) BUSH E CHENEY: FINALMENTE FRATTURA? 2) REAGAN E I MITI REPUBBLICANI SULLE TASSE

1) BUSH E CHENEY: FINALMENTE FRATTURA?

"Sono assolutamente sicuro che meritava il perdono" e "non sono d'accordo con la decisione del presidente Bush". Ecco cosa ha affermato Dick Cheney, l'ex vice presidente degli Stati Uniti, in un'intervista concessa alla rivista conservatrice The Weekly Standard.

Cheney si riferiva ovviamente a Lewis "Scooter" Libby, il suo ex braccio destro, il quale era stato condannato per ostruzione di giustizia nel caso della rivelazione dell'identità segreta di Valerie Plame, agente della Cia. Bush aveva graziato Libby risparmiandogli i trenta mesi di prigione ma non gli diede il perdono finale che gli avrebbe pulito la condotta permettendogli di riprendere la sua attività di avvocato.

Non si sa esattamente perché Bush non ha dato il perdono a Libby negli ultimi giorni della sua presidenza nonostante le ripetute richieste di Cheney. Come è noto si crede che Bush seguisse tutti i consigli del suo vice presidente. Ma in questo caso specifico sembra che Bush abbia preso una decisione totalmente opposta ai desideri del suo vice.

Si comincia a speculare che Bush si era finalmente reso conto che Cheney lo aveva manipolato e condotto alla rovina. Ecco cosa pensa la giornalista del New York Times Maureen Dowd. La Dowd ha scritto parecchio nelle pagine del prestigioso giornale attaccando l'ex presidente considerandolo responsabile di "avere rovinato il Paese" consegnando ad Obama il durissimo lavoro di sistemare tutto. Secondo la giornalista, Bush ha finalmente capito che seguendo i consigli di Cheney la storia lo metterà fra i peggiori presidenti.

Non perdonando Libby, Bush forse voleva mandare un messaggio al suo vice che qualcuno era responsabile per la situazione del Paese con un'economia a pezzi e due guerre ancora non risolte.

Se pubblicamente Bush e Cheney non hanno mai mostrato fratture nei loro rapporti bisogna riconoscere che negli ultimi due anni del suo mandato la politica dell'ex presidente era divenuta più diplomatica. Riflette in ciò una divergenza con la durezza di Cheney che ha sempre mantenuto una politica di falco.

Ciò non riflette la pubblica figura di Bush nella campagna presidenziale del 2000 durante la quale l'allora ex governatore del Texas si era presentato agli americani come moderato. Subito dopo l'undici settembre però Bush divenne il falco che tutti conoscono attaccando Saddam Hussein senza buone ragioni. Inoltre l'asprezza nel trattare i nemici combattenti ed il fatto della tortura hanno colorato la presidenza di Bush in modi non consoni all'immagine moderata che aveva coltivato.

Rifiutando il perdono a Libby, Bush sembra suggerire che Cheney aveva oltrepassato la linea e che per una volta l'ex governatore agiva da vero presidente invece di seguire i consigli del suo vice.

In un certo senso Bush aveva già mostrato una differenza di opinione sulla questione di Libby sin dall'inizio. Subito dopo il processo nel 2007 Bush aveva affermato che rispettava il giudizio del giurato. Cheney invece lo aveva considerato una "grande ingiustizia". In ogni probabilità il vice presidente ha letto la condanna del suo ex braccio di ferro come un'estensione che raggiungeva anche lui. Bush invece lo aveva interpretato diversamente e forse sapeva che Libby era veramente colpevole.

La fedeltà di Libby a Cheney venne riconosciuta dal vice presidente anche se si è speculato sulla possibilità di pentimento e di collaborazione con la giustizia. In quel caso però anche Cheney stesso potrebbe essere stato coinvolto. Dunque la struggente difesa di Libby potrebbe mascherare la colpevolezza personale dell'ex vice presidente stesso. L'ingiustizia vista da Cheney è stata caratterizzata da alcuni leader conservatori come un abbandono di un soldato morto nel campo di battaglia. Ciò è un insulto ai soldati morti perché Libby è stato condannato da un giurato legale e non ha perso la vita.

Ora che Bush e Cheney non hanno più responsabilità governative i due vanno per strade diverse. Cheney sembra credere di essere ancora vice presidente e continua con le sue idee di falco attaccando l'operato del presidente Obama. Bush invece ha dichiarato che il nuovo residente della Casa Bianca merita il suo "silenzio". Un silenzio che non durerà a lungo dato che ambedue Bush e Cheney scriveranno le loro memorie. Forse allora sapremo fino a che punto Bush si sarà reso conto del male che ha recato al Paese.

2) REAGAN E I MITI REPUBBLICANI SULLE TASSE

"Si tratta del più grande aumento di tasse nella storia dello Stato." Ecco come Matt Murphy, senatore dello Stato dell'Illinois, ha descritto la recente proposta del governatore Pat Quinn di aumentare le tasse dei suoi concittadini per fare fronte al deficit statale di 11 miliardi di dollari.

Il senatore è repubblicano mentre il governatore è democratico. Ovviamente il mito è che i repubblicani sono sempre contrari agli aumenti delle tasse mentre i democratici fanno esattamente il contrario.

Un breve sguardo alla storia recente ci rivela altre situazioni.

Ronald Reagan, l'icona del Partito Repubblicano, aumentò le tasse quando era governare dello Stato della California. Quando divenne presidente Reagan aumentò le tasse di nuovo nel 1982. Nonostante il fatto che il presidente repubblicano sempre ripeteva che il governo non fa altro che sprecare i soldi dei cittadini Reagan era abbastanza realista da capire che di tanto in tanto le tasse vanno aumentate.

Un anno dopo avere aumentato le tasse la crescita del Pil del governo di Reagan fu del 5% seguito da anni di prosperità nonostante l'aumento del deficit federale.

Tutto ciò mette in dubbio la tesi repubblicana che gli aumenti delle tasse sono ingiuste perché causano problemi all'economia. Le tasse, secondo la filosofia repubblicana, vanno sempre tagliate. Non importa se l'economia va bene o male. Ovviamente quando l'economia funziona non è necessario aumentare le tasse dato che le casse del tesoro sono piene. Solo quando le cose non vanno bene bisogna chiedere a coloro che possono contribuire di farlo per il bene comune. Se l'economia dovesse continuare a peggiorare non solo continuerebbe a colpire i disoccupati ma formerebbe una minaccia anche a coloro che hanno la fortuna di possedere posti di lavoro che pagano bene.

Quando Bill Clinton era presidente negli anni '90 anche lui aumentò le tasse. Anche allora si credeva che ciò porterebbe a dei disastri economici. Almeno ecco ciò che ci ripetevano i leader repubblicani dell'epoca come Newt Gingrich. Ciononostante, come spiega la rivista Forbes in un recente articolo, un anno dopo l'aumento delle tasse di Clinton ci fu una ripresa economica che durò parecchi anni. Quando George Bush, figlio, divenne presidente nel 2001 Clinton gli consegnò un bilancio con un surplus.

Bush sprecò tutto il surplus tagliando le tasse a tutti ma specialmente ai ricchi. Dopo due mandati di Bush ci troviamo in una crisi che molti economisti considerano potrebbe raggiungere dimensioni della Grande Depressione.

Ovviamente sarebbe troppo semplice collegare la crisi economica attuale ai tagli delle tasse apportati da Bush. Ogni crisi economica è diversa e bisogna guardare oltre le apparenze superficiali. Ciononostante il mito che l'aumento delle tasse conduce al peggioramento dell'economia continua ad essere venerato dai repubblicani.

L'altro mito repubblicano ci dice che con i tagli alle tasse si ottiene una ripresa economica. Gli sgravi fiscali dell'amministrazione Bush non hanno però avuto gli effetti desiderati eccetto per gli ultraricchi i quali attualmente pagano pochissimo. Ecco cosa dice uno di questi individui nonostante la sua ricchezza. Warren Buffet, l'uomo più ricco del mondo secondo il ranking della rivista Forbes nel 2008, pagava tasse equivalenti al 17% del suo reddito. La sua segretaria invece, come lui ha ammesso, pagava il 30%. Nel mese di novembre del 2008 Buffet fece una scommessa che tutti i membri del gruppo dei 400 americani più ricchi, secondo la lista della rivista Forbes, pagassero una percentuale più bassa delle loro segretarie.

Non si tratta di percentuale, contrattaccano alcuni, ma di cifre esatte. Gli ultraricchi contribuiscono notevolmente alle casse della Internal Revenue Service (IRS). Nel 2006 per esempio il 53% delle tasse federali sono state pagate dai cittadini con reddito superiore ai 200.000 dollari annui. Quelli con reddito fra 100.000 e 200.000 hanno contribuito il 28% del totale.

Non c'è dubbio che i ricchi pagano di più se si guarda la cifra in dollari ma la loro percentuale è più bassa. Quando si aumentano le tasse ai ceti più bassi si colpisce la gente che non riesce ad arrivare a fine mese.

La proposta di Barack Obama di aumentare le tasse a coloro che guadagnano 250.000 annui non dovrebbe fare paura. I repubblicani lo attaccheranno con i loro soliti miti dimenticando che come diceva il noto giudice della Corte Suprema Oliver Wendell Holmes, le tasse sono ciò che si paga per vivere in una società civilizzata.

Domenico Maceri (x)

(x) dmaceri@gmail.com), PhD della Università della California a

Santa Barbara, è docente di lingue a Allan Hancock College, Santa Maria, California, USA. I suoi contributi sono stati pubblicati da molti giornali (International Herald Tribune, Los Angeles Times, Washington Times, San Francisco Chronicle, Montreal Gazette, Japan Times, La Opinión, Korea Times, ecc.) ed alcuni hanno vinto premi dalla National Association of Hispanic Publications.

Domenico Maceri (x)
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