CINEMA: LA MACCHINA DEL TEMPO
La vita è l’unico spettacolo in cui non ci sono prove, è l’unico
processo del quale non c’è appello, è una di quelle poche volte
in cui a nessuno è concessa una seconda occasione.
Ma talvolta gli uomini non si arrendono al fato e talvolta alla
lunga ne hanno ragione, talaltra No.
Su quest’idea non nuova ma encomiabile si permea la fatica
ultima del regista Gore Verbinsky che raccoglie il nobile e
antico testimone del viaggio nel tempo che è toccato tanti anni
fa ad altri e più o meno illustri esponenti del mondo della
fantasia: da Benigni e Troisi con il loro “Non ci resta che
piangere” a Michael J. Fox nella trilogia “Ritorno al futuro”,
senza però sviluppare in uno dei mille modi possibili l’idea
stessa e senza renderla questa volta affascinante, intrigante.
Il film comincia con la nobile ricerca di una seconda volta per
l’amata del protagonista Guy Pierce, ma si perde in un’altra
dimensione e cambia totalmente ambiente narrativo e logica
narrativa, mutando in una storia che nulla ha a che vedere con
quella di partenza, diventando quindi un altro soggetto,
un’altra storia.
Questo è uno degli errori più maldestri che si possano
commettere nel cinema moderno.
Si apprezza indiscutibilmente una straordinaria capacità
dell’utilizzo del computer che costruisce e cambia i paesaggi
attraverso lo spazio e il tempo in modo decisamente
spettacolare, ma a parte questo il film non ha una battuta né
un’idea nuova da portare a casa ( ricordate il famoso: “quanti
siete..dove andate...un fiorino!), e non si vive di sola fibra
ottica.
Mirko Spelta
Per comunicazioni all'autore della recensione:
ginodilegno@inwind.it
GdS 18 IV 2002
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