CINEMA: K-PAX
“...Ogni essere naturale sa distinguere tra bene e male, gli
individui sono cresciuti da tutta la collettività...” su K-Pax
niente famiglie, niente leggi e niente avvocati.
Una meravigliosa storia forse extraterrestre , che nasce dal
dolore e che nel dolore psichico della civiltà schizofrenica e
ansioso-depressiva dei giorni nostri si sviluppa, attraverso la
voglia estrema di un giusto quasi angelico, in una stimolante
tensione tra scienza e speranza e tra sacro e profano che
approda nella inverosimile e straordinaria complicità dei due
mostri sacri Jeff Bridges e Kevin Spacey, che in questo ultimo
lavoro del regista Iain Softley offrono prove d’attore di grande
credibilità e livello.
Il film offre in maniera gentile e senza astronavi una
interessante riflessione sul tema della proiezione esterna dei
possibili “altri mondi”interiori, sull’introspezione nell’uomo
attraverso ciò che è più lontano da se stesso, sulla ricerca di
ciò che è l’uomo partendo dall’incognito di altre galassie, in
un percorso narrativo che grazie all’attrazione per quell’essere
così simile e così diverso (che è storia vecchia per l’uomo) ci
permette di giungere fino all’analisi interiore.
Siamo noi ad osservare Robert-Spacey in un viaggio dentro se
stesso o è lui ad accompagnarci in un viaggio dentro il nostro
pianeta lontano? cos’è la malattia, cos’è la speranza, chi è
Prot e quanto è umano? e noi, quanto siamo umani, quando siamo
umani?
Mirko Spelta
Per comunicazioni all'autore della recensione:
ginodilegno@inwind.it
GdS 18 II 2002
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