MAFALDA DI SAVOIA

di Franco Malnati (a cura di Lorenzo Giana)

                    

La Gazzetta
Ufficiale di sabato 26 ottobre ha pubblicato la legge costituzionale
numero 1 del 2002, promulgata dal Presidente della Repubblica,
che entrerà in vigore, ritualmente 15 giorni dopo la
pubblicazione, il prossimo 10 novembre.

E' così eliminata la XIIIa disposizione transitoria
della nostra Costituzione, in particolare il divieto di venire
in Italia che così suonava: "Agli ex re di Casa Savoia, alle
loro consorti e ai loro discendenti maschi sono vietati
l'ingresso e il soggiorno nel territorio nazionale". Una norma
che abbiamo sempre ritenuto contraria allo spirito di una vera
democrazia.

Lorenzo Giana, che collabora con il nostro giornale, Guardia
d'Onore del Pantheon e ferventissimo monarchico, ha voluto
sottolineare l'evento in un modo particolare. Pubblichiamo.


UN
RICORDO PARTICOLARE


Il rientro in Italia degli appartenenti a Casa Savoia sinora
costretti all'esilio, va sottolineato e in modo particolare. Lo
facciamo riportando il discorso commemorativo tenuto a Como, il 20 aprile 2002,
dall'Avv. Franco Malnati, in occasione dell’inaugurazione del
monumento eretto in onore della principessa Mafalda di Savoia.

OMAGGIO
A MAFALDA DI SAVOIA (FRANCO MALNATI)


"Ricordare qui, oggi, davanti a questo monumento, opera insigne
di Massimo Clerici e frutto di un recupero della memoria
storica, la Principessa Mafalda di Savoia e di Assia-Kassel
(anche quale simbolo di tutte le donne scomparse nei “lager”),
significa informare almeno due generazioni di italiani su fatti
e persone che una voluta distorsione polemica ha ingiustamente
cacciato nell’oblio.

Quando, nell’aprile 1945, si seppe in Italia (prima vagamente,
poi in modo sempre più sicuro) che la figlia del Re Vittorio
Emanuele III° era morta mentre si trovava prigioniera in un
campo di sterminio nazista, quello di Buchenwald, il governo, la
stampa e la radio, totalmente controllati dalla fazione
repubblicana, misero il silenziatore alla tragica notizia, che
passò quasi inosservata. Questo perché si volle evitare che
l’enormità della sventura della Casa Reale colpisse la fantasia
e il sentimento popolare, disturbando la violenta campagna che
proprio in quel periodo veniva condotta contro la Dinastia e in
special modo contro il vecchio Re, accusato di complicità
proprio con i fascisti e i nazisti.

Instauratasi poi la Repubblica, con il conseguente esilio dei
Reali, sulla Principessa martire calò definitivamente il
sipario. Nessuno ne parlò più, salvo qualche coraggioso
scrittore che ritenne giusto raccontarne la vita, la cattura,
l’orribile morte.

Forse adesso, nel 2002, dopo quasi sessant’anni e in un clima
mutato, è arrivato il momento di riscoprire ed onorare le
vittime dimenticate di una stagione infinita di odio e di
dolore.

Il dramma di Mafalda si apre e si chiude in un anno esatto: dal
28 agosto 1943 al 28 agosto 1944.

Nell’agosto 1943 ella è a Roma, nella Villa Polissena,
confinante con Villa Savoia. Ha con sè due bimbi, Otto ed
Elisabetta, mentre Enrico, un ragazzo di sedici anni fresco di
intervento chirurgico, è ospite dei nonni (il Re e la Regina) a
Villa Savoia. Il primogenito, Maurizio, è invece a Kassel, in
Germania, arruolato a diciassette anni nella FLAK, ossia nella
difesa contraerea della Wehrmacht. Il marito, principe Filippo,
langravio di Assia-Kassel, è pure in Germania, e non dà notizie
da tempo; Mafalda non sa che egli è praticamente agli arresti a
Rastenburg, presso il quartiere generale di Hitler, e si illude
di potersi riunire a lui in Germania, con i bambini, come
accennato nella sua ultima lettera, scritta prima degli ultimi
burrascosi avvenimenti.

Lei è figlia del Re d’Italia, e legatissima alla sua famiglia di
origine, ma è anche cittadina tedesca, principessa tedesca,
moglie di un ufficiale tedesco, con precisi doveri verso la
Germania, che comunque, fino ad ora, non collidono con quelli
verso l’Italia.

Il 28 agosto arriva una notizia terribile e inattesa. Re Boris
III° di Bulgaria, marito della sorella minore di Mafalda,
Giovanna, è in punto di morte. Non si sa nulla di più.

Le due sorelle sono unite da affetto tenerissimo. Mafalda non
può esitare un attimo, deve essere subito a Sofia. Non si pone
neppure il problema delle complicazioni che possono nascere da
un viaggio del genere in quella particolare situazione
internazionale e militare; avverte i genitori, e si mette in
treno apprestandosi ad attraversare l’Austria, l’Ungheria e la
Romania per arrivare nella capitale bulgara.

Durante il viaggio, la raggiunge la triste conferma: Boris è
morto.

Il 31 agosto è a Sofia, accanto a Giovanna ed ai nipotini
Simeone e Maria Luisa. Corrono voci strane e sinistre, il Re è
stato certamente assassinato col veleno dai nemici della
Bulgaria. Nazisti, comunisti? Non si saprà mai, non lo sappiamo
neppure oggi. Tanto Hitler quanto Stalin avevano ottimi moventi
per il delitto, ma la vicenda rimarrà coperta da mille omertà.

Intanto, la Bulgaria è sconvolta e allo sbando, la Vedova e gli
orfani sono in pericolo…come abbandonarli?

Il 5 settembre si svolgono i funerali. Mafalda vorrebbe forse
restare anche dopo, ma è impossibile. Ha tre figli in Italia, il
marito e l’altro figlio in Germania. Deve riprendere il treno, e
lo fa il giorno 7. Naturalmente, non sa, nè può sapere, nulla di
guerra e di armistizio. Si preoccupa solo di tornare.

Alle tre del mattino del 9 settembre, mentre il convoglio
attraversa la Romania e la Principessa sta tentando di dormire,
una fermata fuori programma la sveglia alla stazione di Sinaja.
Sale sul treno le Regina Madre di Romania, zia di Filippo, che
si premura di avvertirla della notizia dell’armistizio italiano.

Che fare, ora?

Il primo approdo utile è l’Ambasciata italiana di Budapest.
Lasciato il treno, la soluzione migliore pare essere quella di
fare arrivare un aereo per toccare al più presto il territorio
italiano. Non è una cosa facile, e, nonostante l’impegno dei
diplomatici italiani, l’aereo è disponibile solo due giorni
dopo, l’11 settembre, con carburante appena appena sufficiente
per raggiungere la Penisola.

Comunque, si parte. La meta logica sarebbe Bari, ma l’aereo non
ce la fa, e si ferma a Pescara. L’aeroporto di quella città è
comandato dal colonnello Raffaele Martinetti Bianchi, fedele
monarchico, che si fa in quattro per aiutare la Principessa. Il
Re e il governo sono partiti e si trovano a Brindisi, ma un
aereo (l’ultimo, prima della temuta occupazione tedesca) sta per
decollare a quella volta, e su quell’aereo vi è un posto
disponibile.

Qui si decide il destino. Se prendesse quell’aereo, Mafalda
sarebbe salva.

D’altra parte, però, come scegliere quella strada? E i bambini,
che, secondo informazioni in possesso di Martinetti Bianchi,
sono rimasti tutti e tre a Roma? E il marito, che aspetta tutti
in Germania?

No, ella non prenderà l’aereo, non si salverà. Non ha
assolutamente la percezione di un pericolo per la sua persona.
E’ italiana, ma è anche tedesca. Rispetterà i suoi doveri verso
la Germania, ed è sicura che i tedeschi la rispetteranno. Non si
rende conto che qui non sono in gioco i tedeschi, bensì i
nazisti.

Per otto giorni resta in Abruzzo, alloggiando a Chieti, prima in
un piccolo albergo sul Corso Marrucino e poi in un
appartamentino rimediato presso la Prefettura. Aspetta un mezzo
per andare a Roma. Alla fine, decide di portarsi alla stazione
di Chieti Scalo e di salire sul treno Pescara-Sulmona-Roma.
Così, il giorno 20, dopo molte ore di viaggio avventuroso
interrotto più volte dagli allarmi aerei, riesce a raggiungere
la capitale, ovviamente ormai in mano germanica.

I figli sono effettivamente a Roma, affidati dai nonni, prima
della partenza (ossia nella notte dall’8 al 9 settembre),
all’ospitalità del Vaticano. Monsignor Montini, il futuro Papa
Paolo VI°, ha addirittura ceduto la propria stanza da letto al
giovane Enrico.

Il giorno 21 la madre li riabbraccia e rimane qualche ora con
loro. Verso sera li lascia per ritornare alla Villa Polissena, e
promette di tornare l’indomani.

Non li vedrà mai più.

La mattina del 22 la chiama al telefono l’Ambasciata germanica.,
e le comunica che per le 11 di quella stessa mattina il marito
le ha fissato un appuntamento telefonico presso l’apparecchio
dell’Ambasciata.

Ancora, nessun dubbio sfiora la mente della moglie affezionata e
fedele. E’ sicura che Filippo le darà le direttive del caso per
lo sperato ricongiungimento. Corre immediatamente alla sede
diplomatica.

E’ invece un trucco banale e vergognoso per sorprendere la sua
buona fede. Il marito è già in campo di concentramento, a
Flossenburg. La si è attirata in Ambasciata per impadronirsi più
facilmente di lei senza dare scandalo all’esterno.

Non la si lascia neppure entrare. Subito due SS la afferrano per
le braccia e la trascinano su di una macchina che la porta a
Ciampino, dove la trasferiscono su di un aereo. Di lì a poche
ore, è prigioniera della GESTAPO. Un rapimento in piena regola.

Interrogatori senza fine, un vero incubo. Cosa si voglia sapere
da lei, è un mistero. Alla fine, è Buchenwald.

Neppure i tre bambini resteranno indenni. Nello stesso giorno 22
dovranno lasciare il Vaticano, e, dopo qualche tempo,
raggiungeranno in Germania la nonna paterna, a fianco della
quale attraverseranno tutta l’odissea della nazione tedesca
nella fase finale della guerra e nelle inaudite sofferenze del
dopoguerra.

Mafalda resterà vittima di un bombardamento aereo americano. Il
campo di sterminio di Buchenwald fu colpito pesantemente, stante
la vicinanza con una fabbrica, il 24 agosto 1944, e la capanna
dove essa era detenuta fu distrutta. Mafalda, con alcuni
compagni di prigionia, si era rifugiata in un fossato, ma fu
gravemente ferita da una pioggia di schegge, e trasportata in un
ospedale di fortuna, allestito in una baracca che fino ad allora
era servita da postribolo. Avrebbe dovuto essere operata
d’urgenza con l’amputazione di un braccio; invece l’operazione
fu rimandata fino al giorno 27, quando era troppo tardi, perché
si era verificata la cancrena. Comunque, spirò subito dopo
l’operazione, il giorno 28 agosto 1944, dopo inaudite
sofferenze.

Il corpo non fu cremato come accadeva di regola in quel campo;
fu seppellito nella terra, nel piccolo cimitero vicino. Per
quanto ufficialmente la Defunta fosse nota, nel lager, col nome
di Von Weber (tuttavia, si sapeva che quello era il cognome di
copertura di una Principessa Reale italiana), sulla tomba non fu
indicato neppure quello, e si preferì scrivere “eine unbekannte
Frau”, ossia “una signora sconosciuta”.

Al momento, di questa morte nessuno diede la benché minima
notizia. Solo nell’aprile 1945, come già detto, dopo che a
Buchenwald erano arrivati gli americani, la cosa si seppe, e
tutti i famigliari, sia in Italia che in Germania, piansero la
loro amatissima ed innocente congiunta.

Qui finisce la storia, che meriterebbe un romanzo, un film, uno
sceneggiato, tanti sono gli elementi di pathos che contiene.

E forse lo faranno, anzi è probabile che lo facciano.

Sarebbe giusto……a condizione però che sia una cosa onesta, una
cosa veritiera, una cosa rispettosa. Non come sta accadendo oggi
per altre vicende analoghe, che sono state distorte e falsate
per fini politici esclusivamente di parte.

Si è parlato recentemente, in occasione del rientro in Italia
dei Principi esiliati di Casa Savoia, di fare accompagnare
questo rientro da una campagna di informazione (io direi, di
disinformazione) intesa ad impedire revisionismi filosabaudi.
Contro siffatta pretesa, di alcuni personaggi della cosiddetta
“Margherita”, l’opinione pubblica dovrà opporsi, in quanto la
ricerca della verità storica non deve avere limiti, e meno che
mai essere condizionata da tesi pilotate dall’alto, come accade
nei regimi totalitari.

E quindi, parlando della Principessa Mafalda, non dovrà essere
ripetuta la grave e intollerabile calunnia rivolta contro il Re
suo padre, al quale si imputa viltà, cinismo e disinteresse per
le sorti della figlia in occasione della tragedia dell’8
settembre.

Si tratta di una infamia, di una miserabile e malvagia menzogna.

Potrei limitarmi a ricordare che nulla poteva fare Vittorio
Emanuele III° per informare le figlie, che si trovavano a Sofia,
dell’imminenza della pubblicazione dell’armistizio, non solo per
la precarietà dei mezzi di comunicazione e per il pericolo di
intercettazioni, ma, soprattutto, per l’ovvia ragione che
neppure il Re sapeva quando tale pubblicazione sarebbe avvenuta,
per iniziativa unilaterale e non negoziabile da parte degli
anglo-americani. Potrei aggiungere che, d’altra parte, Mafalda
non avrebbe mai potuto lasciare la Bulgaria prima dei funerali
del cognato (quindi, del 5 settembre), e che, in fin dei conti,
partì il 7, ossia subito dopo.

Ma il punto è un altro, ed è decisivo. Come ho già detto, la
Principessa aveva il modo di arrivare a Brindisi con l’aereo
messo a disposizione da Martinetti Bianchi. Tuttavia, per sua
libera scelta, non prese quell’aereo, e andò incontro ad un
destino diverso.

Perché?

Forse non amava i suoi genitori, forse non amava l’Italia, che
da Brindisi ricominciava a vivere?

Mai più. Nel conflitto interiore che dilaniava l’animo suo
nobilissimo, non potevano non prevalere i doveri di sposa e di
madre verso il marito e i giovanissimi figli. Come avrebbe
potuto mai abbandonarli nel momento del loro bisogno disperato
di amore e di unità famigliare?

Non pensava alla politica, non pensava a tradimenti, partiti,
dittature. Pensava a Filippo, a Maurizio, ad Enrico, ad Otto, a
Elisabetta.

Questo è l’aspetto del “caso Mafalda” più toccante, più eroico,
più femminile, più mirabile; ed è proprio questo che sfugge ai
commentatori conformisti, i quali preferiscono baloccarsi con
sciocche accuse al padre, lui pure vittima innocente dell’odio e
stroncato dal dolore immenso per la perdita della figlia
amatissima.

Mafalda rinuncia a porsi in salvo per essere vicina alla
famiglia che ha formato col marito, sposato per amore. Questa
famiglia è tedesca, ma che importa? I tedeschi non sono forse
esseri umani come noi, non meritano forse di essere amati, come
si sono amati Filippo, Mafalda e i loro bambini?

Oggi, che siamo in Europa, oggi che non c’è più un Hitler, siamo
sicuramente in grado di comprendere maggiormente l’assurdità di
certi steccati e di certi pregiudizi.

Ma c’è dell’altro, che allora sfuggiva probabilmente alla
giovane donna ansiosa, ed è invece di estrema importanza per
meglio capire, sul piano storico, i risvolti della vicenda.

Quale era la vera ragione dell’insensato accanimento di Adolfo
Hitler contro una innocua coppia di coniugi, che ben avrebbero
potuto vivere tranquilli, a Kassel o altrove, senza dare
fastidio ai nazisti?

Non era solo la bieca vendetta contro la figlia e il genero del
Re d’Italia, che lo aveva coraggiosamente sfidato per fare
uscire l’Italia dal suo abbraccio mortale.

Vi era un motivo di politica interna tedesca, sul quale gli
storici volutamente hanno steso un velo di abile e sfumata
sottovalutazione.

Proprio in quell’anno 1943 stava montando la rivolta
dell’aristocrazia germanica, di educazione ed ideologia
monarchica, contro l’usurpazione nazista, impersonata da un
uomo, come Hitler, che aveva deciso di seppellire la Germania
sotto le rovine immani della sua follia e della sua incapacità.
Dopo Stalingrado, ufficiali e nobili coraggiosi, pur legati ad
un giuramento imposto con la violenza e la frode, avevano
compreso che la Germania poteva ormai salvare il salvabile
soltanto con la fisica eliminazione del tiranno ed una immediata
pace con i nemici occidentali, e stavano quotidianamente
rischiando la vita fra complotti ed attentati.

Hitler lo sapeva. Si era reso conto che il suo piano (vittoria,
o distruzione nibelungica) poteva fallire solo per opera dei
monarchici tedeschi.

Ora, il principe Filippo, langravio di Assia-Kassel, era nipote
diretto del Kaiser Guglielmo II°, deceduto solo due anni prima e
nemico di Hitler, tanto che per i funerali, svoltisi in un
periodo in cui Hitler era all’apogeo, aveva espressamente
disposto l’esclusione di ogni simbolo nazista.

La madre di Filippo, suocera quindi di Mafalda, era la
Principessa Margarethe di Prussia, sorella minore
dell’Imperatore.

Colpire i due Principi significava dunque colpire, insieme con
la monarchia italiana, anche la monarchia tedesca, possibile
alternativa al nazismo.

Mi si potrebbe chiedere il perchè del sostanziale occultamento
di questa verità storica. La risposta è complessa, e non può
essere data compiutamente in questa sede. Mi accontento di
accennare al fatto che gli anglo-americani non compresero
l’importanza del movimento spontaneo insorto in Germania, non lo
appoggiarono, chiusero le porte in faccia ai suoi emissari, in
conclusione preferirono l’apocalisse dell’invasione sovietica e
la spartizione della Germania e dell’Europa. Per chi volesse
approfondire, esiste un libro di Joachim Fest, intitolato
“Obiettivo Hitler”

Concludendo il mio breve e commosso ricordo di una vittima
innocente dell’immane sconvolgimento mondiale del secolo scorso,
Mafalda di Savoia e di Assia-Kassel, vorrei che
nell’immaginazione di chi mi ascolta si radicasse proprio questo
concetto, forse inatteso quanto vero ed autentico, di una donna
italiana ma anche tedesca, una donna lontana dagli odi e dagli
intrighi della politica, e tuttavia ben consapevole di essere un
simbolo. Un simbolo della monarchia, intesa come principio
ideale ed universale.

La migliore conferma di questa sua sublime ed insostituibile
qualità la troviamo nell’episodio gentile dei sette marinai di
Gaeta.

Sette italiani, come lei rinchiusi in campi di concentramento
nazisti, non appena liberi seppero trovare fra mille la sua
tomba anonima, la tomba della “donna sconosciuta”, e si
tassarono fra loro per apporvi la lapide che l’identificava.

Era la tomba della loro Principessa, e vollero che si sapesse.
Vollero onorare in lei tutte le donne dell’Italia e della
Germania, del popolo come della borghesia e dell’aristocrazia,
che nel mezzo della bufera della guerra avevano saputo amare e
morire.

Monarchia non è tirannia. Monarchia è unità di una Nazione
intorno a qualcosa che la rappresenta, e nessuno meglio degli
umili percepisce il profumo di questa unità. Ecco il valore del
gesto dei marinai di Gaeta, ed io lo trasmetto a voi perché lo
portiate nei vostri cuori".
Franco Malnati

CARO
DIRETTORE
Caro direttore, sono sicuro che nemmeno tu conosci interamente
questa vicenda, e vale anche per dire a quelli che sostengono
che i mali della guerra Casa Savoia non li ha pagati. Non cito
il Duca d'Aosta morto in Kenia prigioniero degli inglesi. Per
ora mi fermo qui!

L'Avvocato Franco Malnati, è Senatore del Regno, classe 1923,
vive a Bergamo ed è una mente lucidissima! Non so se hai più
avuto il tempo di leggere "la grande frode", ma credimi, merita
di conoscere certi particolari della nostra storia patria!
Lorenzo Giana


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