausto si
occuperà della parte spirituale e celebrerà la messa al campo.
Solo dopo la riunione ho saputo che saremmo partiti a piedi
dalla scuola, in centro a Lugano, saremmo andati in funicolare
fino al Monte Bré, poi da lì avremmo camminato fino al Pairolo
via Alpe della Bolla e lungo il crinale dei Denti della Vecchia.
Ma ormai era deciso, l’unica speranza era che cambiasse il
tempo. Mai visto un settembre così bello. Così cominciai ad
allenarmi, come mi aveva insegnato il mio papà. Tutte le sere
prendevo il cane e andavo di corsa verso il crotto Valàa, un’ora
in salita da casa.
Arriva il grande giorno. Tutti pronti puntualmente, con zaino in
spalla, jeans, scarponi e pranzo al sacco. Anni e anni che non
portavo più uno zaino: gran mal di collo, spalle e schiena. Mi
rendo subito conto che i ragazzi in pochi mesi sono tutti
cresciuti. La maggior parte sono più alti di me e le loro gambe
sono lunghe il doppio delle mie. Comincio a rimanere indietro
già in città. Cerco di far valere la mia autorità e farli almeno
stare sul marciapiedi, attraversare col verde o sui passaggi
pedonali. Sono improvvisamente diventata invisibile. Nessuno mi
vede o mi sente più.
Don Fausto è in gran forma. Ha quindici anni meno di me, le
gambe lunghe, ha passato l’estate in colonia facendo passeggiate
tutti i giorni, ed è la terza volta che fa questa strada. Non lo
tiene più nessuno. Il terzo professore non c’è. Dal Monte Bré il
sentiero sale rapidamente. Fa caldo, si suda. Che bello il
bosco, quanti ciclamini, che belli. Com’è piccola Lugano da qui,
siamo già molto in alto. Ma con chi sto parlando, dove sono
tutti. Raggiungo arrancando una fontana, tutti lì seduti a bere.
Mio papà mi diceva sempre di non sedersi mai e non bere in
salita, meglio mantenere un passo lento e regolare. Così ne
approfitto per sorpassarli e procedere col mio passo lento e
regolare. Dopo un attimo ecco che mi sorpassano tutti
schiamazzando. Si fa fatica a parlare in salita, meglio star
zitti. Ecco vanificato il mio vantaggio. Don Fausto, chi l’ha
visto, probabilmente in avanscoperta. Raggiungo due ragazzine.
Come va? Faccio un po’ fatica a respirare, mi dice Annalisa,
soffro d’asma. Oh, mi dispiace. Nonostante l’asma va più veloce
di me. Non affaticarti, mi raccomando. Non si preoccupi, dice
lei, non è grave, però ho dimenticato il Ventolin. Che cos’è il
Ventolin. Ma forse ce l’ha Michele, anche lui soffre d’asma.
Dov’è Michele.
Dopo un paio d’ore arriviamo all’Alpe della Bolla. Ci troviamo
un posto comodo per consumare la nostra colazione al sacco. Poi
andiamo a bere il caffè al crotto. Oh guarda, il custode è il
vigile Rizzi del mio paese, quello che mi sgridava sempre perché
scappava il mio cane. No, i ragazzi non possono andare alla
toilette, non siamo mica un gabinetto pubblico. Manca ancora
tanto per il Pairolo? No, non tanto, bisogna andare sui Denti
della Vecchia e scendere dall’altra parte. Tre orette.
Ripartiamo, il sentiero si fa stretto, più ripido, in mezzo alle
roccette. Da casa mia li vedo i denti della Vecchia, sono un po’
come le Dolomiti, delle punte irregolari, proprio come dei denti
di un vecchio. Noi adesso siamo proprio lassù, su da un dente
giù da un altro, come un filo interdentale, appunto. State
vicini, non allontanatevi, non lasciate il sentiero, non correte
in discesa. Non guardate giù se soffrite di vertigini. Parole al
vento.
Ci sono delle capre, ci guardano e decidono di seguirci. Fanno
la gara coi ragazzi. Accidenti, per una volta che vengo in un
posto così bello non posso neanche fermarmi a guardare. Ci sono
anche dei funghi, e quei fiori, che belli, chissà se si vede la
nostra casa da qui, dovrebbe essere laggiù, sì lì c’è la chiesa.
Come va l’asma? Insomma, non troppo bene. Riposati un po’. Non
importa. Meno male adesso si scende. Ma là dobbiamo risalire su
quel dosso e scendere di nuovo. Le capre sempre dietro.
Attenzione qui, il sentiero è diventato molto ripido, ma a chi
dico attenzione, sono già tutti in fondo.
Così per sette ore. Alle cinque, eravamo partiti alle otto,
arriviamo in vista della capanna. Don Fausto, fresco come una
rosa tira fuori il kit per la messa e si appresta a celebrare.
Annalisa ed io siamo arrivate dopo venti minuti, ma non c’è
stato bisogno del Ventolin. Non sento più i piedi. Entriamo nel
rifugio. Squallido, sporco, inospitale. I gestori, lei coi
capelli gialli e sigaretta in bocca, lui con capelli lunghicci e
sporchi, bandana alla pirata e sigaretta in bocca, due tipi
loschi. Ho saputo poi che sono stati addirittura allontanati dal
Club Alpino perché non erano affidabili. A me viene assegnata
una cameretta singola. La Pamela ha un gran mal di pancia. Le
vien da vomitare. Anche la Ramona sta male. Per fortuna ho
portato tutto, pomate, cerotti, disinfettante, Parapic per le
punture di insetti, Buscopan per il mal di pancia, Motilium per
il vomito, aspirina, paracetamolo. Non si sa mai.
Tutti buoni durante la messa all’aperto. Tutti sdraiati
sull’erba.
Arriva un trattore con un carretto a riprendersi le capre che ci
hanno seguito dall’Alpe della Bolla. Le salutiamo.
E’ già ora di cena. Pasta mal cotta con sugo versato sopra
direttamente dalle scatole. Orribile. Tutto finito in dieci
minuti. E adesso cosa facciamo, non è tardi. Don Fausto cerca di
organizzare qualche gioco. Nessuno ascolta. Don Fausto si
preoccupa che nessuna coppietta scappi dalla sala. Qualcuno ha
portato della musica. Un baccano della miseria. Sono solo le
nove. Il coprifuoco è per le dieci, a quell’ora tolgono
addirittura la luce.
Alle nove e mezzo Michele inciampa non so come, cade e si fa un
gran male al gomito. Riesci a muoverlo? No, dice lui piangendo.
Tiro fuori il mio prontosoccorso. Spalmo delicatamente sul
braccio chili di pomata per le botte. Michele continua a
piangere. Cosa fare? Siamo al buio, lontani, isolati. Cerchiamo
di fargli passare la notte tranquillo, domani si vedrà. Prendo
un cartone, lo raddoppio, lo appoggio al braccio leggermente
piegato e fisso il tutto con la benda elastica. Prendo il mio
foulard e gli lego il braccio al collo. Adesso non dovrebbe più
farti male, dai non piangere. Va meglio? Sì, un po’. Guarda,
adesso ti do un antidolorifico, così ti passa un po’ il male,
sta tranquillo, vai a letto e cerca di riposare. Non piange più.
I maschi a dormire tutti insieme in un camerone, tre piani di
cuccette grandi, come quelle che ho visto a Terezin, campo di
concentramento in Cecoslovacchia. Le ragazze in stanze più
piccole a tre, quattro letti ognuna. Don Fausto li lascia per un
po’ tutti insieme nel camerone dei maschi, c’è chi si apparta in
un angolo a farsi le coccole, chi schiamazza, chi salta da un
piano all’altro.
Adesso basta, tutti a dormire. Don Fausto prende una sdraio e si
mette davanti al camerone con una torcia elettrica in mano. Si
prepara a non dormire. Proprio come in un campo di
concentramento andrà ogni ora a controllare tutti con la sua
torcia. Michele si è calmato, forse dorme. Io vigliaccamente mi
ritiro e dormo, dormo proprio tutta la notte fino alle sette,
non ce la facevo più. Anche questa è fatta.
Il mattino seguente tutti svegli, pimpanti e pronti in un batter
d’occhio. A Michele non fa più male il braccio. E’ tornato ad
essere il rompiscatole di sempre. Don Fausto sembra riposato,
invece non ha mai dormito. Mi manca il mio caffè, ma bevo
volentieri una broda calda e mangio del pane con una marmellata
color fucsia.
Si parte. Su e giù, su e giù, ancora per sette ore. Cerco di
guardare il magnifico panorama per portarmene un po’ a casa. I
fiori non posso raccoglierli. Sono protetti. I funghi sono tutti
matti. Ma son matti solo i funghi? Gennaio 2003
Cristina
Cattaneo
GdS 10 X 2005 - www.gazzettadisondrio.it