BUSH: UN GRANDISSIMO PRESIDENTE?

Il primo ministro Silvio Berlusconi ha osannato George Bush come un "grandissimo presidente" che entrerà nella storia. Il commento è avvenuto nel probabile ultimo incontro fra i due leader alla Casa Bianca recentemente.

L'amicizia fra i due è nota e forse è stata questa la ragione per il commento di Berlusconi. La realtà ovviamente è un'altra. In un articolo pubblicato su Rolling Stone Magazine nel 2006, Sean Wilentz, professore di storia americana alla Princeton University, ci dice che la presidenza di Bush verrà giudicata come una delle peggiori. Bush, secondo Wilentz, eventualmente sarà piazzato a fianco dei più incapaci presidenti come James Buchanan, Andrew Johnson, Warren Harding, e Richard Nixon.

Uno studio informale condotto nel 2004 fra 415 studiosi di storia ha rivelato che l'amministrazione Bush era già un fallimento. Quattro anni dopo le cose non hanno fatto che peggiorare per Bush e ovviamente per tutto il Paese. L'impopolarità di Bush è riflessa in un recente sondaggio della Abc News secondo cui solo il 26% degli americani approva il lavoro dell'attuale residente alla casa Bianca.

Le cifra è persino più bassa di quella ottenuta da Richard Nixon pochi giorni prima di dimettersi per lo scandalo di Watergate nel 1974. Ciò che colpisce di più consiste dal fatto che poco dopo le stragi dell'11 settembre 2001 Bush riceveva il 92% dei consensi.

La capacità di Bush di sperperare il capitale politico che la tragedia del 2001 gli aveva "regalato" è incredibile e la storia ne farà luce. Per noi che abbiamo osservato da contemporanei la disastrosa politica del presidente tutto è troppo fresco per capirci chiaramente perché soffriamo ancora le ferite sia nel campo internazionale che in quello nazionale.

La guerra in Iraq è naturalmente il primo fallimento dell'amministrazione Bush. Usando la paura della tragedia dell'11 settembre Bush ha scelto di attaccare un Paese con il pretesto della presenza armi di distruzione massiva. Non avendole trovate si è cercato di giustificare lo sbaglio dicendo che Saddam Hussein era un tiranno che opprimeva gli iracheni. La guerra mirava dunque a creare un Paese democratico. Anche gli americani meno accorti si sono resi conto che ciò richiede anni ed anni di tempo e che gli americani non possono permettersi il lusso di cominciare guerre per spargere la democrazia nel mondo.

I costi non sono stati solo di perdite umane. Le spese della guerra sono anche strettamente legate all'economia. Non si può naturalmente affibbiare tutti i problemi economici a Bush ma anche uno sguardo panoramico suggerisce le sue responsabilità. A cominciare dai tagli effettuati alle tasse che in gran misura hanno recato benefici ai benestanti. Un altro effetto negativo collaterale si è visto con i deficit al bilancio creati da Bush. Durante l'amministrazione di Bill Clinton il Paese aveva generato un surplus. Negli otto anni del presidente attuale i deficit sono diventati stratosferici. Il deficit per il 2008 raggiungerà 455 miliardi di dollari.

La recentissima crisi a Wall Street ed il salvataggio delle banche ci costeranno parecchio. La deregolarizzazione dei mercati supportata principalmente dal partito del presidente ma anche dai democratici ha causato il crack alla borsa. Per impedire una crisi più severa ed una ripetizione della Grande Depressione Bush ha proposto lo stanziamento di 700 miliardi di dollari che il Congresso ha approvato. I contribuenti faremo le pulizie per i problemi del capitalismo che è strettamente legato a Bush ed il suo partito.

Il fallimento di Bush avrà conseguenze politiche per il suo partito. Non a caso Barack Obama ha parlato parecchio dei legami di vedute fra John McCain e Bush. Il candidato democratico ha ribadito che il Paese non si può permettere un terzo mandato per Bush mediante l'elezione di McCain. Si tratta di una tattica politica efficace. Tutti i sondaggi ci dicono che un repubblicano non risiederà alla Casa Bianca nel 2009. La storia non si ripeterà. Si può cominciare a sperare per un futuro migliore.

Domenico Maceri (x)

(x) dmaceri@gmail.com), PhD della Università della California a

Santa Barbara, è docente di lingue a Allan Hancock College, Santa Maria, California, USA. I suoi contributi sono stati pubblicati da molti giornali (International Herald Tribune, Los Angeles Times, Washington Times, San Francisco Chronicle, Montreal Gazette, Japan Times, La Opinión, Korea Times, ecc.) ed alcuni hanno vinto premi dalla National Association of Hispanic Publications.

Domenico Maceri (x)
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