'L'’amore oltre il filo spinato'

Il film - Incontro con la regista - Scheda tecnica


IL FILM


Fra le molte storie di confine che il cinema odierno ci
narra, quella del film "Le cerf-volant" (L'aquilone) della
libanese Randa Chahal Sabbag (Leone d'Argento per il Gran
Premio della Giuria a Venezia 60) è teneramente dolce. La
sedicenne Lamia (Flavia Bechara) che ha un viso bellissimo e
due occhi che sprizzano scintille, vive in un villaggio
libanese- druso, a tiro di binocolo - e di pallottole - da
un altro villaggio annesso da Israele.

Tra di loro, attraverso il megafono, spesso con esiti
esilaranti e decisamente gustosi, si svolgono le
comunicazioni di ogni genere, compresi gli accordi per i
matrimoni decisi dai maggiorenti della Comunità. Il filo
spinato li divide. Un filo spinato che gli aquiloni che
fanno volare i ragazzini del villaggio, tra cui vi è Lamia
con il suo fratellino, non rispettano. Per comprendere al
meglio la storia, immergervisi fino alle ossa - succede
anche involontariamente, per l’atmosfera rarefatta,
fantastica e così solidale che ha saputo creare la regista
-, è necessario sapere due o tre cose sui Drusi.

Essi sono una minoranza del mondo arabo-musulmano insediata
tra il sud del Libano, il nord di Israele e le alture del
Golan (Israele- Siria). Vivono una realtà autonoma e
abbastanza tradizionale, in quanto alle usanze e ai riti,
tra cui il matrimonio e ai quali non si sottraggono neanche
i giovanissimi che vedono la TV e vanno a scuola. I Drusi di
Israele sono fedeli al governo ed effettuano il servizio
militare, a differenza degli arabi- israeliani che invece
sono esentati dalla leva. Può capitare, inoltre, che alcune
famiglie siano di fatto divise dal confine israelo-libanese/siriano,
zona nella quale operano anche degli osservatori dell’ONU.


L’intera fascia è sempre attraversata da innumerevoli
tensioni militari e caratterizzata da un sorta di intreccio
etnico-politico. Le Cerf Volant è ambientato proprio in
questa striscia geografica, dove vi è un confine
controllatissimo e sigillato che divide due mondi e che per
casi molto speciali e, dopo svariate autorizzazioni, può
essere aperto. Lamia, secondo le usanze druse, viene inviata
in sposa al cugino che abita in Israele ma il suo cuore
batte per un altro ragazzo druso. Nella situazione in cui è
costretta a vivere la fanciulla, tutto può diventare un
dramma.

Per raggiungere lo sposo, attraversa la terra di nessuno
sorvegliata da uomini armati di entrambi i settori (toccante
la scena in cui supera il filo spinato nel suo abito nuziale
bianco); non ama il marito, però, ma un giovane militare
arabo arruolato nell'esercito israeliano che ha visto solo
da lontano.

Fotografato accuratamente, interpretato da attori belli e
semplici, punteggiato da intermezzi comici e musicali, il
film sembra un ultimo seguace di un neorealismo italiano del
tempo che fu; inclusa la denuncia strappalacrime per
l’universale male che le "frontiere" (nel Golan come in
Corea, in Palestina come al confine greco-turco) producono
nella vita dei giovani.


Incontro con
la regista


Randa Chahal Sabbag, una libanese dagli occhi azzurrissimi e
dal sorriso accattivante, nata e cresciuta in Libano, ha
saputo tenacemente maturare le sue scelte e i suoi ideali,
tra cui il cinema.

Ha vinto talmente tanti premi in giro per il Mediterraneo
che, l’ultimo ricevuto a Venezia, per lei non sarà che un
trampolino di lancio per dire che anche in questo campo
“L’Oriente e l’Occidente si baciano”.

- Randa, ci dice qualche particolare della sua vita?

Sono nata da padre libanese e da madre irachena, sono stata
tutta la vita sopraffatta dai conflitti. Non ho mai potuto
sfuggire a questo stato di allerta, alla sensazione
permanente di pericolo, non ho mai potuto estraniarmi dalla
guerra.

Realizzando questo film, volevo imparare a non essere più in
collera.

- Nel suo film il filo spinato, incombe continuamente sui
personaggi. Come mai?

Il filo spinato, inventato da un contadino dell’Illinois nel
1874, un certo J.F. Glidden, è uno strumento al più basso
livello dell’ingegno meccanico che, in breve, diventa uno
straordinario elemento di repressione. Questa corda del
diavolo, flessibile, leggera, adattabile, a buon mercato, ha
attraversato il tempo, senza una ruga. E’ tuttora efficace,
malgrado l’emergere di tecniche ultra- sofisticate. Il filo
spinato nel mio film, fa parte della storia di Lamia.

Perché ha chiamato il suo film “Le cerf volant”
(L’Aquilone)?

Cercavo un simbolo di qualcosa di leggero, come uno spirito
capace di volare attraverso i reticolati di filo spinato,
attraverso le barriere. «L’aquilone» (Le cerf-volant) è un
film sulle frontiere, materiali e no, che dividono i popoli.


- Lei è libanese: com’è la situazione nel Paese e quali
luoghi avete scelto per il film?

Abbiamo girato nel sud del Libano, vicino a una montagna
sulla quale sono passati, secondo la tradizione, molti
profeti, tra cui Abramo. Un posto dove sembra di poter
toccare Dio con un dito, che solo da poco si può visitare,
dopo che gli Israeliani si sono ritirati nel 2000. Com’è
noto, il Libano è tranquillo ora, a parte la frontiera sud
con Israele, dove ai tiri degli Hezbollah rispondono i raid
israeliani.

E’ successo anche mentre eravamo là. Una sera, verso le 22,
alcuni F-16 hanno fatto tre passaggi radenti sopra di noi.
Poi abbiamo sentito degli obici. I libanesi, che sono
abituati, si sono gettati a terra. I francesi (il film è una
produzione francese) invece non hanno capito nulla,
pensavano che fosse un’esercitazione. Ovviamente, i militari
sapevano che stavamo girando un film, credo volessero farci
conoscere che loro erano là.

- Quali sono i problemi pratici che avete dovuto risolvere
nel girare il film?

I primi ciak sono iniziati il 12 settembre 2001, il giorno
dopo le Torri. Uno dei ragazzi di un villaggio vicino era
tra i dirottatori, e si avvertiva una tensione enorme nella
zona. Ma per fortuna tutto si è risolto alla meglio..

- Lamia (la protagonista) supera i reticolati di filo
spinato attraversandoli come un fantasma. E’ questo davvero
l’unico modo?

Non è proprio un fantasma, è uno spirito. E’ una pura
volontà che supera la realtà e raggiunge il suo innamorato.
Con questo voglio affermare la grandezza dell’amore che
sopravanza sempre qualsiasi ostacolo. Niente lo può fermare:
né fili spinati, né armi, né differenze culturali.

- Lei ha tratto il pretesto per il film dalla cronaca?

Quando Beirut fu divisa tra Est e Ovest, nel 1979 ebbi la
necessità di passare da una parte all’altra. E quando mi
trovai nella terra di nessuno, che era molto ampia, iniziai
a correre, correre, correre. Finché un bambino con un gelato
mi disse: “Perché corri così?” e io mi accorsi di essere
dall’altra parte. Questo ricordo mi tornò più volte come un
incubo. E se nel film ora racconto di una ragazza che
attraversa la terra di nessuno, penso che si debba a questa
mia esperienza. Nella realtà, in Golan le ragazze vanno
davvero a sposarsi oltre frontiera, ma nessuna torna
indietro come Lamia.

- Alcune delle scene più divertenti sono nei dialoghi tra le
donne libanesi da una parte all’altra della frontiera
attraverso i megafoni. Perché ha scelto questo tono di
commedia?

Sono scene reali, anche se nessuna donna, effettivamente,
sposa la propria figlia parlando al megafono come nel film.
Penso che nelle situazioni tragiche sia necessario
sdrammatizzare: la guerra è così assurda che può diventare
comica. Se non vi fossero queste involontarie scene
paradossali, la vita sarebbe veramente un inferno. Per
tutti.

- Crede nel processo di pace in Medio Oriente?

Mi spiace dirlo, ma penso che non ci sia nessun processo di
pace. Gli animi di tutti sono sempre inquinati da un modo di
comportarsi ideologico che vuole la guerra, la violenza, la
separazione. Israele rifiuta uno Stato ai palestinesi e
questi rispondono con i kamikaze. Ma la cosa più
preoccupante è che in questo momento tutto il mondo è
posseduto da un’ideologia guerresca.

- Allora, un film come «L’Aquilone», crede che possa aiutare
gli uomini e le donne di oggi?

Ho fatto un film impegnato su una terra dilaniata da un
conflitto. Bush ha diviso il mondo in due: tra buoni e
cattivi, io sto con i buoni e lui è il cattivo. Ciascuno di
noi deve scegliere e capire chi sono i buoni e chi i
cattivi.

- E i giovani?

Flavia Béchara (Lamia), dopo aver visto il film mi ha detto:
“Non credi che possa servire a far credere noi giovani in
una speranza diversa?. Se per i più grandi è troppo tardi,
forse esiste qualcosa di positivo per i ragazzi.


SCHEDA TECNICA


Le cerf-volant

Origine Libano/Francia 2003

Regia Randa Chahal Sabbag

Sceneggiatura Randa Chahal Sabbag

Fotografia Alain Levent

Scenografia Sylvain Chauvelot

Montaggio Marie-Pierre Renaud

Suono Xavier Bonneyrat, Jérôme Ayasse, Fawzi Tabet

Musica Ziad Rahbani

Costumi Claudia Bahls, Jamyang Choden

Interpreti Flavia Bechara, Maher Bsaibes, Ziad Rahabani

Produttore Humbert Balsan

Produzione Ognon Pictures, Ulysse Productions

Coproduzione Leil Productions, Gimages Films, Arte France
Cinema, Soread 2M

Distribuzione internazionale Soread 2M

Durata 80’

Formato 35 mm (1:1,85), colore

Sonoro Dolby
Team De Falco - Marotta

GdS 18 IX 03  www.gazzettadisondrio.it

Team De Falco - Marotta
Società