OH, AMERICA, CHE FAI? (con intervista a Michael Moore)

di Maria De Falco Marotta

La
REALTA' OLTRE LA FANTASIA


Dopo il durissimo intervento della Guida suprema, ayatollah Alì
Khamanei sull’operato militare americano in Iraq, in special
modo, nelle città sante Najaf e Kerbala, che ha detto
testualmente “i musulmani e gli sciiti , in Iraq e nel mondo,
non possono rimanere in silenzio…. E l’odio seminato dagli USA
avrà conseguenze tragiche per decine di anni nel mondo intero” (Cfr.
La Stampa, 17 maggio 2004, pag.7), cui è da aggiungere anche
l’appello di Mohammad Khatami, il Presidente iraniano: “alle
nazioni e governi del mondo, perché si oppongano all’impudenza
americana” (Cfr.: La Stampa, 18 maggio 2004, pag.7), ci sarebbe
quasi da credere ad una colossale macchina pubblicitaria messa
in moto dalle Mayor (Miramax e Disney) per il terribile, quanto
applaudito documentario di Michael Moore Fahrenheit 9/11
presentato al 57.mo Festival di Cannes sulla tragedia dell'11
settembre ma, soprattutto, sulle colpe dell'attuale presidente
Usa che avrebbe cavalcato il dramma per i propri interessi
personali, disattendendo il destino dei suoi soldati che sono in
Iraq a difendere un diritto ad una democrazia che sono ben
lontani dallo stabilirsi.

Stavolta la realtà ha superato di gran lunga la “fantasia” (se
così si può chiamare il pamphlet spietato del regista americano,
inviso alla Casa Bianca, già per Bowling A Columbine, quel
documentario sull'abuso di armi da fuoco negli Stati Uniti, che
prendeva le mosse dalla strage della Columbus High School, dove
nel 1999 tredici alunni furono massacrati da due compagni,
premiato sia a Cannes che con l’Oscar) rendendo un luogo di
lustrini e spettacolo come Cannes, un centro di dissenso
politico per la mera ed inutile strategia guerresca di Bush e i
suoi accoliti che sta coinvolgendo, come nei vasi comunicanti,
tutti i Paesi della coalizione, piuttosto smarriti dalle
terribili conseguenze che stanno rendendo presente( sevizie,
trucidazioni di inermi, donne sgozzate per essere uscite in
strada senza velo…in: La Stampa, 17 maggio 2004, pag.6) quel
conflitto sempre più insanabile di una “Guerra di civiltà” tra
il mondo musulmano e l’occidente, preconizzato
con acume da Samuel Huntingston.


Persino i Vescovi
italiani...


Persino i vescovi italiani, piuttosto accoglienti verso gli
extracomunitari musulmani che hanno ospitato in nome della
suprema legge dell’amore di Gesù e favorevoli ad un dialogo con
l’islam (uno dei tre fratelli- coltelli) comunicano
pubblicamente, attraverso il cardinale Camillo Ruini, presidente
della CEI, che: “Proprio in Iraq divampano infatti, a partire
dalla prima settimana di aprile, con nuova intensità ed
estensione, forme di rivolta organizzata, che rappresentano una
battuta di arresto nel cammino verso la pacificazione e la
restituzione della sovranità agli iracheni, la cui portata e le
cui conseguenze sono difficili da valutare. La recente
rivelazione delle orribili torture e umiliazioni a cui sono
stati sottoposti molti prigionieri iracheni ha scosso
drammaticamente le coscienze ed ha reso ancora più profondo il
fossato degli odii e delle incomprensioni: raccapricciante è
stata poi la pretesa «ritorsione» della decapitazione davanti
alla televisione di un civile americano tenuto prigioniero.

Si impone dunque un cambiamento netto ed evidente, affinché la
situazione non sfugga completamente di mano e possa
progressivamente costruirsi una soluzione che consenta la
ripresa e l’indipendenza dell’Iraq, evitando di farne un
focolaio di crisi e di destabilizzazione dell’area circostante.
È pertanto fortemente auspicabile che trovi adeguato sostegno –
anche da parte italiana, con scelte coerenti di vicinanza e
assistenza a quel popolo – e possa avere successo l’opera
recentemente intrapresa dall’inviato speciale dell’Onu Lakhdar
Brahimi” (Cfr.: Avvenire, 19 maggio 2004).

E leggiamo il perché Fahrenheit 9/11 è stato accolto con una
standing ovation di ben 15 minuti quasi mai tributati a film pur
pregevoli “passati” sugli schermi del Festival di Cannes.


Fahrenheit 9/11


Il film documenta e ricostruisce il legame d'affari, stretto
da Bush senjor, tra la famiglia presidenziale e Bin Laden.
Rapporti che sarebbero continuati fino a due settimane prima
dell'11 settembre.

Il titolo è una citazione del Fahrenheit 451 di François
Truffaut, film del 1966 tratto dal romanzo di Ray Bradbury che
descrive uno stato d’incubo e di terrore, talmente autoritario
da mettere al rogo i libri (secondo la scala in uso nei Paesi
anglosassoni, la carta brucia alla temperatura di Fahrenheit 451).

Nel suo film, Moore opera una precisa associazione tra
l'immagine del crollo delle torri gemelle e la famosa scena del
rogo dei libri proibiti girata da Truffaut con l'intento di
mostrare la logica del potere, volta al controllo e alla
manipolazione delle verità.

Il regista all’inizio, si limita a presentare lo schermo nero e
a far sentire il rumore rimbombante delle esplosioni e,
istantaneamente, fa scorrere la sequenza degli sguardi
terrorizzati, piangenti e increduli della gente che guarda in
alto dove prima c’erano i palazzi; e dove in pochi minuti sono
morte 3 mila persone.

Certamente è un pamphlet mirato senza mezzi termini a silurare
la rielezione di Bush. Due ore piene di scoperte, denunce e
colpi bassi. George Bush è presentato come un figlio di papà dal
dubbio passato militare, socio in sfortunate imprese petrolifere
con la famiglia di Bin Laden, eletto grazie a un broglio in
Florida, insediato fra i fischi, sempre in ferie nei primi tempi
della presidenza e dopo l’11 settembre creatore e propagatore di
un culto della paura per giustificare il suo attacco in forze
contro l’Iraq accusato senza prove di preparare armi letali.
Moore denuncia anche che il Patriot Act, limitativo delle
libertà individuali, è stato votato dal Senato senza leggerlo,
deplora che i giovani volontari per la guerra in Irak provengano
dal raggiro della povera gente, provoca i senatori chiedendo che mandino in guerra i loro figli e ci fa sapere che, mentre i
reduci e i mutilati sono trattati indegnamente, intorno al
conflitto si è creata una grossa rete di affari.

«Spero che quel cretino non venga più eletto» si legge
nell’ultima lettera di un caduto. In un film così ci sono
aggressività e demagogia, però il pubblico ha applaudito, alla
fine, per circa 20 minuti.

Dichiarazioni di M. Moore (Cfr. su tutti i quotidiani italiani
del 17-18 maggio 2004)

Durante la conferenza stampa il regista non ha risparmiato
critiche al presidente americano: “L'amministrazione di Bush ha
ingannato la gente con falsi allarmi sui legami tra Saddam
Hussein e la strage dell'11 settembre. Come insegnava George
Orwell, il popolo è portato ad abbandonare la propria libertà
quando ha paura”,.

Poi aggiunge: “Bush non ha personalità, non sostiene i soldati,
li disprezza, come tutta la sua squadra. Non bisogna disprezzare
dei giovani che hanno accettato di impegnarsi per il nostro
Paese, è una cosa ignobile sostenere, come ha fatto Bush, che
alcuni nostri soldati hanno avuto momenti di debolezza. E' Bush
che li ha messi in pericolo solo per riempire le tasche dei suoi
amici e benefattori, lui è l'antimilitarista per eccellenza,
come Rumsfeld e Chaney”.

“Il film non l’ho girato per intellettuali disillusi che
continuano a interrogarsi e non trovano soluzioni, ma per il
pubblico, per il popolo americano in primis, che ha bisogno di
verità e rifiuta le bugie».

"Non sono antiamericano, sono il più patriottico del mio Paese,
difendo i suoi valori. Uno è quello di non invadere un Paese che
non ti aggredisce. E faccio parte della maggioranza, perché la
maggioranza ha votato Bush. La sua elezione è una bugia e per
una bugia Bush ha portato l'America in guerra, per il petrolio,
per le relazioni della sua famiglia ha mandato a morire tanti
giovani". Moore rifiuta l'idea di emigrare: "Negli Usa molti
sarebbero felici se lo facessi, ma io voglio lavorare nel mio
Paese per contribuire a riportare agli americani la fama di
migliori cittadini del mondo".


Domande e risposte
a Michael  Moore


-
Come è nata l’idea di girare questo film?

Leggendo un articolo del New York Times sui 26 membri della
famiglia Bin Laden che vivevano liberamente negli Usa e che dopo
l'11 settembre erano stati allontanati con un aereo privato,
senza essere interrogati da nessuno. Doveva essere un film su
Osama, poi è arrivata la guerra ed è diventato un film
sull'Iraq. Nel dvd che uscirà a ottobre ci sarà molto materiale
in più.


-
Come ha avuto le immagini della guerra che si vedono in
«Fahrenheit 9/11?

Mi hanno aiutato freelance e giornalisti che erano in Iraq e che
seguivano le operazioni militari da “clandestini”. Sono immagini
assolutamente inedite per il pubblico americano, come credo per
gli altri Paesi. Le torture le abbiamo viste nelle fotografie,
ma mai filmate e fuori dalla prigione, come avviene qui.
Fahrenheit 9/11 rivela il mistero, finalmente la gente ha la
possibilità di vedere cosa accade davvero in Iraq. Penso che gli
americani ne abbiano bisogno. Già oggi sono in molti a pensare
che l'amministrazione Bush abbia forzato una serie di
informazioni, a cominciare dalle presunte armi di distruzioni di
massa nelle mani di Saddam - che sappiamo non essere mai
esistite - per avere una giustificazione forte alla guerra. Però
Fahrenheit 9/11 non vuole essere un film su Bush ma sulla guerra
oggi, su cosa significa continuare con l'occupazione dell'Iraq.
È un film su giovani uomini e donne mandati a morire per niente
altro che gli interessi di Bush. Negli Stati Uniti si deve amare
l'esercito altrimenti non si è patriottici. Lui è
l'antimilitarista numero uno, l'esercito lo disprezza, vuole
solo riempirsi le tasche. Ha detto che questa era una guerra di
liberazione. A differenza della seconda guerra mondiale, però,
non c'è stato un Olocausto, non ci sono i nazisti da
sconfiggere. Esistono solo gli interessi del capitale di Bush e
dei suoi soci.


-
Ci dica qualcosa sulle polemiche nate sul film. Mel Gibson che
si è ritirato dalla produzione a contratto firmato e la Disney...


Come ho già detto, a accordo concluso, un paio di giorni dopo,
il mio agente riceve una telefonata da Gibson, con cui veniamo a
conoscenza che non saranno più nel film. Hanno ricevuto
pressioni... Quanto alla Disney non ha voluto più distribuirlo.
Per fortuna c'è la Miramax. Ma è come con i media. Se chiedi
alle tv americane perché non fanno vedere le immagini che mostro
nel film non danno risposte. È vero che in Fahrenheit racconto
molte cose che si sanno già, ma negli Stati Uniti non sono così
chiare. Non è solo questione di vedere cosa stia accadendo in
Iraq. Da noi sono in pochi a conoscere la storia di bin Laden e
della sua famiglia, i suoi rapporti economici con Bush, i legami
tra questi e i sauditi. Ancora di meno si dà spazio alla rabbia
della gente, alla paura dei soldati, alla loro disperazione...


-
Nonostante il controllo le immagini «nascoste» cominciano a
diventare visibili. Abbiamo visto la violenza delle torture sui
prigionieri iracheni...


Credo che si debba fare ancora di più per cercare la verità,
vale per oggi - di fronte alle torture, all'uccisione in video
di Nick Berg - e per il passato. Bush la mattina dell'11/09 è
seduto tra i bambini di una scuola, in Florida (il filmato me lo
ha dato la direzione). Ci sono state già migliaia di vittime e
lui continua a stare lì, immobile, come se non fosse accaduto
nulla. Ma il punto non è chiedersi cosa doveva fare quella
mattina o il giorno prima ma cosa avrebbe dovuto fare il mese
prima e quello ancora... Si sapeva che il terrorismo stava
programmando un attentato negli Stati Uniti, e questo significa
una sola cosa: Bush avrebbe dovuto portare i responsabili, chi
ha sottovalutato le informazioni di Fbi o Intelligence, davanti
alla giustizia. Non è accaduto, esattamente come ora con
Rumsfeld. E poi: perché nei giorni successivi sono stati
richiamati migliaia di soldati dall'Afghanistan, dove si pensava
fosse bin Laden? Perché la sua famiglia è partita in aereo dagli
Stati uniti subito dopo l'attentato? Cosa stava accadendo e cosa
accade da noi, in America? Sono queste le domande che spero il
film faccia venire in mente, e anche tante altre. Tornando alle
torture, non c'è da sorprendersi dell'immoralità. Ci sono molti
mezzi per arrivare alla libertà e alla democrazia. La
rivoluzione, come è stato per i francesi, la lotta clandestina
come contro l'apartheid in Sudafrica, la non violenza come la
predicava Gandhi. Di sicuro aggredire un Paese parlando di
liberazione non funzionerà mai.


-
Il supporto che in un primo momento gli americani hanno dato
alla guerra è il frutto di una «politica» della paura?

È un po' la stessa idea su cui lavoro in Bowling for Columbine.
Lì la gente, manipolata da una cattiva informazione, dalle
continue immagini di violenza, affronta la sua paura individuale
acquistando un'arma per proteggersi. Qui cade in un'isteria
collettiva. Bush ha manipolato il Paese facendo credere che
dietro all'11/09 c'era Saddam Hussein, e che fosse lui a
proteggere Al Qaeda. È’ un lavoro sottile, si deve far sentire
alla gente che il nemico è ovunque. È così che passano tutte le
misure del controllo. Le persone sono disposte a rinunciare alla
loro libertà per sopravvivere. Il mondo però è stato sempre
pericoloso, e si deve affrontarlo. Tutti noi americani abbiamo
bisogno di crescere, perché il buio peggiore che ci aspetta è
perdere la nostra libertà (Cfr.: Il Manifesto, 18 maggio 2004).


Chi è


Michael Moore è nato nel Michigan nel 1954.

E’ giornalista, autore di libri sarcastici e graffianti come i
best seller Stupid white men e Dude Where's My Country, oltre
che regista- documentarista.

Nel 2002 a Cannes ebbe il premio speciale per Bowling for
Columbine, documentario che fu insignito anche dell'Oscar.

Le sue soap-opere politiche (Roger and me, Canadian Bacon, The
Big One, Bowling for Columbine) e i tanti programmi tv
innovativi e irrisori (The awful truth, Tv Nation) hanno avuto
un notevole successo anche commerciale presso il pubblico
americano.

Con Fahrenheit 9/11 lo ha avuto a Cannes, ma lo avrà anche dalla
gente europea, perché conferma i “pensieri cattivi” che molti
hanno sull’incredibile operato del Presidente Bush circa le sue
presunte guerre per “seminare” la democrazia nei Paesi islamici.

Ma dove!
Maria De Falco Marotta


GdS 20 V 2004 - www.gazzettadisondrio.it

Maria De Falco Marotta
Società