IL COLORE BIANCO
 LA SCIENZA DEL 
 CONOSCERE
 La potenza della Metafora ci ha illuso di poter comprendere 
 tutto e ci ha trascinato a sfidare le forze della natura e a 
 pretendere un posto alla tavola degli dei 
 Non è certo questa la sede per affrontare lo spinoso problema 
 della "conoscenza", pertanto, consentitemi di proporre alcune 
 definizioni un po' volgarizzate ma di facile comprensione.
 Definiamo come "di-fuori" (contrapposto al di-dentro) quell'insieme 
 di cose-e-relazioni, concrete-ed-astratte, 
 conoscibili-e-non-conoscibili che nel loro insieme formano 
 quello che Kant chiamava il "Noumeno". 
 E come "di-dentro" quel posto (reale o virtuale che sia) 
 interessato ad acquisire informazioni sul "di-fuori" finalizzate 
 alla realizzazione di una "mappa", di un modello metaforico dal 
 quale poterne desumere i possibili sviluppi.
 Definiamo quindi "epistemologia" (La scienza del conoscere) come 
 l'interfaccia tra questi due "mondi", cioè quell'insieme di 
 strumenti sensoriali (materiali, concettuali o metaforici che 
 siano) 
 utilizzati dal "nostro di dentro" per acquisire informazioni sul 
 "nostro di fuori" . 
IL MONDO 
 DEL "DI FUORI"
Come corollario notiamo che il cosiddetto mondo del "di fuori" 
 risulterà suddiviso in due parti: il "conoscibile, e il "non 
 conoscibile". "Conoscibile" sarà quella parte che riuscirà ad 
 interagire con gli strumenti di deduzione che fino a quel 
 momento avremo messo a punto, ed invece chiameremo "inconoscibile" 
 l'altra parte, la quale tra l'altro, finché non avremo adottato 
 nuovi strumenti in grado di rilevarla, a tutti gli effetti ci 
 apparirà semplicemente inesistente. 
 Il "gesto del conoscere", così definito, ci consente di 
 trasformare "l'esperienza" (cioè l'interazione dei nostri 
 strumenti col "conoscibile") in un mezzo utile per far 
 previsioni e, in seconda battuta, in un mezzo per trasferire il 
 "conoscibile" nel "conosciuto". 
 L'esercizio di tale metodologia e la fiducia crescente nella sua 
 capacità di fare previsioni, producono presto una sorta di 
 "digestione del conosciuto": 
 così il modello prima si trasforma in strumento e poi viene 
 introiettato ed annega in quel profondo mare di certezze che 
 chiamiamo "sapere".
 Qualcuno liquidò questo processo in maniera sbrigativa ma 
 brillante definendo Il sapere come "ciò che rimane della 
 conoscenza dopo che abbiamo dimenticato tutto il resto." Così 
 succede, ad esempio, che per prendere la patente ci esercitiamo 
 con sequenze di gesti ostici, digeriamo insuccessi e liturgie 
 frustranti: finché di colpo, rimosse fatiche e frustrazioni, ci 
 ritroviamo improvvisamente a guidare l'auto ascoltando la radio 
 e conversando col nostro passeggero.
 Cosa è successo? Il volante, magicamente, si è trasformato in 
 una estensione delle nostra braccia, il motore ed i freni in una 
 estensione dei nostri piedi e l'automobile stessa in una 
 estensione del nostro corpo ed, in fin dei conti, del nostro 
 desiderio di girare a destra (o a sinistra).
 Questo è il modo. E per generazioni il "sapere" ha continuato a 
 migrare, come per incanto, da un individuo all'altro attraverso 
 l'emulazione ed il tirocinio. 
 Chi voleva acquisire "knowhow", si poteva recare, a seconda dei 
 casi, dal "Saggio", dal "Mago", dal "Maniscalco", ma da costoro 
 riceveva invariabilmente solo indecifrabili alchimie e 
 vessazioni iniziatiche. 
 Da chiunque si recasse il compito dell'"Apprendista Stregone" 
 era sempre lo stesso: doveva preparare la cena, lavare per 
 terra, pulire i cessi e se avesse mostrato qualche idiosincrasia 
 essa sarebbe subito diventata la sua attività prevalente. 
 E guai ad allungare le mani verso gli strumenti del mestiere (o 
 a fare domande pertinenti), come all'allievo nella favola zen 
 per l'interesse mostrato avrebbe ricevuto in compenso una riga 
 di legnate.
 Ma poi, un bel giorno, il Maniscalco moriva e l'allievo, di 
 colpo e con stupore, scopriva di sapere forgiare , scopriva che 
 il Sapere del maestro, come per magia, era migrato in lui e 
 scopriva infine di essere diventato lui stesso un Maniscalco.
E DOPO 
 MIGLIAIA DI ANNI...
 Così andarono le cose per migliaia di anni, ma alla fine accadde 
 qualcosa di esplosivo e rivoluzionario: qualcuno scrisse un 
 "manuale".
 Certo il fenomeno cominciò molto prima, infatti qualcuno, prima, 
 aveva imparato a raccontare le storie più complesse attraverso 
 il linguaggio metaforico ("..come talor toro furente - della 
 montagna i fianchi discende - e tutto travolge…" vi ricordate 
 l'Iliade?) e qualcun'altro aveva già iniziato ad incidere quelle 
 storie sui monumenti di marmo o sui papiri, ma quando apparve il 
 primo manuale l'umanità, folgorata e travolta, iniziò quella 
 trasformazione che presto l'avrebbe (definitivamente?) 
 differenziata dal resto degli animali.
 Abbiamo detto rivoluzionario ed esplosivo: rivoluzionario, 
 perché da quell'evento in poi chi avesse voluto imparare 
 qualcosa avrebbe potuto desumerne "il knowhow" dalle metafore 
 espresse nel manuale, ed esplosivo poiché lo stesso manuale 
 (riprodotto in scala) avrebbe potuto istruire una moltitudine di 
 allievi anche contemporaneamente.
 Da allora è stata inventata una Metafora adatta per ogni branca 
 dello scibile, è stato scritto un manuale per ogni cosa e sono 
 stati sperimentati i più fantastici mezzi per renderli 
 disponibili (dalle Tavole di Mosè ad Internet) producendo quel 
 fenomeno che chiamiamo "globalizzazione".
 Così, la potenza della Metafora ci ha illuso di potere 
 comprendere tutto e, in un delirio crescente e condiviso, ci ha 
 trascinato (novelli Tantalo) a sfidare le forze della natura e a 
 pretendere un posto alla tavola degli dei.
 A questo punto non possiamo fare altro che toglierci il 
 cappello, rispettare un minuto di silenzio e riflettere su di 
 una parabola che, sembra, raccontasse Einstein a coloro che gli 
 avessero chiesto di spiegargli la relatività: 
 La parabola - pare 
 - di Einstein: il colore Bianco
Un giorno, camminando in campagna, un cieco passò vicino ad una 
 cascina ove un contadino stava accudendo agli animali del 
 cortile.
 Il cieco era immerso nei suoi pensieri ed era ossessionato dal 
 problema del Bianco. Egli conosceva il nome di quel colore ma 
 per quanti sforzi facesse non riusciva a comprendere cosa 
 potesse significare. Sicché si fermò, si rivolse al contadino e 
 così gli parlò:
 - Buon Uomo, Lei che è così pratico delle cose della terra, mi 
 potrebbe spiegare cosa è il Bianco?
 - Beh, rispose il contadino, E' facile: il Bianco è il colore 
 delle penne del Cigno!
 - Il colore delle penne del Cigno? Io so cosa sono le penne, 
 disse il cieco, ma non so cosa sia il Cigno.
 - Ha presente un'oca? Ebbene il Cigno è come un'oca, ma molto 
 più grande e con il collo lungo ed adunco.
 - Con calma: posso immaginarmi un'oca grande ed anche un collo 
 lungo, ma non riesco proprio a capire cosa sia "Adunco".
 Il contadino, forse spazientito, si avvicinò al cieco e gli 
 disse:
 - Stia bene attento.
 Così dicendo gli prese un braccio con ambedue le mani e 
 mantenendolo ben teso aggiunse:
 - Vede, così è dritto.
 Quindi colle mani piegò il braccio del cieco in maniera che 
 assumesse una curva simile a quella del collo del Cigno.
 - e così è "Adunco"!
 Il cieco si concentrò sulla forma del braccio per percepire il 
 concetto, quindi sorrise come pervaso da una illuminazione e 
 disse:
 - Grazie, ho capito...
 Mario Quaglia 
GdS 28 VII 2002 - www.gazzettadisondrio.it
