09 12 30 LA FINE DEL FILIBUSTER?
Ci sono abbastanza voti per procedere al voto nel Senato grazie alla "tangente Nebraska" e la "tangente Louisiana". Ecco come il Senatore Charles Grassley, repubblicano dell'Iowa, ha descritto il cambiamento di direzione dei suoi colleghi democratici Ben Nelson e Mary Landrieu. Questi due, dopo molte negoziazioni, hanno ricevuto benefici per i loro rispettivi Stati. Ciò ha permesso ai democratici di rompere il filibuster, l'ostruzionismo ad oltranza del Partito Repubblicano, e procedere con la riforma sanitaria.
Grassley non ha tutti i torti ma egli stesso è in parte responsabile per queste strategie poco pulite per approvare leggi necessarie al Paese.
Data la regola del Senato che impedisce voti a meno che 60 dei senatori dicano di sì, il partito di maggioranza, democratico in questi tempi, deve sottomettersi alla tirannia della minoranza o usare compromessi per implementare la sua agenda.
I problemi però sono due. Da una parte c'è la regola antidemocratica per eccellenza del filibuster. Dall'altra c'è anche l'intransigenza repubblicana che vuole usare qualunque mezzo per ostacolare il potere della maggioranza.
L'idea del filibuster è di dare alla minoranza uno strumento di bloccare potenziali leggi abusive della maggioranza. Si tratta di un concetto che nel passato si usava raramente. Rompere il filibuster richiedeva 67 voti invece dei 60 attuali. Negli anni 60, per esempio, solo l'otto per cento dei disegni di legge al Senato era soggetto al filibuster, secondo uno studio di Barbara Sinclair della UCLA. In tempi molto recenti la cifra è aumentata fino al 70%. Ciò coincide con la maggioranza democratica al Senato.
Senza dubbio la politica americana si è polarizzata talmente che i compromessi del passato sono divenuti impensabili. Per esempio quando la legge sul Medicare fu approvata nel 1965 più del 40% dei repubblicani votarono a suo favore. Ai nostri giorni tutti i repubblicani compatti si sono opposti con metodi poco ortodossi al recente disegno di legge sulla riforma sanitaria. In alcuni casi gli esempi sono veramente offensivi come la preghiera offerta da Tom Coburn. Questo senatore repubblicano dello Stato dell'Oklahoma aveva detto che sarebbe magnifico se uno dei 60 senatori democratici non potesse essere presente al voto per rompere il filibuster. Nonostante la mancanza di riferimento specifico si è subito pensato a Robert C. Byrd, 92 anni, senatore democratico del West Virginia, che si è presentato al voto in una sedia a rotelle.
La politica polarizzata si è vista chiaramente anche durante il recente discorso di Barack Obama al Congresso dove il presidente fu interrotto da Joe Wilson, parlamentare del South Carolina, con il grido di "tu menti". Per non parlare poi di Coburn il quale aveva preteso che un emendamento di 767 pagine sulla riforma sanitaria fosse letto ad alta voce nel Senato con l'evidente proposito di fare perdere tempo.
Il filibuster è dunque divenuto un serio ostacolo alla maggioranza in potere. Ecco perché quando i repubblicani controllavano ambedue le camere durante l'amministrazione di George Bush lo volevano abolire.
Considerando il clima politico tossico di Washington non c'è dubbio che il filibuster deve modificarsi date le sue ovvie qualità antidemocratiche.
Si potrebbe dunque ridurre il numero dei voti richiesti per rompere il filibuster da 60 a 55 e poi più nel futuro eliminarlo completamente ed arrivare ad una semplice maggioranza.
Considerando la mancanza di spirito bipartisan a Washington si dovrebbe approvare la legge per eliminare il filibuster con l'idea che diverrebbe effettiva fra cinque o dieci anni. In questo modo non si sa quale dei due partiti sarebbe al potere e quindi avrebbe la possibilità di agire secondo i principi democratici che il filibuster spazza via.
Le "tangenti" offerte dalla leadership democratica ai senatori Nelson e Landrieu sono state etichettate "inappropriate" e "sporche" secondo il senatore Lindsey Graham, repubblicano della Carolina del Sud.
In un certo senso ha ragione. Ma Lindsey ed il suo partito sono in grande misura responsabili per avere dato poche scelte ai democratici costringendoli ad usare metodi poco puliti per cercare di fare il lavoro a beneficio del Paese.
Domenico Maceri (x)
(x) PhD della Università della California a Santa Barbara, è docente di lingue a Allan Hancock College, Santa Maria,
California, USA. I suoi contributi sono stati pubblicati da molti giornali (International Herald Tribune, Los Angeles Times, Washington Times, San Francisco Chronicle, Montreal Gazette, Japan Times, La Opinión, Korea Times, ecc.) ed alcuni hanno vinto premi dalla National Association of Hispanic Publications.