IRAK, IRAN ECCETERA: BAGDAD HANNO COMINCIATO A SEDERSI TUTTI INTORNO A UN TAVOLO

Con Condoleeza Rice finalmente una politica estera americana più “europea” dopo la catastrofica influenza dell’ex numero uno del Pentagono Rumsfeld, principale responsabile dell’avventura irakena forse più fallimentare ancora di quella Vietnam

Attorno allo stesso tavolo a Bagdad il 10 marzo scorso i due Paesi nel mirino degli USA, e cioè Iran e Siria, con i cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, e cioè USA, Russia, Cina, Gran Bretagna e Francia, e con Turchia, Giordania, Kuwait, Egitto ed Arabia Saudita (Paesi della Regione), presenti pure le istituzioni internazionali (Onu, Lega Araba e Organizzazione della Conferenza Islamica). Non si tratta tanto di quello che è stato ottenuto (tre comitati tecnici per la cooperazione in materia di sicurezza, dei rifugiati, dell'energia, e un appuntamento per aprile ad Istanbul) ma del fatto, assolutamente innovativo, che Bush abbia accettato la partecipazione degli USA alla Conferenza con, fra gli altri, i due che aveva definito Stati-canaglia”, con uno dei quali la tensione è altissima per via del problema nucleare.

Unico argomento la situazione irakena, ma si sa che la politica internazionale corre sempre su due binari paralleli, quello sotto i riflettori e quello discreto fra i sussurri della diplomazia. Bagdad ha significato la rottura del ghiaccio. Se si rompe il ghiaccio le cose possono cambiare, proprio per il venir meno della questione di principio.

Osservatori hanno interpretato la novità come il segnale che l'Amministrazione americana abbia deciso di dare ascolto almeno parzialmente al rapporto del Gruppo di Studio sull'Iraq capeggiato da James Baker, secondo il quale il problema è d’area e quindi va risolto con il coinvolgimento dei Paesi dello scacchiere. Sarà, ma a nostro avviso c’è dell’altro. Ricordiamo che subito dopo aver assunto le redini della politica estera americana Condoleeza Rice aveva affermato, pur ritenendo che l’intervento dovesse essere fatto (e come avrebbe potuto dire altrimenti?), che in Irak erano stati compiuti “migliaia di errori tattici”. In realtà basta compiere cento errori tattici perché di fatto diventi un errore strategico. E non è sembrato un caso che il Comandante in capo delle truppe USA in Irak abbia dichiarato che il problema non è risolubile con le sole armi; ci fosse stato ancora Rumsfeld l’avrebbe detto? E se l’avesse detto quante ore ancora sarebbe stato al suo posto?

Gli inviti europei alla cautela erano stati sprezzantemente giudicati da Rumsfeld come la voce della vecchia Europa, ed era invece la saggia Europa che parlava. Non basta però questo. L’altro elemento negativo, subito da noi puntualizzato, è stato il comportamento di Blair. La Gran Bretagna quando fa comodo è Europa. Quando fa comodo non è Europa. Non è parso vero a Blair di schierarsi subito a fianco di Bush, incoraggiandolo quindi nell’avventura irakena, forse più fallimentare ancora di quella Vietnamita in quanto gli Stati Uniti erano al top, a un livello di simpatia nel mondo quale mai avevano conosciuto avendo il dramma delle Torri gemelle commosso il mondo intero. Se Blair non fosse stato così impetuosamente interventista, se fosse stato più Europa e meno “nebbia sulla manica, il continente è isolato”, forse alla Casa Bianca si sarebbe ascoltato un po’ di meno il Pentagono e il suo Capo quel Rumsfeld che aveva di fatto messo sotto anche il Segretario di Stato Powell. Oggi il Rambo-Bush di ieri è costretto a pietre il consenso degli americani con una posizione che la dice lunga “se lasciamo l’Irak avremo i nemico in casa”.

Si può sempre sbagliare nelle valutazioni, ma in tutta la vicenda irakena, scrivendo prima e non dopo gli eventi, non ci è capitato di commettere errori. Crediamo di non averne fatti e quindi di non farne ora nel puntare su Condoleeza Rice – personalità da Casa Bianca - per una politica estera più “europea” e quindi più saggia. Cosa ne verrebbe? Una lenta, forse lentissima uscita dal bailamme irakeno, ove si è distrutto l’esistente senza prospettive salvo quelle della lotta quasi tribale tri-etnica. Una soluzione per l’Iran che in fin dei conti ha il diritto di produrre energia nucleare per usi civili, al bando la bomba. La costruzione di un nuovo equilibrio di scacchiere. Ce n’era uno, fragile, rischioso, dinamico ma l’unico possibile fra Irak, Iran, Siria, Israele, aperto il problema Palestinese e con il punto interrogativo sul Libano. Lo scenario è franato con la frana irakena ma anche con il tonfo israeliano in Libano, simbolicamente pesantissimo in quanto per la prima volta si è rotto il mito dell’invincibilità dell’esercito con la stella di David. Il problema è quindi di scacchiere, anzi dello scacchiere del petrolio. Qualcosa si muove.

Significativo infatti che sia quasi passato sotto silenzio il varo a Bagdad della nuova legge sul petrolio, multinazionali d’accordo. Mutuando il famoso detto “c’est l’argent qui fait la guerre” che ci sia da dire “c’est l’argent qui fait la paix”?

A proposito. Europa, se ci sei batti un colpo.

Silenzio.

a.f.

a.f.
Politica