Moni Ovadia tra sacro e profano
La stagione teatrale del Comune
di Sondrio è giunta nei giorni scorsi presso il
“Don Bosco” ad un appuntamento atteso con Moni Ovadia, l’aedo
dallo sguardo lungimirante che racconta sulla sua “chitara”
l’enarmonico disegno dell’ebraismo antico e contemporaneo, con
arguta ma mai saccente autoironia. Una grande lezione sulla
vita, la sua.
Il quartetto si accorda, l’affabulatore si schiarisce la voce,
si affilano le parole in una serie ininterrotta di pensieri,
tutto è pronto ad emergere dalla silhouette delle ombre, poi la
melodia tzigana comincia il suo canto primordiale che induce al
“viaggio”.
Ieratico, Moni Ovadia si siede in cattedra, non per pontificare,
ma per discorrere amenamente a destra e a manca dell’Altissimo
introducendo il pubblico in punta di lama sul concetto di
“straniero”. Il meteco dell’antica Tebe, l’ebreo errante, e i
musici rom della periferia contemporanea ritrovano così il loro
punto di convergenza in una emarginazione comune che sa di
lacrime e sangue. Ovadia si destreggia bene, tra una
dissertazione funambolica sul credo evangelico e quello
profetico della venuta del Verbo. Ma sa farlo con leggerezza,
col tono delle parabole cristiane tra ricordi dello stadio del
San Paolo dove il razzismo perde a tavolino la sua amara
partita, o tra sverniciature sarcastiche su Cristo uomo, dio,
ebreo comunque, profeta tra tanti, tra Marx, Freud, Mosè o
Einstein. Consuma così la sua apologia dell’apostasia da
miscredente innamorato di Dio, anzi tediato, assediato,
contagiato dal suo messaggio ecumenico che lo avvicina a
cardinali, vescovi e al Papa, con la stessa confidenza familiare
di un figlio scapestrato che null’altro chiede al padre che di
tenergli una mano sul capo. Sul filo del rasoio s’avventa sul I
comandamento, sulla venuta del Messia, su Abramo, grande
“negoziatore”, su Sodoma e Gomorra, sull’idolatria, dando la sua
esegesi smerigliatrice che castiga facendo ridere.
Ma è nel singhiozzo del canto che esprime straordinariamente
tutta la disperazione della sua gente tra accordi graffiati
sulle corde disarmoniche della sua anima.
Nello Colombo
GdS 20 XI 2004 - www.gazzettadisondrio.it