Come si difende la pace nel nostro turbinoso mondo?
Ci sono mode (R.Gere, buddhista e membro di Peacemaker
Circle International Inc., che si reca in Giordania per
organizzare un evento internazionale con la partecipazione
di molti personaggi famosi in favore della pace: cfr.: i
quotidiani della prima quindicina di dicembre 2003) e modi (marce, convegni, libri, Saloni dell’editoria, tipo quello
che si è svolto a Venezia e che presentava una miriade di
gruppi che promuovono il bene supremo della pace, tra cui i
giornali in internet www.grillonews.it ,
www.lagazzettadisondrio.it ; www. microchips), tutti
validissimi e preziosi per sollevare l’umanità dalle sue
ambasce, tanto da rendere universale il grido del papa
Giovanni Paolo II : Fa' che ogni essere umano, di tutte le
razze e culture, incontri ed accolga Gesù, venuto sulla
Terra nel mistero del Natale per donarci la "sua" pace(8
dicembre 2003).
Scriveva Capitini (un fervente promotore della non-violenza) qualche tempo fa:
"A noi pare che ci siano due posizioni sbagliate:
a) quella di coloro che dicono di volere la pace, ma
lasciano effettivamente la società attuale come è, con i
privilegi, i pregiudizi, lo sfruttamento, l'intolleranza, il
potere in mano a gruppi di pochi;
b) quella di coloro che vogliono trasformare la società
usando la violenza di minoranze dittatoriali e anche la
guerra, che può diventare atomica e distruttiva per tutti.
Per noi il rifiuto della guerra e della sua preparazione
militare, industriale, psicologica, è una componente
fondamentale del lavoro per la trasformazione generale della
società.
(dal periodico IL POTERE E’ DI TUTTI, pag.159).
La presenza delle armi “intelligenti” e tra poco vi sarà il
soldato “Intelligente”
(cioè strutturato come un automa ad alta tecnologia che non
patirà più alcunché, tranne l’handicap dello scaricamento
delle pile che avranno un’autonomia di solamente 72 ore: cfr.
La Stampa, 10 dicembre 2003) ci costringono oggi a lavorare
sul serio per superare tutti insieme, con il rifiuto della
violenza e l'uso della non-violenza, le ragioni, le
occasioni e gli interessi che portano alla guerra, ai
conflitti armati tra i popoli della terra.
Le scelte di pace e di giustizia della non-violenza
emergono oggi dall’incertezza dei buoni propositi e si fanno
strada come le più praticabili, le più sperabili, perché le
meno dolorose, nella soluzione dei problemi internazionali,
dove la lotta per il disarmo, per i diritti umani e civili,
contro la miseria e la fame, per la costruzione di rapporti
amichevoli e solidali tra i popoli, le nazioni e gli stati
nota impegnati numerosi movimenti politici, religiosi,
volontaristici (e se dovessi citarli tutti, non basterebbero
tutte le pagine Web).
Dall’ONU è spesso ricordato che nel nostro tempo si è, per
la prima volta nella storia di sofferenze del genere umano,
raggiunta la capacità di garantire a tutti (quasi) la salute,
il cibo, l’educazione (ma non proprio se esistono ancora
milioni di analfabeti).
L’ostacolo è nella gestione egoista delle risorse, però voci
e forze autorevoli si muovono con tenacia per superare
insieme le difficoltà. Le oligarchie ricchissime che
governano l'economia mondiale chiedono mani libere in nome
dello sviluppo (ovviamente, del loro tipo di sviluppo che ha
illuso i popoli dell'Asia, che ha ri-colonizzato l'Africa,
che ha scatenato l'integralismo islamico, che ha perpetuato
la miseria dell'America Latina, che distrugge ogni giorno
l'ambiente naturale in molte zone della terra).
Molti lavorano per togliere il potere assoluto a costoro e
riconsegnarlo ai cittadini del mondo che propongono in ogni
dove (ultimamente, Il terzo Salone dell’editoria di pace,
Venezia, 6-8 dicembre 2003, una commovente raccolta di
piccole case editrici che pubblicano esclusivamente
documenti sui mali dell’umanità finalizzati a proposte
concrete per risolverli, anche con l’aiuto di altre culture
provenienti dall’Oriente: buddhismo, induismo, taoismo…)
strade, modi percorribili per ridurre le spese per gli
armamenti, cancellare i debiti agli Stati del terzo mondo,
sottrarre ai potenti il controllo esclusivo sui prezzi delle
materie prime, procurare ai Paesi poveri le risorse della
tecnologia per la crescita della loro economia e della loro
cultura, realizzare piani di aiuti internazionali tra Paesi
ricchi e poveri, aggiudicare all’ONU i mezzi per risolvere
le guerre locali, sia con la forza dei "Caschi blu" che con
la non- violenza dei "Caschi bianchi", lavorando uniti per
salvare le persone e l’ambiente terrestre.
Ma quali sono le richieste possibili dell’umanità?
Il rifiuto deciso delle soluzioni violente, l’isolamento dei
Paesi, dei gruppi e degli individui violenti, l’appoggio ai
Paesi, ai gruppi e a quanti praticano le tecniche della non-violenza, attraverso una mobilitazione internazionale
dell’opinione pubblica. Mezzi non più irrealizzabili per
indurre nella direzione della pace.
"Nell'idea di fratellanza dei popoli si riassumono i
problemi urgenti di questo tempo: il superamento dello
imperialismo, del razzismo, del colonialismo, dello
sfruttamento: l'incontro dell'Occidente con l'Oriente
asiatico e con i popoli africani....; la fratellanza degli
europei con le popolazioni di colore; l'impianto di
giganteschi piani di collaborazione culturale, tecnica,
economica.
(IN CAMMINO PER LA PACE, pag.47)
La mondializzazione, indotta finora soltanto da interessi
economici, deve nascere come propria dai popoli della terra,
che possono trarre il massimo profitto dalla gestione
unitaria delle risorse, dalla programmazione internazionale
delle ricerche scientifiche, dallo scambio sempre più ampio
di conoscenze culturali.
"Con la non-violenza si arriva ad un mondo dove ci sia la
libera circolazione di tutti dappertutto. Che a ciò si
arrivi gradualmente dipende dalle forze in movimento, dagli
strumenti apprestati, dagli animi pronti.
Le Nazioni Unite possono aiutare questa realizzazione,
incalzandola e reprimendo violenze.
Ma noi già intravediamo questo fine universale.
E se intanto si scambiassero migliaia di giovani lavoratori
e studenti per lunghi periodi, ne sarebbe un'anticipazione
certamente utile."
(LA NONVIOLENZA OGGI, in Scritti sulla non- violenza, pag.185)
Amici palestinesi e israeliani oggi ci invitano a riflettere
sulla angosciosa situazione di due piccoli popoli di razza
simile che, in ostaggio a vecchi pregiudizi e rancori, agli
interessi regionali di potenze straniere, sono istigati a
odiarsi, a uccidersi o ad avere come prospettiva meno
peggiore quella di costituire in un fazzoletto di terra due
piccoli Stati armati e contrapposti. Mentre basterebbe non
ascoltare gli interessati protettori che forniscono le armi
per uccidere, e vivere e lavorare insieme senza altri
problemi di quelli, immensi, che la natura e la vita ci
pongono sul cammino (Cfr.: quotidiani di dicembre 2003).
Capitini non si illudeva sulla nostra capacità di costruire
qui e subito una società non-violenta in cui il potere
fosse di tutti: esortava tuttavia a trovare insieme la
tensione religiosa, sociale, politica indispensabile per
risolvere le contraddizioni odierne rifiutando ogni
intolleranza, contrastando ogni violenza, realizzando i
valori più alti dell'umanità.
Attualmente è consolante rendersi conto che nel mondo intero
esistono persone, gruppi, associazioni, intellettuali che
lavorano per la pace.
Però questa non vi sarà mai, se non si riuscirà a risolvere
la questione palestinese (Cfr. i quotidiani di dicembre
2003).
Per tale motivo, l’intervista a Sami Aldeeb (aldeeb@bluewin.ch)
Presidente dell'Associazione per un solo Stato democratico
in Palestina/Israele, potrebbe offrire spunti anche per
altre soluzioni pacifiche del gravissimo conflitto in corso
tra israeliani e palestinesi, di cui, tuttora, è difficile
pronosticare la fine.
Professore, come è nato il suo impegno in favore dei
palestinesi?
Prima di stabilirmi in Svizzera, ho lavorato per due anni
come impiegato locale della Croce rossa internazionale nella
regione di Jénine. Dovevo corredare i delegati della Croce
Rossa e far loro da interprete. Accoglievo e visitavo le
famiglie dei prigionieri palestinesi, vedevo la miseria dei
miei compatrioti. Quando sono venuto in Svizzera con una
borsa di studio, mi son detto: non mi occuperò di politica.
Il mio scopo era di finire i miei studi e di ritornare in
Palestina per servire meglio quelle persone. Ma vedendo gli
ebrei sionisti svizzeri difendere a sproposito Israele, ho
capito che non avrei potuto tacere.
Un giorno i sionisti hanno distribuito un volantino in
Svizzera che chiedeva del denaro per fare " fiorire il
deserto ". Mi sono ricordato allora del villaggio di Emmaüs,
il famoso villaggio biblico che Israele ha raso al suolo
completamente nel 1967 dopo avere espulso i suoi abitanti.
Sull'area di questo villaggio, ha poi piantato una foresta
chiamata Parco Canada per gitanti con la "generosità "
degli ebrei canadesi. Israele ha cancellato così le tracce
di questo villaggio per una foresta. Mi sono chiesto: quanti
altri villaggi palestinesi hanno subito la stessa sorte, in
seguito alla menzogna israeliana di fare " fiorire il
deserto "? Così ho cominciato a inviare lettere ai giornali
svizzeri per far conoscere la verità e i sionisti mi hanno
trattato da bugiardo. Intanto, ho potuto ottenere da Padre Pierre Médébielle di Gerusalemme tre foto di Emmaüs,
scattate prima e dopo la distruzione del villaggio da parte
di Israele. Le ho diffuse in Svizzera. I sionisti mi hanno
trattato di nuovo da bugiardo. E, tuttavia, le foto sono là!
Io conoscevo bene questo villaggio per averlo visitato prima
e dopo la distruzione.
Ho deciso allora di fondare nel marzo 1987 con gli amici
svizzeri un'associazione per ricostruire Emmaüs. Lo scopo
era di fare conoscere la storia di questo villaggio e le
rivendicazioni dei suoi abitanti. Uno dei nostri membri,
Christophe Uehlinger si è incaricato di verificare l'elenco
dei villaggi palestinesi distrutti da Israele sulla base di
carte geografiche israeliane che menzionavano espressamente
sotto il nome dei villaggi il termine ebreo
"harouss" che significa "distrutto”. Chiunque può vedere
l'elenco in:
http://w1.858.telia.com/~u85819409/altinfo/list%20localities.htm).
Altri particolari in:
http://www.lpj.org/Nonviolence/Sami/Album.html.
Ci può dire qualcosa dell'Associazione per un solo stato
democratico in Palestina/Israele?
Emmaüs è uno tra i 385 villaggi palestinesi distrutti da
Israele. i suoi abitanti sono un esempio tra tanti altri
espulsi dalle loro terre e dalle loro case. Con l'insuccesso
degli accordi di Oslo e del foglio di via che hanno dato
tanta speranza, mi sono detto che bisognava occuparsi anche
degli altri profughi palestinesi. Questi due accordi, come
del resto quello di Ginevra, avevano per scopo principale di
creare due Stati. Con ciò gli israeliani volevano far
perdere il diritto dei profughi di tornare là.
Ora questo non sarà accettato mai dai profughi, eterni
perdenti del conflitto israelo-palestinese che hanno
dimostrato di essere capaci di far fallire ogni accordo che
non tiene conto del loro diritto al ritorno. Dopo tutto,
Sharon il russo, e Pérès il polacco, hanno il diritto di
venire in Palestina, perché no agli altri profughi, visto
che un tale ritorno non darebbe grandi problemi perché la
maggior parte dei villaggi distrutti da Israele sono
disabitati; oppure vi sono foreste nei luoghi da loro
occupati, per cancellare le loro tracce?
A parte il problema dei profughi, bisognava arrendersi
all'evidenza che la creazione di due Stati significa che lo
Stato palestinese sarà a maggioranza musulmana che
discrimina i non-musulmani e le donne, e lo Stato
israeliano sarà a maggioranza ebraica che discrimina i non-ebrei e le donne. Infine, il territorio su cui dovrebbero
stabilirsi i due Stati è grande come un fazzoletto. Tanto
gli ebrei che i non-ebrei che abitano lì si sentono
attaccati all'insieme di questo territorio, e hanno degli
interessi economici in comune. Tagliare questo territorio in
due, creerebbe solamente altre ingiustizie. In nessun caso i
profughi palestinesi lascerebbero vivere in pace Israele
che, al primo attentato, rioccuperà lo Stato palestinese e
si ricomincerà da zero.
Bisogna arrendersi all'evidenza che l'unica soluzione
percorribile è di mantenere un solo Stato coi diritti uguali
per tutti, rigettando ogni discriminazione sulla base della
religione o del sesso.
Del resto, la Palestina lungo la sua
storia non è stata divisa che per una ventina di anni (1949-1967). La geografia del
Paese non permette la divisione.
Certo, si può dire che l'odio tra ebrei e non-ebrei in
questa regione impedisce la creazione di un solo Stato per
il momento, ma questo odio è dovuto all'ingiustizia. Se si
ripara l'ingiustizia, l'odio sparirà. La divisione del
territorio in due Stati farà aumentare solamente l’odio. Se
detestate vostro fratello, non è una ragione valida per
tagliare vostra madre in due pezzi.
L'idea di creare un solo Stato è stata avanzata spesso dagli
israeliani e dai palestinesi. L'Olp ne faceva il suo credo
principale e il rimpianto Edward Said difendeva una tale
idea. Ma nessuno è entrato nei dettagli riguardante la
cornice giuridica che doveva reggere un tale Stato. Ho
capito, allora, che si doveva creare un'associazione per
incaricarsi dell’idea e svilupparla. Così è nata il 15
aprile 2003 l'Associazione per un solo Stato democratico in
Palestina/Israele. I suoi statuti fissano, per la prima
volta, il quadro giuridico dello Stato auspicato. Si trova
in differenti lingue sul nostro sito:
www.one-democratic-state.org. Essi partono dal principio: "La pace sarà il frutto della giustizia" (Isaia 32:17). Nel
mese di dicembre 2003, l'Associazione conta 296 membri:
ebrei, cristiani, musulmani ed altri, viventi all'interno ed
all'esterno sia della Palestina, che di Israele. Ogni giorno
vi sono numerose persone che aderiscono alla nostra
Associazione.
Quale è la vostra posizione al riguardo degli accordi di
Ginevra?
La nostra Associazione ha rigettato gli accordi di Ginevra
che giudica immorali. Essi trascurano volontariamente il
diritto al ritorno dei profughi palestinesi, e divide il
Paese in due Stati che saranno necessariamente due regimi
discriminatori. Abbiamo condannato il ruolo giocato dalla
Svizzera nella conclusione di questi accordi che violano le
convenzioni di Ginevra ed il diritto internazionale, che
quello della stampa internazionale, chiedendo anche alla
Svizzera, in nome del dibattito democratico e plurale, di
finanziare un'altra conferenza che abbia in conto, il
diritto al ritorno dei profughi palestinesi e la difesa per
la creazione di un solo Stato democratico in
Palestina/Israele. Aspettiamo sempre la risposta a queste
richieste legittime.
Inoltre è da dire che i negoziatori palestinesi si sono
fatti intrappolare dai loro interlocutori israeliani. Adesso
che essi ritorneranno nel loro Paese, scopriranno che i
profughi sono irritati contro di loro e minacciano
addirittura di ucciderli. Ciò rischia di provocare una
guerra civile tra i palestinesi.
Che fare in questo caso? la
nostra Associazione stima che è un dovere della Svizzera
venire in aiuto di questi mediatori, offrendo loro l'asilo
politico, prima che siano uccisi.
Quali passi vuole intraprendere la vostra associazione per
realizzare il suo obiettivo?
la nostra Associazione ha un scopo educativo. Vuole
promuovere l'idea della pace basata sulla giustizia ed il
rispetto del diritto internazionale. Stima che senza il
ritorno dei profughi palestinesi nel vicino Oriente, non vi
sarà mai pace. E’ convinta che le parti in conflitto,
finiranno per adottare questo punto di vista. Inoltre,
desideriamo suscitare il dibattito intorno a questa
soluzione sul piano israeliano, palestinese, arabo ed
internazionale, senza costringere nessuno ad adottare il
nostro punto di vista, dicendo, tuttavia, che l'unica
alternativa a questa soluzione, è una discesa all’inferno
per tutti. E questo è confermato ogni giorno sul campo per
tutti.
Accanto a questa promozione dell'idea di un solo Stato, non
escludiamo un giorno, se il nostro numero aumenta, di
proclamare un governo esiliato.
E’ anche probabile che
formiamo un partito politico composto da ebrei, cristiani
musulmani, agnostici ed altro, per sostenere la
realizzazione del nostro obiettivo. Invitiamo ogni persona
interessata alla nostra associazione che ha in mente di
aderire, di riempire le seguenti domande, inviandole
all’indirizzo: aldeeb@bluewin., accettandone gli statuti in:
http://www.one-democratic-state.org e di voler esserne
membro., con nome, indirizzo, religione, nazionalità, E-
mail e indicazioni personali in due linee (curriculum e
funzione attuale).
Chi è:
Sami Aldeeb, dottore in diritto, Presidente
dell’Associazione, è un cristiano di origine palestinese e
di nazionalità svizzera. Vive in Svizzera dal 1970. Ha
conseguito il suo dottorato in diritto all’università di
Friburgo (1979), conseguendo, poi, un diploma in scienze
politiche all'istituto universitario degli alti studi
internazionali di Ginevra (1976). Lavora dal 1980 in un
istituto svizzero in quanto responsabile del diritto arabo e
musulmano.
Ha pubblicato numerosi lavori ed articoli,
trattando principalmente la connessione tra il diritto, la
religione e le politiche internazionali. Si trova l'elenco
ed un certo numero dei suoi articoli nel suo sito:
www.go.to/samipage.
“La risposta all’ingiustizia non deve fare tacere il
critico, ma rimediare all’ingiustizia” ( Paul Robeson).
Maria De Falco
Marotta
GdS 18 XII 03 www.gazzettadisondrio.it