KUBRICK: LO SPECCHIO DELLA VITA Wide shut eyes



Era da tempo nell'aria: "l'ultimo", attesissimo Kubrick.
Postumo. Un'attesa rinfocolata dal tambureggiante tam tam
mediatico dell'ossessività quotidiana dei tabloid, dalle
emittenze grigie di mezzo mondo, ma soprattutto dalla
prestigiosa vetrina della Mostra di Venezia. Un'attesa dal
sapore testamentario in cui il dissacrante genio cinematografico
di "Arancia meccanica" e di "2001-Odissea nello spazio" cavalca
il suo mefistofelico sogno d'immortalità proprio nel momento di
traghettare lo Stige.

Un percorso maledetto segnato dal malevolentissimo intento di
trascinare nel proprio sarcofago di corruzioni mentali due
giovani vittime sacrificate sull'altare del successo. È il patto
firmato col sangue dal Doctor Faustus e dalla sua ingenua
puledra non di primo pelo, certi di fama imperitura in cambio
della loro intimità più segreta, del corpo e della mente. Ed è
quanto ha fatto Kubrick, il vero protagonista del film, entrando
prepotentemente tra le pieghe inaccessibili della vita della
coppia più chiacchierata del momento (Cruise-Kildman). Un oscuro
lavoro psicoanalitico il suo, condotto con l'occhio lubrico del
voyeur (incollato sin dai primissimi fotogrammi a ogni lembo di
pelle della Kildman), legittimato dallo sguardo indiscreto di
milioni di spettatori testimoni consapevoli delle sue
masturbazioni cerebrali.

E così, in uno spietato gioco della verità in cui realtà e
finzione si accavallano fino a confondersi, sotto i vermicolanti
fumi della marijuana, emergono segreti nascosti, desideri
inconfessabili che inchioderanno la finta indifferenza di Bill
in una malsana ossessione che lo condurrà al limite della
follia.   Chi uscirà più malconcio da questo perversa
corsa al massacro, sarà proprio Tom Cruise, adombrato dalla
incandescente solarità della sua desiderabile moglie e dal suo
indubbio fascino recitativo languidamente erotico, artatamente
da chat line. L'affascinante Dott. Harford (Bill per gli amici.
Come un altro Bill travolto dal morso della mela proibita),
preda ambita da giovani gazzelle disinibite, si lascerà condurre
dalle sfrenate fantasie erotiche di Alice (anche qui la scelta
del nome non è casuale per una inquieta mogliettina ambiguamente
sprofondata nel Paese delle meraviglie hard dell'èlite
peccaminosa newyorkese) in un turbinoso gioco di promiscuità
sentimentale in cui le timide carezze dell' affetto filiale si
morderanno a sangue con la voglia di provare emozioni proibite.
Quanto basta a farlo precipitare in un abisso senza fine in cui
la vecchia "Grande Mela" guasta, ormai marcia, mostra tutta la
sua turpe decadenza, tra bamboline di porcellana vendute dalle
amorevoli "cure" paterne, sensibili al frusciante profumo
verdemarcio di bigliettoni di grosso taglio, tra le orge
sabbatiche della "noblesse tout court" relegata in circoli
esclusivi e senza freni, tra il sesso elargito a ogni angolo di
strada.

Ma cosa fa di un'affettuosa mogliettina o di una ingenua
maestrina una ninfomane assetata di sesso? E' lo stesso Kubrick
a rispondere attraverso l'oleografia delle sue immagini che si
perpetuano con una cura maniacale sulle rotondità armoniose
della Kildman: il semplice desiderio di trasgressione nata con
l'uomo …e con "Eva" nel giardino dell'Eden.

Ma proprio in questo il film fallisce il suo intento, divenendo
pericolosamente inutile. Fanno sorridere personaggi come il
portiere d'albergo quasi uscito da una macchietta napoletana,
falso lontano un miglio, proprio come l'adescatrice d'alto bordo
vittima dell'AIDS, oppure come la ragazza "facile" stroncata da
un'overdose in un inverosimile inferno lussurioso condito di
sesso e potere dove consuma il suo supremo olocausto
trascinandosi stancamente tra un branco di uomini in calore.
Così poco credibile come la grottesca sceneggiata all'"Over the
Raimbow" in cerca di un costume o alla "morgue" in cui Bill a
stento mette a freno il suo istinto necrofilo o, particolare
ancora più tragicomicamente macabro, la ridicola confessione
della figlia di un suo vecchio paziente, proprio dinanzi al
letto di morte del suo adorato genitore.

La visione onirica spesso si confonde con la realtà ed il
confine che le separa è fragilissimo, in un instabile equilibrio
che seduce, ma alla fine lascia spossati. Attraverso il racconto
"Doppio sogno" di Schnitzler, Kubrick ha però il merito di
averci trascinato di fronte a desideri inconfessati, magari
repressi, costringendoci a scoprirci nudi, come l'effervescente
Nicole con le sue natiche "en plein air", il suo visino d'angelo
perverso, immagine sublimale offerta tra le varie sequenze con
un'ossessione vertiginosa che rasenta la paranoia.

E non sarà certamente questo il segreto che il buon vecchio
Stanley s'è portato nella tomba. Nulla è servito a salvarlo dal
baratro, neppure la mistica sensualità della dolce Nicole,
spiata, frugata, penetrata nell'intimo attraverso la sua
macchina da presa, protesi avanzata di un fallocratico, quanto
impotente bisogno di possesso. Nel frattempo, sulle sue "stanche
ceneri", i coniugi Cruise si leccano le ferite raccogliendo i
frutti del loro successo. Ma a quale prezzo?
Nello Colombo


GdS 8 IV 2002

Nello Colombo
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